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Ho finito da poco di leggere l’articolo del prof. Venturi sul suo viaggio a Roma. Come non essere d’accordo col commento di Baratelli? Per lo meno in un primo momento, ma poi, insomma …

E no, cazzo! Troppe cose mi risultano irritanti nell’articolo del professore. Proverò a dirne qualcuna.
Se non ho capito male (ma a noi comuni signor nessuno può succedere) il cuore del ragionamento è la perdita della bellezza, ritrovata nelle rarefatte atmosfere romane –quella stessa Roma assurta, peraltro, recentemente, a simbolo di marciume morale- e di cui sono negazione le periferie ferraresi e i borghi emiliani imbruttiti dalla crisi. Mi meraviglio della sua meraviglia, professore. Ma quando mai le periferie sono state belle? ma di più: quando mai ci si è preoccupati di condividere la bellezza anche con quei signor nessuno delle periferie? La bellezza è un’esclusiva di menti (e tasche) superiori, come risulta evidente dalle sue frequentazioni e dai posti che lei frequenta proibiti alla massa presuntamente informe e amorfa.
Lei sembra parlare non tanto del terrazzo della Civita ma da dove Carife e Fondazione organizzavano conferenze e convegni. Mi permetta una notazione personale. Alcuni anni fa (ben prima del commissariamento di Carife) ho scoperto quell’agenzia della nostra banca cittadina in un angolo di piazza Venezia, dietro la colonna Traiana, a pochi metri quindi dalla sua Civita; da ignorante anche di cose economiche mi sono incazzato moltissimo perché se Carife doveva essere una banca territoriale, cosa se ne doveva fare di una filiale romana se non brigare a livello politico? e così, tornato a Ferrara, ho chiesto di vendere le mie azioni. E la risposta è stata un irridente marameo.

Ma adesso mi chiedo anche perché Carife dovesse organizzare convegni a Roma. Guardi che mi sta benissimo la politica culturale seguita a livello locale, ma questa cosa che apprendo da lei per me ha lo stesso sapore della politica economico/finanziaria dissennata che ha portato alle speculazioni milanesi e romane e napoletane.
Ma persino volendo restare nel mio più congeniale e ristretto ambito locale, il concetto di esclusività delle possibilità e della “bellezza” trovava applicazione costante non solo nella politica della Banca (esclusiva persino nel sostegno della ferraresità, anzi escludente; io, per es. ho sempre dovuto quasi pietire il dono di una delle famose pubblicazioni d’arte della Cassa, che però puntualmente trovavo in vendita in via Mortara da un libraio che trattava usato, presumibilmente perché coloro che le ricevevano in grazioso omaggio a tal punto le apprezzavano), ma soprattutto nell’azione politica istituzionale che non si è mai troppo preoccupata della partecipazione diffusa delle periferie agli eventi culturali tanti e meravigliosi che la nostra città ospita. Ma la crescita culturale non si ha, o almeno non solo,con i grandi eventi pur necessari, né con le isole beate.

Non è che la nostra classe dirigente si sia beata stolidamente dei propri privilegi, espropriando economicamente le formiche per dilapidarne i risparmi per il loro raffinato ed esclusivo godimento?

Non è la classe dirigente di questa città che doveva essere capace a suo tempo di vivificarla economicamente e culturalmente in toto, invece di accusare adesso noi signor nessuno di essere appunto nessuno, perché la rattristiamo con la nostra bruttezza di periferia, perché, addirittura, non sappiamo ribellarci allo scatafascio che essa stessa, classe dirigente, ci ha regalato?
Mi scuso se la mia prosa impetuosa mi ha spinto ad abusare di termini poco corretti; non può certo paragonarsi al suo proseggiare che, non solo per assonanza, mi sembra pallido e assorto, ma noi signor nessuno non ci troviamo, un po’ malinconici ma tranquilli, presso un deserto muro d’orto, perché quel muro ci è crollato addosso.

Un signor nessuno
(lettera firmata)

P.S. Absit iniuria verbis, professore. Probabilmente, lei è vittima come e più di me e di mille altri –perché maggiore è stato il suo investimento, sicuramente da studioso- dei veri padroni del vapore che non si sono mai esposti così generosamente come continua a fare lei a favore della consapevolezza del passato, perlomeno artistico e letterario, grandioso di questa città.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

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