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Tempo di primavera, di rinascita, di tepore, di voglia di aria e di respiro, di riapertura alla Bellezza, quella che aiuta nei tempi bui, quella che cura, protegge e salva. Così c’è chi decide per una passeggiata domenicale in un parco cittadino, chi per un museo, anche di un piccolo borgo poco abitato, chi per il mare, chi per la montagna, chi per la collina.

Io aspettavo questo momento dall’8 dicembre, quando, dopo un lungo periodo di complesso restauro condotto dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, il complesso della Serra Moresca a Villa Torlonia, nella mia amata Roma, ha riaperto al pubblico.

Ora ci sono, finalmente. Non c’è il sole che mi aspettavo per vedere i bellissimi riflessi delle vetrate (quasi da caleidoscopio, quelli dell’infanzia dorata e spensierata), ma mi accontento. Non è stato facile trovare i biglietti per entrare. Nel fine settimana è arduo, più semplice in giornata lavorativa. Basta sapere attendere. Ma entro, eccomi, entro.

Storia, natura e suggestioni lontane e degne dei sogni e delle fiabe più delicate, dialogano nel complesso della Serra e Torre Moresca, la cui architettura è ispirata all’Alhambra di Granada. Il complesso, con annessa Grotta artificiale, è stato progettato intorno al 1839, dall’architetto veneto Giuseppe Jappelli, chiamato a Roma dal Principe Alessandro Torlonia, e concluso, con le decorazioni di Giacomo Caneva, nel 1841.

Il primo progetto portava la dicitura “fabbrica entro cui trovasi e la grotta e l’Armeria e il Ninfeo, e la Pagoda indiana”, ma poi Jappelli scelse lo stile moresco per la realizzazione della serra, forse influenzato dal libro illustrato di James Canavah Murphy, The Arabian Antiquities of Spain,  pubblicato a Londra nel 1816, una copia del quale si trova nella Biblioteca vaticana e che lo stesso Jappelli stesso aveva consigliato a Caneva. La motivazione di tale scelta va ricercata nella volontà di Jappelli di riproporre a Villa Torlonia, come per i giardini del Regno Lombardo-Veneto, un motivo del periodo di Ludovico Ariosto.

La Serra vera e propria è uno stupefacente padiglione da giardino con una struttura in peperino e un largo uso del ferro, della ghisa e di splendide vetrate policrome.

Jappelli era a conoscenza dell’innovativo uso della ghisa, che aveva già sperimentato nella Villa Treves a Padova, e seguiva con attenzione l’introduzione di nuove tecnologie, come dimostrano vari suoi studi e progetti per costruzioni da adibire a serra. A Villa Treves aveva inserito gran parte degli elementi considerati costitutivi del giardino all’inglese: la grotta, la rovina gotica, il mausoleo romano, il tempio, l’eremo, il padiglione turco. Non tutti, ma buona parte di questi elementi – mescolati ad altri derivanti dalle suggestioni ariostesche richiamate più volte nel progetto di Jappelli – li ritroviamo anche a Villa Torlonia: il campo dei tornei, la capanna svizzera, il lago, la grotta, gli edifici moreschi.

Questa Serra era destinata ad accogliere piante esotiche e rare ma anche eventi spettacolari, come testimoniato dalla presenza di un vano seminascosto, interno alla grande sala, destinato all’orchestra. La Torre era invece riservata a incontri più intimi, per pochi partecipanti, invitati dal Principe Torlonia nella sontuosa sala da pranzo dell’ultimo piano, caratterizzato da ampie finestre con intelaiature in ghisa e vetri colorati e da pareti riccamente decorate da stucchi policromi. La sala aveva al centro un divano che, mediante l’azione di un meccanismo, poteva sollevarsi verso il soffitto, mentre dal piano sottostante saliva un tavolo imbandito che doveva sorprendere e impressionare gli ospiti del Principe.

Tra la Torre e la Serra, Jappelli aveva poi costruito una Grotta artificiale, retta da strutture in legno e stucco, oggi non più esistenti, con laghetti e percorsi in legno sospesi – solo in parte conservati – pensata come il luogo della Ninfa (“Nymphae Loci”) e quindi un luogo naturale e ricco di acque, che doveva destare meraviglia e stupore a chi l’attraversasse.

Tra il 2007 e il 2013, si è realizzata una prima e importante fase del recupero degli edifici. Il complesso era in condizioni di fortissimo abbandono e degrado (l’avevo scoperto, una prima volta, nel 2012 ed ero rimasta molto rattristata…), dovuto anche a numerosi di atti vandalici oltre che alla tromba d’aria del 2008 che l’aveva fortemente danneggiato: le coperture della Serra crollate, i vetri policromi in gran parte perduti, come perduti erano tutti gli arredi.

Il recupero condotto dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali è stato mirato al ripristino, il più fedele possibile, dell’assetto originario delle diverse parti del complesso, effettuato sulla scorta di documenti e immagini d’epoca e sull’analisi di quanto si era conservato. Il restauro ha interessato sia le strutture degli edifici che i molteplici apparati decorativi preesistenti, per riportare l’intero complesso al suo originario splendore.

La documentazione utilizzata per ricostruire l’aspetto degli spazi è costituita da fotografie e incisioni storiche, oltre che dalla testimonianza di Giuseppe Checchetelli, che descrive un paesaggio “arido” costituito da Palme, Agavi e Aloe, attorno alla coloratissima Serra, e una grotta artificiale, ricca di acque e percorsi sopraelevati in legno; due paesaggi e spazi totalmente diversi, secco e solare il primo, umido e ombreggiato il secondo.

Assecondando queste precise impostazioni storiche, il progetto ha previsto, nello spazio interno della Serra, il ripristino della fontana esistente e l’inserimento dell’attrezzatura tecnica necessaria per ospitare il pubblico e allestire una raccolta di Palme, Agavi, Ananas e Aloe, scelte fra le specie che erano già state introdotte nel nostro paese nel secolo XIX, cioè all’epoca di Jappelli. Le piante inserite sono disposte al centro dello spazio e davanti alla parete in muratura, in vasconi di ferro color corten (una tonalità che varia da un arancio iniziale a una colorazione bruno-rossastra che muta in base a condizioni climatiche ed esposizione agli agenti atmosferici), fornite di ruote, per poter essere spostati in caso di mostre, convegni o altro tipo di eventi. Un luogo magico dove incontrarsi.

L’accoglienza del pubblico è gestita nell’emiciclo d’ingresso, arredato con mobili disegnati ad hoc e realizzati in ferro, in consonanza con la struttura dell’edificio; particolare attenzione è stata posta all’illuminazione degli spazi. Nello spazio esterno antistante alla Serra è stata impiantata una piccola collezione di Palme, Agavi e Aloe con una illuminazione scenografica dedicata, realizzato l’adeguamento della scala esistente in pietra di tufo – che conduce al primo piano in cui si realizzeranno dei laboratori – ma soprattutto è stata inserita una nuova pavimentazione che rende lo spazio esterno più facilmente utilizzabile per eventi e attività integrative. Alla vallecola, “Nymphae Loci”, è stata restituita l’atmosfera originaria della grotta che la copriva, ripristinando e arricchendo i rivoli d’acqua che alimentano i due laghetti esistenti e inserendo nel secondo alcune ninfee, piante ossigenanti e fiori di loto.

Usciamo piano piano … in silenzio.

L’aridità e il sole del deserto occhieggiano al verde delle oasi e della vegetazione ombrosa e umida, oltre che agli anfratti boscosi abitati dalle Ninfe. Un paesaggio degno di una fiaba.

 

Articolo pubblicato su Wall Street International Magazine

Fotografie di Simonetta Sandri

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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