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In principio era Ursula Andress, splendida protagonista de “L’infermiera“, film del 1975 antesignano della commedia erotica all’italiana. Il nome Ursula evoca in effetti immagini e suggestioni pornordiche a molti italiani della generazione sessanta e settanta. Chi avrebbe mai detto che quell’infermiera, nell’immaginario collettivo, si sarebbe prepotentemente evoluta in un medico dal viso spigoloso, crocerossina dell’Europa dallo scranno di Presidente della Commissione Europea, unica istituzione a poter presentare progetti di legge al Parlamento europeo: Ursula Von Der Leyen, appunto. Tedesca nata in Belgio, anche se il cognome fiammingo è quello del marito, aria da insegnante severa (tutti ne abbiamo avuta almeno una) e inflessibile.

Invece flessibilità e diplomazia saranno alcune tra le doti che dovrà sfoderare più spesso. Non aveva ancora finito di illustrare il nuovo Piano Marshall da lei denominato “Next Generation EU” che già l’Olanda – sineddoche comunemente usata per indicare i Paesi Bassi – faceva sapere che la sua idea di Europa solidale era molto distante da quella illustrata da Ursula, e che il negoziato sarebbe stato lungo e laborioso. 750 miliardi di euro (da aggiungere  ai 1.100 del bilancio pluriennale e ai 540 già approvati per strumenti diversi tra cui il MES), di cui 500 a fondo perduto e 250 di prestiti. Una operazione extralarge per tamponare la trasformazione skinny di un’economia che il Covid19 sta riducendo alla fame, e purtroppo l’immagine per alcuni strati della popolazione è calligrafica. Di questi 750 miliardi, 172 sono quelli destinati all’Italia (di cui 82 circa a fondo perduto, una specie di helicopter money), la quota maggiore tra tutti i paesi europei.

“Le manovre più audaci sono quelle più sicure” ha detto Von der Leyen, e la frase mi ha colpito. Normalmente un compromesso abbassa le reciproche aspettative e conduce ad una soluzione mediana che soddisfa e non soddisfa le parti in ugual misura. Ursula ha invece evocato un compromesso al rialzo, una sorta di ossimoro necessitato dagli eventi, un termine al quale lasciare l’accezione di accordo e levare quella di rinuncia; perchè rinunciare a qualcosa ha senso se si può in cambio conservare il resto. Ma qui, dice Ursula, non ci sarà più un “resto” da conservare per nessuno se tutti non faranno un passo avanti, insieme. E’ una solidarietà necessaria, obbligata, imposta dalla Storia, che in questi termini non ha nulla a che spartire con un atto di buona volontà, molto più a che fare con una scelta di sopravvivenza o di “resilienza”, termine che ha usato più di una volta.

Ben presto il sollievo e l’entusiasmo quasi istintivo che hanno accompagnato in prima battuta l’esposizione dell’ambizioso piano, verranno avvicendati dalle perplessità, dagli scetticismi e dalle oggettive difficoltà che la Commissione Europea, nella sua parte più avanzata, dovrà affrontare per portare a regime l’intervento, le cui incognite sono tante.

La prima è il tempo. “Next Generation UE” sarà al centro del vertice europeo del 19 giugno. Nel frattempo e chissà per quanto ancora, le singole economie dovranno fronteggiare le difficoltà dei loro concittadini da sole, e qui noi italiani siamo tra quelli messi peggio, sia per fabbisogno sia per risorse da mettere in campo.

La seconda incognita è “chi paga”. Secondo Ursula Von der Leyen dovranno pagare tutti per tutti. La mutualizzazione dell’impegno, che dovrà necessariamente passare anche per una armonizzazione dei regimi fiscali, è uno scoglio asperrimo che verrà opposto da paesi come Olanda e Svezia, che ci vedono come spendaccioni e inaffidabili. Tuttavia l’abbarbicarsi dei “tulipani” al loro fisco “leggero”, che attrae sedi aziendali di comodo da ogni parte d’Europa, comincia ad assomigliare ad un’arrampicata su specchi scivolosi. Un conto è, infatti, incassare poche tasse da tanti quando le spese da finanziare sono quelle di un bilancio ordinario. Un altro conto è finanziare con entrate light uno sforzo di spesa eccezionale, quale quello che dovranno sostenere causa Covid anche i fenomeni che hanno creato i loro paradisi senza palme (e non sono solo gli olandesi).

Il vero colpo da maestro (anzi, da maestra) che Von der Leyen conta di assestare risiede nelle fonti di finanziamento di questo debito a lungo termine assunto o assumendo da parte della Commissione Europea. Con la carbon tax, con tasse sulle emissioni di Co2 e con imposte finalmente appropriate ai volumi di affari di quei colossi del web che attualmente approfittano della “liquidità” dei loro business per eludere il pagamento di un giusto contributo al gettito dei paesi in cui realizzano profitti. E’ questo lo scarto di qualità, non solo di quantità, che potrebbe autorizzarci a non considerare puramente pubblicitario il nome di “Next Generation”  affibbiato, con una certa prosopopea “contemporanea”, al piano.

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

La rubrica SCHEI di Nicola Cavallini esce su Ferraraitalia tutte le settimane al giovedì.
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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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