La metamorfosi dei Wilco,
vent’anni fa
Faccio un po’ fatica a fidarmi di quella storiella secondo cui diamo il meglio di noi in mezzo alle avversità. A ben guardare, gli ingredienti sono gli stessi di altri luoghi comuni o slogan motivazionali: bias cognitivo, retorica dal sapore confortante e un piccolo fondo di verità, il quale andrebbe soppesato e contestualizzato con molta cautela.
Tuttavia, uno degli album indie-rock a me più cari, nonché uno dei più apprezzati e influenti degli anni ‘10, è il frutto di innumerevoli avversità: dal licenziamento di due membri della band alla vicenda legale che ne allungò i tempi di uscita, passando per le emicranie del leader Jeff Tweedy. La band in questione sono i Wilco, l’album è invece il chiacchieratissimo Yankee Hotel Foxtrot, pubblicato esattamente vent’anni fa.
Le difficoltà del quintetto di Chicago sono ben visibili in un documentario diretto dal regista e fotografo Sam Jones [Qui], il cui l’utilizzo del bianco e nero aggiunge drammaticità all’estenuante battaglia legale con la casa discografica Reprise e al conseguente slittamento della data di uscita del disco. Tra l’altro, l’ex giornalista di Billboard Chris Morris ha definito quel documentario “uno dei migliori film sull’inevitabile scontro fra arte e mercato”.
Sta di fatto che Yankee Hotel Foxtrot è un album stralunato e difficilmente inquadrabile. Sin dai primi secondi di I Am Trying To Break Your Heart, l’intento di Jeff Tweedy è piuttosto chiaro: il già atipico country-folk dei Wilco viene destrutturato e spogliato di qualsiasi cliché, e ciò che ne resta si fonde a più riprese con il prog-rock, il gospel e un po’ di musica ambient.
Tra interferenze dissonanti e voci soffuse, il senso di smarrimento è dietro l’angolo, specialmente al primo ascolto: lo stesso smarrimento che devono aver provato i Wilco nel realizzare, e poi pubblicare, quei benedetti 52 minuti di musica.
Quindi, l’esperienza dei Wilco conferma che c’è bisogno di un ostacolo, di un antagonista o di un dramma per eccellere? Può darsi, ma non facciamoci prendere la mano. Nel caso di Yankee Hotel Foxtrot è andata più o meno così; d’altronde, in War On War è lo stesso Jeff Tweedy a ripetere, quasi come se fosse un mantra, le seguenti parole.
“You have to lose
You have to learn how to die
If you want to be alive”