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Resilienza ambientale, termine ancora poco usato ma molto utile, soprattutto in questi ultimi tempi. Potrei definirla come l’arte della natura di difendersi dagli attacchi che riceve dall’uomo. Una specie di capacità di adattamento. Per gli studiosi di ecosistemi è l’attitudine a ritrovare un nuovo equilibrio, insomma resistere attraverso la magica capacità di auto-adattarsi e modificarsi. Ma fino a quando? Ricordo solo che l’economia dell’ambiente è materia recente perché le risorse ambientali fino a poco tempo fa erano considerate disponibili in quantità illimitate e quindi senza valore, o meglio la natura era considerata la fonte dei valori d’uso (ricchezza reale). Ricordo anche che le normative ambientali ancora ora si basano sulla diluizione e sull’inquinamento controllato. Ci dimentichiamo del quarto principio della termodinamica: ogni processo di produzione e di consumo delle merci lascia la natura impoverita di alcuni suoi componenti, non rigenerabili e non rinnovabili.

La resilienza ambientale rappresenta dunque, per ora, un’ àncora di salvezza, in quanto unica via di uscita per cercare di sopravvivere e magari riprendersi. Con più ottimismo potrebbe essere un progetto di trasformazione di un nuovo modo di pensare.
Per gli ingegneri la resilienza è la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi, ma anche la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione.
Per gli urbanisti si discute della rigenerazione urbana come resilienza (e il terremoto è stata una importante lezione di vita). Oggi la cultura della ricostruzione si cerca di farla coincidere con la restituzione di spazi pubblici salvaguardando i centri storici. La messa in sicurezza orientata verso la messa a sistema.

Per gli economisti si potrebbe definire come la flessibilità alla recente crisi economica (che richiama la dimensione liquida dell’economia) e forse il tentativo di recuperare la recessione. In fondo, le imprese resilienti sono quelle che continuano ad evolversi e anche a crescere. Fortunatamente ci sono buoni esempi di aziende che hanno favorito grandi processi di cambiamento, modificando con la ricerca e l’innovazione i valori strategici di riferimento. La resilienza porta però con sé comunque un grande senso di incertezza. Non a caso la Bocconi ha di recente organizzato una indagine sulla resilienza e un corso di sopravvivenza per aziende sviluppato in quattro mosse (identificare il proprio livello di resilienza, sviluppare scenari di discontinuità, condurre un check-up di resilienza, modificare gli elementi critici).

Il paradigma culturale e sociale è pesantemente mutato nel modo in cui si deve affrontare il futuro. In psicologia, infatti, si usa il termine resilienza per indicare la capacità dell’uomo nel fronteggiare le difficoltà e le avversità, sviluppando le proprie risorse interiori e ripristinando il proprio equilibrio psico-fisico. Le persone con alta resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà. Fondamentale deve diventare, dunque, la resilienza collettiva, intesa come capacità di reagire alle difficoltà orientandosi al bene comune verso principi di solidarietà e collaborazione rivolta alla promozione della responsabilità sociale. Questo, in un certo senso, si collega ai concetti di benessere e di qualità della vita. Per questo si deve dare grande attenzione alla nascente normativa ISO 55000/1/2 e ai suoi standard internazionali. Nello specifico la norma ISO 55000 intende fornire una panoramica generale sulla gestione patrimoniale e stabilisce principi e terminologia (uniformi agli altri sistemi di gestione), la ISO 55001 definisce i requisiti di un sistema di gestione del patrimonio, la ISO 55002 fornisce una utile guida all’applicazione della ISO 55001 (fonte UNI).

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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