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Nel secondo incontro del ciclo “Passato Prossimo”, la stagione dei diritti in Italia è stata raccontata da una prospettiva del tutto originale: quella di coloro i cui diritti sono spesso negati, i matti, anche se in realtà, per usare le parole di uno che se ne intendeva, “nessuno sa cos’è il malato di mente”. Proprio la figura di Franco Basaglia e la sua rivoluzione civile e sociale, che ha portato alla chiusura dei manicomi, narrati nel libro del giornalista Oreste Pivetta “Franco Basaglia, il dottore dei matti. La biografia”, sono stati al centro dell’incontro: ne è emersa, non a caso, una figura di “irregolare”, difficile da racchiudere dentro una definizione.

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Il giornalista e scrittore Oreste Pivetta, autore del libro “Franco Basaglia. Il dottore dei matti”

Tra quelle che Pivetta e il professor Andrea Pugiotto hanno dato, forse quella più interessante è “un intellettuale del fare”. Grazie al suo orizzonte culturale ampio, che supera i confini dell’accademia italiana e guarda ad altre discipline oltre la psichiatria, porta la visione fenomenologica nella psichiatria: sebbene la loro osservazione e la loro descrizione dettagliata rimangano strumenti preziosi, non si può ridurre il malato ad una serie di sintomi, la psiche umana è complessa e misteriosa e la psichiatria non deve oggettivizzare il malato in una diagnosi. È così che l’attenzione passa dalla malattia al malato, dal sistema di classificazione della patologia alla persona nella sua totalità di corpo e mente. Ma ogni individuo diventa una persona quando ha delle relazioni in un contesto sociale, per questo Basaglia denuncia la realtà di una psichiatria per i poveri e di una psichiatria per i ricchi: “c’è un vecchio proverbio calabrese che dice ‘chi non ha non è’, questa contraddizione esprime nella sua totalità le contraddizioni della nostra società”, così risponde in una famosa intervista a Sergio Zavoli. Due sono le possibili interpretazioni ed entrambe sono ben riconoscibili nella pratica basagliana: la prima è che la malattia psichica è anche malattia sociale, mentre per la seconda chi non ha diritti perde se stesso, dunque per curare il malato è fondamentale restituirgli le facoltà esistenziali, cioè la dignità e la responsabilità esistenziale.

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Copertina del libro

Ma la peculiarità della rivoluzione di Franco Basaglia è la sua natura di “lunga marcia nelle istituzioni per mettere in discussione proprio quelle realtà che limitano la libertà personale”, il suo essere “un’azione che si muove sempre nella legalità”, come ha affermato Pugiotto. Insomma il suo è un radicalismo nei contenuti ma un gradualismo nei metodi.
In conclusione non poteva mancare un bilancio: a 36 anni dalla legge 180, approvata nel 1978, quattro giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro e nove giorni prima dell’approvazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza, dove è arrivato questo cammino progressivo?
I manicomi purtroppo esistono ancora: in Italia infatti sono ancora attivi 6 Opg, ospedali psichiatrici giudiziari, che il Presidente Napolitano ha definito “estremo orrore, inconcepibile in qualsiasi paese appena civile”. La loro chiusura era stata stabilita entro il 31 marzo 2013, ma questa data è slittata di decreto legge in decreto legge e ora dovrebbe avvenire al 1 aprile 2015. Inoltre, secondo Pivetta, non abbiamo ancora del tutto superato il pregiudizio nei confronti dei malati di mente. Queste parole mi hanno ricordato quelle di Mariuccia Giacomini, infermiera all’ospedale psichiatrico provinciale di Trieste, la cui testimonianza è stata raccolta da Renato Sarti nel monologo “Muri. Prima e dopo Basaglia”, interpretato appena una settimana fa da una bravissima Giulia Lazzarini al Teatro Comunale di Occhiobello: non è solo una questione di muri fisici, i muri sono “gli schemi che abbiamo nella testa, questi dobbiamo abbattere”.

“Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.
[…]
E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l’ho restituita:
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c’è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole.”

Un matto (dietro ogni scemo c’è un villaggio) di Fabrizio De Andrè [ascolta]

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Federica Pezzoli

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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