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È tornato a Ferrara Ascanio Celestini, Omero contemporaneo che canta di chi vive ai margini. È tornato con il secondo quadro del suo trittico sulle periferie urbane e umane delle nostre società. L’ultima volta sul palco del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara era stato nel 2016 con ‘Laika’ (leggi QUI la recensione su Ferraraitalia). In questa fine di gennaio 2019 l’attore-autore romano ha portato in scena ‘Pueblo’, la “storia di un giorno di pioggia”.

Certi indiani battono il piede per terra, come una danza e allora incomincia a piovere e quella pioggia attraversa il cielo e la terra e si va a rimescolare con l’acqua del mare. E quelli sono i morti, che attraversano il cielo e la terra e vanno a rimescolarsi con l’acqua del mare e producono un suono straordinario, prodigioso, che trasforma il pianeta intero in una campana vibrante che corre nello spazio senza fine raggiungendo le fasce di Van Allen a ventimila kilometri dalla terra. Di nuovo una storia che congiunge cielo e terra; e tornano alla mente la preghiera laica di Erri De Luca, che incomincia con “Mare nostro che non sei nei cieli”, e don Andrea Gallo, che recitava ‘Così in terra, come in cielo’.

Insieme a Pietro (con la voce off di Ettore Celestini e il corpo del musicista Gianluca Casadei), Celestini osserva dalla finestra le vite che scorrono. Non come un guardone, che “spia gli altri per sapere cosa fanno e come vivono”, ma come un poeta che “si interessa alla vita degli altri solo per immaginarsela”: “io non so niente Pietro, però se vuoi ti racconto tutto”. Ecco allora, come in una danza della vita, le storie di Violetta, principessa del supermercato dove lavora come cassiera in prova, di Domenica, la barbona che non chiede l’elemosina, e dell’unico uomo che l’abbia mai amata e che “la tratta come un bicchiere di cristallo su un vassoio d’argento…anzi d’oro”: Sahid, facchino negro con il vizio del gioco e dell’alcol rispedito in Africa. Questo pantheon di personaggi pasoliniani si muove come in cerchio chiuso, fra il parcheggio di un supermercato, un magazzino strapieno di pacchi e di schiavi 2.0, bar e marcati di borgata. Fuori c’è gente ipocrita o, peggio ancora, indifferente, che “parla, parla, ma che non sa niente” perché “non gliene frega niente”.

Pueblo in spagnolo significa sia popolo sia villaggio. Il teatro di narrazione di Celestini ci costringe al confronto con un popolo che non è quello costantemente evocato dai populisti, arrabbiato ed esclusivo, ma una comunità degli ultimi che abita i non-luoghi delle nostre periferie post-moderne: ‘Pueblo’ è l’epopea di un’umanità disumanizzata dall’indifferenza, che nonostante tutto trova il coraggio per il proprio riscatto nella resilienza e nella solidarietà.
Accanto ai protagonisti ci sono i fantasmi, le ombre, i morti, presenza costante in ‘Pueblo’. Sono passati tre anni dall’oratorio laico che aveva narrato di un miracolo, che aveva dato speranza. Ora sembra che la speranza sia sulle fasce di Van Allen a ventimila kilometri dalla terra, mentre qui rimangono solo sofferenza, disperazione, rabbia, morte. Rimane una tv accesa e una donna che ride preparando una zuppa liofilizzata. E ride come chi alla fine di una guerra ride sopra una montagna di morti.

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Federica Pezzoli


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di Piermaria Romani

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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