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Oggi viviamo all’interno di una mega-macchina socio-tecnica di cui siamo, nostro malgrado, parti e componenti costitutive e senza la quale molti di noi non riuscirebbero a vivere. Essa è composta da grandi infrastrutture e piattaforme tecnologiche, organizzazioni e istituzioni, processi interconnessi, macchine e miliardi di persone diversamente collegate. L’orologio, il mercato, la gerarchia, il diritto, inteso come fonte delle regole legittime del suo funzionamento, ne sono componenti imprescindibili, connesse tra di loro dal principio di efficienza. Il primo misura e quantifica il tempo in modo lineare e uniforme, consentendo di sincronizzare e pianificare le infinite attività umane che costituiscono la vita sociale ed economica. Il secondo coordina come una mano invisibile e impersonale, efficiente per definizione, gli scambi tra tutti gli attori, singoli e collettivi, partecipanti. La terza organizza il potere all’interno di ogni entità strutturata sia essa uno Stato, un’azienda, un esercito, una politica. Il quarto definisce le regole e le legittima rendendole obbligatorie con tutta la forza degli apparati deputati al mantenimento dell’ordine costituito. Le tecnologie, infine, rappresentano e sempre più spesso, l’ossatura, i muscoli e l’apparato nervoso di questa immane sistema: ciò che ne amplifica ed esalta la potenza.
Malgrado le sue singole componenti diventino sempre più specializzate e sovente autoreferenti, la mega-macchina è in costante avanzamento nella direzione di una sempre maggiore integrazione a livello planetario. Lo vediamo chiaramente nei processi di globalizzazione, nella diffusione di internet e nell’applicazione delle tecnologie digitali in ogni settore economico; lo osserviamo nella eliminazione delle barriere agli scambi economici e finanziari, nella nascita di normative sempre più astratte che pretendono di avere validità universale surrogando e mettendo in discussione i contenuti delle costituzioni nazionali.
Lo cogliamo chiaramente nella mobilità estrema delle classi creative, nelle elite di tecnici, scienziati ed ingegneri, che parlano un unica lingua veicolare, condividono medesime forme di sapere, si muovono con disinvoltura su un palcoscenico che comprende tutta la terra.
Da tempo lo vediamo all’opera nelle imprese multinazionali, grandi protagonisti del mutamento in corso; la tendenza appare con tutta evidenza nell’iper-specializzazione delle competenze e nell’applicazione sistematica di tecniche codificate ad ogni possibile campo di attività umana, nell’industrializzazione di ogni processo di trasformazione e nella sostituzione incessante del lavoro umano con quello delle macchine intelligenti.
La finanza rappresenta forse il settore più altamente integrato e, non a caso, essa sta al timone di comando della mega-macchina. La politica, che in un altro modello sociale doveva esprimere i fini, è diventata essa stessa un attributo della finanza e il suo scopo prioritario sembra ormai divenuto rimuovere gli ostacoli alla sua affermazione, promuoverne il rafforzamento e l’ampliamento, poiché la sua vitalità sembra essere, anche per molti politici, l’unico meccanismo in grado di garantire la prosperità e la vita civile.
Agli occhi dei suoi sostenitori la mega macchina sembra ormai crescere allo stesso modo naturale con cui cresce una foresta; agli occhi dei suoi detrattori si diffonde con la stessa pervicacia di un cancro che minaccia un organismo non più sano. Ogni nuova connessione internet, ogni telecamera installata sul territorio, ogni norma che libera il flusso di merci e capitali oppure intralcia e impedisce scambi propri dell’economia informale, rappresenta un passo in quella direzione.
Nel suo implacabile cammino di sviluppo la mega macchina procede per balzi e contraccolpi. Crescita del Pil e occupazione sono le variabili fatte proprie dal senso comune che rappresentano, per così dire, la parte socialmente accettata del meccanismo generale che spinge verso un controllo sempre più diffuso e un’integrazione crescente. La sua capacità produttiva e ri-produttiva sembra quasi infinita e, laddove essa non riesce a convincere attraverso la forza dei suoi numerosi apparati retorici, distrugge avvalendosi dei mezzi messi a disposizione dalla tecno-scienza.

Malgrado questo, o forse a causa di questo, la vita sociale non è mai apparsa cosi complessa, per certi versi così libera; immerse in un mondo di merci e servizi le persone si muovono cercando una loro identità innanzitutto nel consumo. Ogni desiderio diventa prima pretesa e quindi diritto. Ogni persona che nasce e cresce in questo sistema viene cresciuta come consumatore e portatore di infiniti bisogni che devono essere soddisfatti. I miti di progresso, libertà e democrazia sostengono a livello sociale lo sviluppo della mega macchina quando le sue esternalità diventano insostenibilmente imbarazzanti. Le distruzioni prodotte dai meccanismi espansivi alla periferia del nucleo più avanzato del sistema generano flussi migratori colossali che diventano a loro volta spinte per rafforzare ulteriormente il sistema; le esternalità che ricadono all’interno si traducono nella corruzione dei vincoli di fiducia, nell’aumento dell’insicurezza percepita, provocando richieste di maggiore controllo, che applicate, contribuiscono all’espansione della mega-macchina.
La forza di attrazione che essa esercita resta però irresistibile: per miliardi di persone l’importante non è vivere bene ma poter vivere all’interno del sistema, goderne i frutti, farne parte, esserne protagonisti e non venirne espulsi. Bene o male che sia, il mondo sembra diviso in due: persone incluse e connesse (forse dipendenti) e persone escluse (che tentano di sfuggire dal o di entrare nel sistema); questa dicotomia si allarga a tutto il vivente contrapponendo, per esempio, gli animali domestici umanizzati che vivono nelle famiglie e sono curati come figli, agli animali trasformati in oggetti di consumo, ridotti a macchine da carne o a variabili della produzione.

I drammatici cambiamenti di questi anni possono essere spiegati all’interno di questo quadro: da un lato un immenso tecno-sistema che diventa sempre più integrato e pervasivo, che assume forma di un ambiente di vita esclusivo, sostituendosi a quello che era l’ambiente naturale; dall’altro, un sistema sociale turbolento e composito che regredisce spesso verso aspetti meramente utilitaristici ed egoistici, ma che è sempre impegnato nella costante ricerca di senso. Non è in quest’ottica privo di significato il ritorno di termini quali comunità, clan, branco, banda, setta e tribù che sembravano superati dal cammino trionfante della modernità razionalizzatrice; né può essere sottaciuto il diffondersi rapidissimo di discipline, pratiche e professioni specificatamente centrate sull’aiuto emotivo, psicologico, religioso e spirituale.
Persone che ormai non sono più in grado di vivere indipendentemente dal sistema, si aggregano per necessità in forme non previste dal sistema stesso; persone che cercano speranza sfuggendo per quanto possibile da esso si attivano per costruire comunità e ambienti significativi di vita fondati su presupposti differenti, a volte religiosi a volte tradizionali; persone volenterose si aggregano nelle infinite forme del non profit per affrontare i disagi e i problemi generati dal funzionamento impersonale della mega macchina; altre persone travolte dai meccanismi del sistema sono abbandonate a se stesse e sempre più spesso dipendono dal buon cuore degli altri perché il sistema ha smesso di prendersene cura.

Da un lato ci sono dunque le forze che tendono a rafforzare a ogni costo il sistema socio-tecnico planetario, dall’altro una vasta costellazione di forze che ricercano nel umano sociale fonti di gratificazione che quel sistema non è più in grado di garantire. I due livelli sono ora contrapposti ora e più frequentemente intrecciati in forme che assumono colorazioni politiche e sociologiche assai diversificate.
Non mancano i profeti della tecno-scienza che predicano un evoluzione verso il transumano potenziando i corpi delle persone con le biotecnologie, connettendoli direttamente alle macchine intelligenti, fino a pensare di scaricare le menti su un supporto digitale per conquistare una forma di immortalità. Non mancano coloro che rifiutando l’attuale sistema, si adoperano per trovare alternative sociali capaci di risolvere la crisi, creando un mondo nuovo fondato su presupposti differenti da quelli del neoliberismo finanziario imperante. Non mancano neppure innovatori sociali che credono sempre più necessaria una nuova pedagogia che insegni a vivere nella consapevolezza accettando la complessità e la sfida.
Per vivere bene in questo mondo, per contribuire ad un evoluzione che non sia semplicemente distruttiva, per indirizzare bene le potenzialità offerte dalla tecno-scienza evitando contrapposizione meramente utilitarie o ideologiche, occorre riscoprire il senso delle virtù e delle doti morali, riscoprire la cifra della socialità e della relazione, recuperare il senso di responsabilità ad ogni livello; forse è venuto il momento di superare l’idea perversa che i vizi privati si trasformino magicamente in pubbliche virtù.

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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