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In un momento critico, come quello attuale, per l’immigrazione clandestina in Italia (e non solo), uno studio condotto dalla City university London e dalla Toulouse school of economics, propone l’applicazione di un nuovo modello economico di vendita dei visti che potrebbe aiutare i governi europei a debellare la piaga del traffico di esseri umani.
La politica, pensata dalle ricercatrici Alice Mesnard ed Emmanuelle Auriol, mira a escludere i criminali dal mercato (facendo sì che i migranti smettano di pagarli per essere trasferiti illegalmente all’estero) e a raccogliere fondi per migliorare il controllo tradizionale delle frontiere. Si tratta di una proposta per certi versi rivoluzionaria, sicuramente nuova e insolita, che potrebbe dare adito a critiche ma anche a riflessioni.
Se lo scopo è di controllare i flussi migratori ed eliminare i trafficanti, l’idea migliore potrebbe essere quella di abbinare le politiche di repressione alla vendita di visti a prezzi che taglino fuori dal mercato i trafficanti. Mesnard e Auriol affermano che, se i visti fossero messi in vendita allo stesso prezzo richiesto dai trafficanti, il numero totale di migranti aumenterebbe, ma un duplice approccio potrebbe contenere tale aumento. Di fatto, i trafficanti risponderebbero diminuendo i loro prezzi e facendo concorrenza alle autorità, attraendo i potenziali migranti più poveri, che preferirebbero pagare un prezzo più basso per oltrepassare le frontiere, sebbene con rischi più elevati. Questo avverrebbe solo finché il prezzo dei visti non raggiungesse livelli così bassi da tagliare fuori la concorrenza dei trafficanti, non più in grado di proporre tariffe minori senza andare in perdita. In questo caso, la tratta di esseri umani sarebbe eliminata ma, allo stesso tempo, aumenterebbero i flussi di migranti entrati legalmente nel paese. Tuttavia, un aumento del numero di migranti potrebbe essere limitato utilizzando i fondi provenienti dalla vendita dei visti per migliorare i controlli interni e alle frontiere, il che aumenterebbe i costi per i trafficanti e ridurrebbe i guadagni previsti derivanti dall’immigrazione clandestina (i costi operativi dei trafficanti aumentano con l’applicazione dei controlli alle frontiere). Un altro modo sarebbe applicare una repressione interna, sotto forma di espulsioni e sanzioni a carico di chi assume gli immigranti clandestini. I risultati dello studio dimostrano che la vendita dei visti, affiancata a un rafforzamento delle politiche repressive, non deve avvenire a basso prezzo per eliminare dal mercato i trafficanti. Non tutti sarebbero in grado di sostenere il costo di un visto e questo ridurrebbe, alla fine, i flussi migratori. Il gruppo di Francois Gemenne del Cnrs (Centre national de la recherche scientifique) di Michel Agier del Ehess(École des hautes études en sciences sociales) studiano gli effetti secondari economici negativi della clandestinità contro un modello di libera circolazione delle persone e le conseguenze di una liberalizzazione in cinque zone geografiche. Questo modello non è molto lontano da quello di Mesnard e Auriol.

immigrazione-visti
Alice Mesnard

Abbiamo, allora, cercato di comprendere meglio la proposta e posto alcune domande ad Alice Mesnard, cercando di attualizzare la teoria e soprattutto di comprendere come questa si possa coniugare con le politiche repressive precedentemente e attualmente in essere a livello europeo, oltre che con le nuove proposte avanzate dal governo italiano in sede di Unione europea.

La sua idea è chiara: autorizzare le migrazioni per limitarle; una complementarità tra legalizzazione e repressione, che solitamente sono percepite in contrasto. Ma come pensa di poter spiegare a un lettore comune che non sia un economista, come me, la formula che propone nel suo studio?
Vendere i visti d’entrata permette di legalizzare i flussi. Invece di migrare illegalmente pagando i trafficanti, i candidati all’emigrazione potranno acquistare un diritto a migrare legalmente. L’interesse a vendere tali diritti d’entrata, rispetto a una politica di legalizzazione a costo zero, è di controllare la quantità di migranti che arrivano nei paesi ricchi, il che pare essere una delle principali preoccupazioni dei politici dei Paesi Ocse. Noi proponiamo di vendere tali diritti a ogni candidato all’immigrazione, senza “razionamento”. In effetti, un “razionamento” di tali visti, come avviene oggi, genera un mercato nero dell’immigrazione illegale, con “vettori” (trafficanti) che vendono i loro servizi. Dunque, per riassumere, vendere i visti permette di legalizzarli e di regolare (in funzione del loro prezzo) il numero d’immigrati in arrivo. Ma tale politica deve essere accompagnata da un aumento reale ed efficace della repressione. Infatti, se si vendono i visti a prezzi molto elevati, i trafficanti possono rispondere abbassando i loro prezzi e proporre dei servizi “low cost”. Questo comporterebbe, immancabilmente, un aumento del numero totale dei migranti, il che non è l’obiettivo. Per eliminare i trafficanti dal mercato, bisogna, dunque, arrivare a proporre un prezzo relativamente basso che impedisca loro di rispondere perché, abbassando ancora il prezzo, inevitabilmente fallirebbero.

Cerchiamo di attualizzare la sua teoria: in primo luogo, come poter immaginare di presentare un’idea tale a governi, come quello italiano, che si trovano a dover far fronte a una situazione molto complessa e per certi versi inedita? Se si è confrontati a problemi di accoglienza immensi e di decessi a pochi chilometri dalle proprie coste, come si può convincere della bonta’ di un sistema di vendite di visti d’entrata?
Il problema reale è quello di come allineare questa politica con l’altro obiettivo di non aumentare il flusso dei migranti. Per questo si deve, allo stesso tempo, aumentare la repressione. Aumentare i costi operativi dei trafficanti (se la repressione è rivolta a loro) o diminuire il profitto del loro commercio (quando la repressione prende di mira coloro che impiegano i lavoratori clandestini) permette di eliminare più facilmente il traffico di esseri umani con un prezzo dei visti d’entrata non troppo basso.

Se i prezzi non devono essere troppo bassi, per arrivare a una “selezione” dell’immigrazione, come fermare il traffico che riesce a proporre prezzi inferiori? Abbiamo visto qualche giorno va che gli scafisti nordafricani organizzano anche trasferimento su yacht di lusso, dove ci sono cibo e acqua e condizioni molto diverse a quelle dei barconi dei “poveri”. Come poter essere competitivi con la vendita dei diritti d’entrata?
La nostra politica è precisamente quella di non mettere criteri di selezione agli acquirenti dei visti. Tutti possono acquistarli, ognuno deve averne diritto e possibilità. Va notato che tale politica non è in contrasto con il mantenimento dei diritti a entrare gratuitamente (in nome dei diritti umani e secondo le convenzioni internazionali in vigore), riconosciuti ad un certo tipo di migranti che richiedano asilo politico. Essa rappresenta, a nostro avviso, un miglioramento alla situazione attuale che non fa che rinforzare i trafficanti di esseri umani, razionando i visti. La chiusura delle frontiere rafforza il monopolio dei trafficanti. Bisogna affrontare l’immigrazione in termini di mercato e di concorrenza, cioè far sì che sia lo Stato a controllare i flussi migratori, non i trafficanti, e sbaragliarli dal mercato. Dalla vendita di tali diritti si possono poi generare fondi che sostengano i costi della repressione, il che è già di per sé interessante.

Qual è, a suo avviso, l’ostacolo principale all’applicazione di tale politica?
La realtà e che i governi preferiscono chiudere gli occhi davanti alle oltre 200.000 persone che, di fatto, arrivano in Europa ogni anno. Uno dei problemi principali è la volontà politica dei nostri dirigenti. Vogliono avere sul loro suolo un maggior numero di migranti legali o un numero stabile d’illegali, sapendo che un gran numero di loro muore ogni anno nel Mediterraneo? La questione è allora quella di sapere quale tipo d’immigrati si vuole avere sul suolo dei paesi ricchi. Con gli avvenimenti odierni nel Mediterraneo non si può più far finta di nulla. Si tratta di una scelta politica: si vuole legalizzare l’immigrazione o no? Analogamente possiamo pensare a quanto avvenuto con la legalizzazione di alcune droghe leggere, dopo accese discussioni e diversi risultati: impensabile alcuni anni fa, ma oggi molti paesi la prevedono.

Si può riflettere, si può ragionare su una proposta che ha spunti di riflessioni utili.
Intanto, il 20 aprile, il Consiglio europeo congiunto dei ministri degli affari interni ed esteri ha reso pubblico un piano di azione in 10 punti in risposta alle recenti morti dei migranti nel Mediterraneo: 1) rafforzamento (con fondi e materiali) delle operazioni di pattugliamento marittimo nel Mediterraneo (denominate Triton e Poseidon), 2) rafforzamento degli sforzi volti a catturare e distruggere le imbarcazioni utilizzate dai trafficanti (sul modello dell’operazione anti-pirateria Atalanta al largo della Somalia, una missione allo stesso tempo civile e militare), 3) riunioni regolari periodiche dei servizi europei delle dogane e della giustizia, per trattare le richieste d’asilo politico in cooperazione e comprendere modi operativi dei trafficanti e contrastarli, 4) invio, in Italia e Grecia, di équipe provenienti dai servizi di assistenza ai richiedenti asilo dei paesi dell’Unione, 5) raccolta delle impronte digitali da parte dei servizi dei vari Stati dell’Unione, 6) esame, da parte dell’Unione Europea, delle opzioni relative a un meccanismo di rilocalizzatone d’urgenza dei migranti, 7) lancio di un progetto pilota, su base volontaria, da parte della Commissione Europea, per la suddivisone dei rifugiati fra i Paesi dell’Unione, 8) definizione di un nuovo programma che preveda il rientro rapido dei migranti “irregolari”, coordinato da Frontex, a partire dai paesi mediterranei dell’Unione, 9) rafforzamento delle azioni nei paesi limitrofi alla Libia, tramite sforzo congiunto tra Commissione Europea e servizi diplomatici dell’Unione, 10) impiego di funzionari incaricati di raccogliere informazioni sui flussi migratori nei Paesi di partenza e rafforzamento del ruolo delle delegazioni europee sul territorio.

Gli attivisti ritengono che i punti siano insufficienti, perché la proposta “soluzione” condurrà ancora una volta allo stesso risultato: violenza e morte. In particolare, la critica riguarda il rinforzo della missione Triton di Frontex, un’agenzia di contrasto all’immigrazione, creata con il mandato di proteggere i confini e non di salvare vite. Altro punto rilevante riguarda la denuncia dei trafficanti come causa fondamentale delle morti in mare. Secondo gli attivisti, che da tempo operano attraverso “Watch the Med” [vedi] e “Alarm Phone” [vedi], l’unico motivo per cui i migranti sono costretti a rivolgersi ai trafficanti è l’esistenza stessa del regime europeo dei confini. Le reti di trafficanti sparirebbero immediatamente se chi muore in mare potesse raggiungere l’Europa legalmente. Il regime di visti che impedisce loro di farlo è stato introdotto solo 25 anni fa. E questo sostiene, allora, parte della tesi di Mesnard e Auriol. Anche qui si rivendica la libertà di movimento come unica risposta possibile a questa situazione, la sola in grado di aprire uno spiraglio d’immaginazione politica in un dibattito altrimenti soffocante e soffocato. Solo la possibilità di accedere legalmente e senza condizioni al territorio europeo può porre fine alla morte dei migranti in mare. Queste sono le ragioni per cui gli attivisti chiedono l’istituzione di traghetti umanitari, che dovranno andare, ad esempio in Libia, a evacuare quante più persone possibile. Queste persone dovranno essere portate in Europa, e a esse dovrà essere garantita protezione incondizionata, senza che siano sottoposti a una procedura di asilo che, di fatto, ha perso il suo scopo originale di protezione ed è diventata un altro strumento di esclusione. Inoltre, i traghetti sarebbero molto più economici rispetto alla prospettiva di una missione di salvataggio di massa in mare e di ogni altra soluzione militare. Né i processi di esternalizzazione delle procedure d’asilo e del controllo delle frontiere, né l’intensificazione della sorveglianza e della militarizzazione e neppure il rispetto degli obblighi legali di salvataggio in mare potranno fermare le stragi in mare. L’unica cosa di cui c’è bisogno, nell’immediato, continuano gli attivisti, sono dei traghetti e la garanzia di accessi legali al territorio europeo. Si parla, insomma, di valutare una legalizzazione dei diritti d’entrata controllata e monitorata, seriamente. Tutti insieme, di concerto, coordinati. Saranno pronte l’Unione europea e le organizzazioni internazionali a fare questo passo, o sarà la società civile a doverlo fare per loro?

L’intervista è stata condotta in francese e tradotta in italiano dall’autrice dell’articolo.

La foto in evidenza è tratta dal sito di Giornalettismo.com

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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