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Bentornati a teatro: Il delitto di via dell’Orsina
o l’insensatezza della vita (a volte)

Tempo di lettura: 7 minuti

 

Tornare a teatro dopo le chiusure e le limitazioni degli ultimi due anni è sempre un’emozione. Non che siano tutte sparite, ma uno spettacolo il 1° aprile alla fine formale dello stato di emergenza aiuta lo spirito e l’anima. Pur con le necessarie e sempre dovute cautele, mi siedo nelle comode poltrone del nostro Teatro Comunale, fila 14: ho scelto una commedia francese, la mia francofilila è ormai nota a chi mi conosce.

Eugène Marin Labiche

Il delitto di via dell’Orsina, adattamento de L’Affaire de la rue de Lourcine di Eugène Marin Labiche mi ha subito incuriosito, tanto più che mi sono subito letta la pièce originale che in formato Kindle ha davvero un prezzo accessibile. La regia e l’adattamento sono di Andrée Ruth Shammah, che ne ha curato anche la traduzione con Giorgio Melazzi. Agli habitués del teatro, Andrée Ruth Shammah (nata a Milano il 25 giugno 1948, da una famiglia sefardita fuggita da Aleppo), è conosciuta per la sua storia artistica, nata al Piccolo Teatro di Milano con Giorgio Strehler e Paolo Grassi, e continuata con l’apertura del Salone Pier Lombardo, oggi Teatro Franco Parenti, fondato nel 1972 insieme ad altri artisti e intellettuali come Franco Parenti, Giovanni Testori, Dante Isella e Gian Maurizio Fercioni.

Andrée Ruth Shammah

Dal 1989, è responsabile unica della Cooperativa Teatro Franco Parenti, riferimento culturale per la città di Milano; direttrice artistica, animatrice, organizzatrice, regista e artista a tutto tondo oltre che imprenditrice, nel corso della sua lunga carriera ha firmato oltre cento regie teatrali (molte delle quali ormai nella storia del teatro italiano) dirigendo, tra gli altri, artisti come Franco Parenti, Isabella Ferrari, Antonio Albanese, Gioele Dix, Carlo Cecchi. Una carriera unica corollata dalla nomina, il 14 luglio 2019, a Chevalier de la Légion d’honneur, conferitale dal Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron.

Dopo un tour per molti teatri italiani (fra cui Milano, Cremona e Trento), oggi, a Ferrara, ci porta questa intelligente e scanzonata commedia, con straordinari attori: Massimo Dapporto nel ruolo di Zancopè (il possidente Lenglumé dell’originale), Antonello Fassari in quello di Mistenghi (Mistingue), Susanna Marcomeni (nel ruolo della moglie Norina) e il vulcanico Marco Balbi (il cugino Potardo).

L’adattamento dal testo originale è consistito in alcuni cambiamenti piuttosto significativi. Prima di tutto la commedia è stata traslata dalla Francia del secondo Ottocento all’Italia di epoca fascista, all’inizio degli anni Quaranta. È stato poi inserito il personaggio del domestico anziano Amedeo (interpretato da Andrea Soffiantini), per affiancare e interagire con il servitore giovane Giustino (Christian Pradella). Per tale aggiunta di Amedeo, la regista ha preso da altre opere di Labiche, mentre altri inserti sono opera sua, anche su consigli degli attori emersi durante le prove dello spettacolo.

Ma ecco la storia di quanto va in scena, che si apre su un salotto elegante, piastrelle in bianco e nero e una sgargiante macchia di colore sulla destra, una poltroncina gialla; sul fondo, ma centrale, un letto a baldacchino con le tende tirate, intorno al quale si affaccendano due servitori, uno giovane e irruento (Giustino), l’altro esperto e molto più in là con gli anni (Amedeo), in livrea luccicante, quella delle grandi occasioni (è il suo utimo giorno di servizio, prima di tornarsene al paesello). Un uomo si sveglia e si ritrova uno sconosciuto nel letto, entrambi hanno una gran sete, le mani sporche, le scarpe infangate e le tasche piene di carbone e di noccioli di prugne e di ciliegie, ma non sanno assolutamente perché́, non ricordano niente della notte precedente.

Uno è Oscar Zancopè, il borghese padrone di casa (è, per giunta, il giorno del suo compleanno) e l’altro è Mistenghi, ex compagno di studi. Lentamente i due tentano di ricostruire quanto accaduto, ma l’unica cosa di cui sono certi è di essere stati entrambi a una festa di ex allievi del collegio Labadone (all’epoca il padrone di casa era “il somaro”, l’ospite poco gradito, il secchione fortissimo in latino. Ma la vita avrebbe poi capovolto i ruoli). Studenti pronti a gozzovigliare, i simpatici Labadoni, ora come allora. Di ciò che è accaduto una volta lasciato il raduno non ricordano nulla, non riescono a ricostruire quanto è avvenuto la notte appena trascorsa. Li solleciteranno a dare spiegazioni, ognuno a suo modo, l’elegante moglie Norina, dalle scarpe da Mary Poppins, e il cugino Potardo, dai vestiti sgargianti.

Che fine ha fatto l’ombrello verde con il manico a forma di testa di scimmia cui la moglie del cugino è tanto affezionata? Si è forse trasformata in arma di efferato delitto? E perché Zancopè e Mistenghi hanno le mani sporche? Dove e come hanno passato la notte?

Da un giornale molto stropicciato (capiremo alla fine il perché…), apprendono che una giovane carbonaia è morta quella notte e, tra una serie di malintesi, equivoci e borbottii, si fa strada la possibilità̀ che i due abbiano commesso quell’efferato omicidio. Questa convinzione li porta a cercare di compiere altri due omicidi di sospetti informati dei fatti-quasi ricattatori immaginari, che per pura fatalità non si verificheranno.

Una situazione paradossale, un po’ beckettiana, brillantemente costruita da un gigante della drammaturgia come il francese Eugène Marin Labiche.  Temi come la colpa, la responsabilità individuale, la percezione di sé, la paura e il sospetto sono affrontati con le regole della commedia di cui è intrisa l’opera, scritta a metà dell’Ottocento.

Racconta Andrée Ruth Shammah: “Appena l’ho letto ho pensato che sarebbe stata una grande sfida, un’opportunità̀ per una regia sorprendente. Pensando a questi due personaggi, profondamente diversi l’uno dall’altro: uno ricco, nobile, elegante e l’altro rozzo, volgare, proletario che devono confrontarsi con quello che credono di aver fatto, ho pensato subito a Massimo Dapporto e Antonello Fassari, un’accoppiata con cui non ho mai avuto l’occasione di lavorare – e che non ha mai lavorato assieme – ma che credo perfetta per dare vita a questa storia”. Per la regista è “come una scommessa, come la possibilità̀ di dare vita a uno spettacolo leggero e divertente, ma allo stesso tempo profondo; una riflessione sull’insensatezza e l’assurdità̀ della vita”.

“In questi personaggi fatui, solari e rispettabili, giocosi e goliardici vive un’anima nera che li porterà ad azioni efferate pur di mantenere il loro status di borghesi e privilegiati. Il genere è quello della commedia nera – sottolinea Antonello Fassari – che racconta una tragedia in modo comico e la tragedia, sottotraccia, è sempre presente, dietro ogni nostra risata”.

Oltre all’ironia pungente, c’è anche un po’ di Macbeth di William Shakespeare. Il riferimento emerge esplicito in una battuta di Zancopè che, nonostante continui a lavarsi le mani in un antico lavabo bianco dall’aria preziosa e aristocratica, non vede sparire il nero del carbone che le sporca, proprio come il sangue di Re Duncan su quelle dell’ospite traditore e assassino. Là come qui delitto chiama delitto e la situazione iniziale, invece che semplificarsi e chiarirsi, si complica e si fa via via più oscura e misteriosa.

In un crescendo di equivoci e malintesi, con canzoni in rima ad accompagnare le scene più divertenti, tutto è bene quel che finisce bene. Salvo che per il gatto.

Originali la scena di Margherita Palli a siparietti e con cambi a vista, le musiche di Alessandro Nidi e la figura dell’Uomo-sagoma (Luca Cesa-Bianchi), che assiste, forse a suggerire i vari punti di vista da cui lo spettatore possa leggere la vicenda.

Una bellissima commedia degli equivocie dell’assurdo – che rischia di trasformarsi in una tragedia degli equivoci. Molto divertente. Si ride davvero di gusto.

NdR – Eugène-Marin Labiche nacque a Parigi nel 1815 da una famiglia di ricchi borghesi, industriali stimati. E fu proprio nella borghesia che trovò quasi tutti i protagonisti e gli intrecci delle sue pièces. Borghesi con tutte le loro manie, le loro pecche, i piccoli difetti e le grandi virtù. Ha firmato in quarant’anni ben 174 copioni fra commedie e atti unici, scritti da solo o in collaborazione con altri autori. Una frenetica attività drammaturgica che ha prodotto alcuni capolavori come Il cappello di paglia di Firenze ed è culminata con due messinscene alla Comédie Française e la chiamata all’Académie Française. Fu consacrato anche come il “re del teatro da boulevard”, genere di teatro leggero e comico allestito in teatri parigini a gestione privata, come il Palais-Royal dove il drammaturgo mise in scena anche L’Affaire de la rue de Lourcine nel 1857, e 29 degrés à l’ombre nel 1873.

Il delitto di via dell’Orsina va in scena al Teatro Comunale, dal 1 al 3 Aprile 2022, di Eugène Marin Labiche, (traduzione Andrée Ruth Shammah e Giorgio Melazzi), adattamento e regia Andrée Ruth Shammah.
Zancopè: Massimo DAPPORTO, Mistenghi: Antonello FASSARI, Norina: Susanna MARCOMENI, Potardo: Marco BALBI, Amedeo: Andrea SOFFIANTINI, Giustino: Christian PRADELLA, Uomo Sagoma: Luca CESA-BIANCHI
Musiche: Alessandro Nidi. Scene: Margherita Palli. Costumi: Nicoletta Ceccolini

Fotografie di Francesco Bozzo, gentile cortesia dell’ufficio stampa del Teatro Comunale

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’, Roma Film Corto Festival), è vicepresidente di Ferrara Film Commission e segue la comunicazione del Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’. Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Congo, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.


PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)