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La fragile tregua a Gaza, nel mondo che ha smarrito ogni sembianza umana

La fragile tregua a Gaza, nel mondo che ha smarrito ogni sembianza umana

Del “piano di pace” intitolato a Donald Trump per arrivare ad una tregua nel massacro sistematico della popolazione palestinese, in corso (soprattutto) nella striscia di Gaza ad opera dell’esercito israeliano, apprezzo due cose: lo scambio di prigionieri e il cessate il fuoco. Le apprezzo nella misura in cui avvengano sul serio: la prima crepa nella entusiastica narrazione del piano è che Israele sta continuando a bombardare e uccidere civili nel nord di Gaza, circostanza che trovo anomala in presenza di una teorica tregua (ieri è stato ucciso un altro giornalista palestinese). Lo scambio di prigionieri è sbilanciato in termini numerici a favore dei palestinesi, per la semplice ragione che Hamas ha 48 ostaggi israeliani, di cui 23 dovrebbero essere ancora vivi; mentre Israele ha nelle sue carceri migliaia di palestinesi, di cui verranno rilasciati 250 condannati all’ergastolo e 1700 arrestati dopo il 7 ottobre 2023. In termini di rilevanza, tuttavia, lo sbilancio premia Israele, in quanto il più importante prigioniero politico, Marwan Barghouti, considerato colui che potrebbe riunificare sotto la stessa egida la resistenza palestinese, rimarrà – non a caso – nella galera in cui è da 23 anni.

Un negoziato di questa complessità non può essere liquidato negativamente in due parole. Quello che sta accadendo pressoché ovunque però è che viene liquidato positivamente in due parole, con ancora maggiore entusiasmo dopo la parata trionfale, tronfia, e indecente (con settantamila morti sul groppone) di potenti ieri a Gerusalemme e Tel Aviv. Eppure le negatività sono tante.

Intanto non viene riconosciuto un diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Chi dovrebbe rappresentarlo, tra l’altro, visto che, appunto, Barghouti resterà in carcere e Hamas viene esplicitamente esclusa da qualunque ruolo di questo tipo? Questo è uno dei grandi problemi, non da oggi, di una popolazione spaccata e disunita in tante rappresentanze e leadership, oltre che spaccata e frammentata in vari territori che tra loro non si toccano. Vi è peraltro la sgradevole impressione che alcuni personaggi di vertice di Hamas stiano negoziando dei salvacondotti individuali, piuttosto che delle tutele per il popolo che dovrebbero rappresentare.

Il ritiro delle truppe israeliane da Gaza è assolutamente indefinito nei tempi e nei modi, almeno per quanto è dato saperne all’esterno dei tavoli diplomatici. L’unica cosa certa è che i rappresentanti di Hamas parlano di ritiri programmati delle truppe, e invocano il monitoraggio di Trump affinché Israele rispetti gli accordi. Sul punto, Israele tace.

Vengo alle parti beffarde e ciniche dell’accordo. Anzitutto, la dichiarazione dell’ arrivo massiccio di aiuti umanitari. Quattrocento camion in entrata nei primi 5 giorni di tregua, e poi scorte buone almeno per i prossimi tre mesi, secondo quanto afferma l’agenzia per le Nazioni Unite Unrwa. Questo equivale ad ammettere che fino a questo momento tali aiuti sono stati bloccati, e che questo blocco, completamente imputabile a Israele, ha prodotto la carestia generalizzata che ha colpito la popolazione civile; come peraltro testimoniato sia dai chirurghi d’emergenza che hanno prestato servizio a Gaza, che si sono visti sequestrare dall’IDF tutte le provviste di latte in polvere per i neonati, sia dai membri della Global Sumud Flottilla che si sono visti sottrarre biscotti e miele in quanto considerati “troppo energetici”.

Il cosiddetto board of peace in sé potrebbe anche essere una notizia positiva, perché sembrerebbe escludere una annessione dei territori da parte di Israele. Peccato che questo organismo internazionale sia capeggiato da personaggi famosi per avere letteralmente mentito al mondo sul fatto che l’Iraq detenesse armi di distruzione di massa, e sulla base di questa menzogna abbiano scatenato un massacro della popolazione civile nell’ordine di almeno ventimila persone, più gli almeno centomila morti di fame, malattie e stenti seguiti alla guerra, tra cui moltissimi bambini iracheni. Parliamo di Tony Blair, che come messaggero di pace ha la stessa credibilità di Hannibal Lecter come testimonial del veganesimo. Eppure l’uomo è indubbiamente abile: per otto anni è stato incaricato dal Quartetto per il Medio Oriente, organismo composto da rappresentanti delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, dell’Unione europea e della Russia, di facilitare la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. In tale veste ha coltivato rapporti diretti con diversi paesi arabi. Uno potrebbe obiettare che non ha avuto nessuna capacità di evitare il massacro, ma non è quella l’abilità richiesta a uno che di massacri ne ha propiziati in proprio: l’abilità è quella di farsi finanziare la fondazione che porta il suo nome dal principe, nonchè probabile assassino, saudita Bin Salman. E di collaborare strettamente con Jared Kushner, genero di Trump, per il cui curriculum cito testualmente un estratto da Wikipedia:  “Ha ricoperto il ruolo di consigliere senior di Trump dal 2017 al 2021 ed è stato anche direttore dell’Office of American Innovation. Per gran parte della sua carriera, Kushner ha lavorato come investitore immobiliare a New York City, in particolare attraverso l’azienda di famiglia Kushner Companies. Ha rilevato l’azienda dopo che suo padre, Charles Kushner, è stato condannato per 18 accuse penali, tra cui contributi elettorali illegali, evasione fiscale e manomissione di testimoni nel 2005; Charles è stato poi graziato da Trump nel 2020. È stato anche coinvolto nell’editoria dopo aver acquistato il New York Observer nel 2006. Da quando ha lasciato la Casa Bianca, Kushner ha fondato Affinity Partners, una società di private equity che deriva la maggior parte dei suoi fondi dal fondo sovrano del governo saudita”. Ecco l’abilità richiesta al nostro uomo, ecco i curriculum dei costruttori di pace con i quali il nuovo mandato britannico-statunitense intende sistemare le cose. Se volessi riassumere con una frase il motivo dei coinvolgimento di Tony Blair nell‘affaire Gaza, ruberei quella che la giornalista e attivista britannica Ash Sarkar ha pronunciato in televisione, quando le è stata rivolta la stessa domanda: “Probabilmente perché Satana non era disponibile”.

Vista la cornice, l’affermazione trumpiana, contenuta nel piano, secondo la quale: “Gaza sarà riqualificata a beneficio della popolazione di Gaza, che ha sofferto più che abbastanza” ha la stessa credibilità di Cheope che promette agli schiavi che costruiscono la piramide un loculo gratis al suo interno, vicino al faraone e ai nobili. Me la immagino proprio una famiglia palestinese, inopinatamente sopravvissuta, che entra nella graduatoria per ottenere una delle residenze della riviera di Gaza, edificata sulla stessa terra in cui Israele ha ridotto in macerie la loro casa. Senza terra, senza futuro, senza averi, senza casa, senza denaro. Esattamente il prototipo di cliente tipo di Jared Kushner e del Fondo Pubblico di investimenti dell’Arabia Saudita.

Il 7 ottobre 2023 ha rappresentato uno snodo oscuro e tragico nella lunga e sanguinosa storia dei rapporti tra Israele e la popolazione arabo-palestinese dei territori occupati. Nessuno, nessuno mi leva dalla testa la sensazione di quanto sia incredibile che lo Stato coi confini più blindati e controllati del mondo abbia permesso – e tollerato per alcune ore senza intervenire – un simile attacco anche da terra dei guerriglieri di Hamas. E’ l’unica impressione che condivido con Charlie Kirk, da cui mi divideva tutto. E lui il confine della striscia di Gaza lo aveva visitato, e dopo averlo visitato dichiarò pubblicamente che domandarsi come il 7 ottobre sia stato possibile non era una questione cospirazionista, ma logica.  Per approfondire l’argomento, consiglio questo video, e questo libro  di Roberto Iannuzzi.

In questo disastro, condito dalla assurda, grottesca parata di un delirante Trump alla Knesset (una sola perla: ha chiesto al presidente di Israele Herzog di concedere la grazia al suo primo ministro indagato per corruzione Netanyahu, strepitoso caso di excusatio non petita, vedi qui l’incredibile video), l’unica nota di speranza in una specie umana che esca dal sanguinoso Novecento, come ipotizza qui Alessandro Baricco (pubblicato anche su Periscopio), per abbracciare logiche completamente aliene rispetto alla ripetizione delle conquiste coloniali edificate sul sangue degli innocenti, è costituita dall’opinione pubblica che non è stata zitta. Indubbiamente una minoranza, ma comunque milioni di persone, moltissime giovani, hanno riempito le strade e le piazze del mondo, bloccato i porti, per gridare l’intollerabilità di stare in questo tipo di mondo, supportando con il loro rumore la Flottilla, autentico avamposto di umanità in un pianeta che sembra averne smarrito ogni sembianza.

 

Cover photo su licenza https://commons.wikimedia.org/

 

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, anche se lo stipendio fisso lo ha portato in banca, dove ha cercato almeno di non fare del male alle persone. Fa il sindacalista per colpa di Giorgio Ghezzi, Luciano Lama, Bruno Trentin ed Enrico Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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