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Forza Italia (almeno quel che ne resta) e Partito Democratico (almeno quel che ne resta) a far fronte comune contro questo governo di irresponsabili e fascisti.
Allarmi! Allarmi! La democrazia è a rischio! Tutti sull’Aventino per protesta… anzi no!
“Anzi no… Perché mai tacer quando tutti i media stanno dalla nostra parte? Quando ogni santo giorno, da mattina a sera, televisioni, radio e giornali ospitano e pubblicano fior di esperti e opinionisti e politici e giornalisti a parlar male e a criticare ogni azione e ogni parola di questo infausto governo?
Anzi no… stiamo sul pezzo! Non sia mai che la gente – e pure quegli stupidotti (tanti) che questa assurda maggioranza l’han votata – finalmente si convinca. Si renda conto del tremendo rischio che sta correndo”.
Bene, di quale rischio stiamo parlando?
Rischio per la democrazia? Capirei che si parlasse di rischio per la democrazia se adesso fossimo in democrazia.
Ma è vera democrazia un paese in cui il governo non possa decidere in piena autonomia la propria politica economica e sociale perché posto sotto ricatto dai mercati finanziari internazionali?
Rischio di fallimento del paese?
Ma come può l’Italia fallire se tuttora siamo uno dei paesi più ricchi al mondo. Un paese in cui, nonostante tutto, il risparmio privato (contrariamente rispetto all’estero) è uno dei maggiori al mondo.
E allora, con queste premesse, perché l’Italia è finita nell’occhio del ciclone? Perché è diventata bersaglio dell’Unione Europea? Perché lo spread sale minacciosamente?
Ma poi, cosa diavolo è questo spread, e perché le agenzie di rating ci stanno prendendo di mira?

Esponenti illustri di Forza Italia parlano di rischio per la democrazia e di deriva sovranista. Intanto il buon Silvio va a trovare il suo caro amico russo Vladimir, che proprio democratico non è, e un po’ sovranista sì.
Quelli del Pd, renziani in testa, si augurano che questo governo mandi in malora il paese. Se lo augurano per rinfacciarlo poi al popolo ignorante e beduino, colpevole di non aver capito nulla. Se sapessero, quelli del Pd, che sono proprio loro a non aver capito nulla della gente.

Il fatto, a me pare, è che in questo marasma generale nessuno voglia sprecarsi per cercare di capirci qualcosa. È più facile fare il tifo. Prendere per buono ciò che ci fa più comodo.
Lo fanno i partiti, i politici, lo fanno le persone. Ma la cosa più grave è che lo fanno pure i giornalisti. Non dubito che molti di loro siano in buona fede, questo però non aiuta, anzi.

Tutti noi guardiamo sempre la tv e qualche volta leggiamo i giornali. Ascoltiamo con attenzione ciò che ci dicono e leggiamo ciò che scrivono. Adesso cerchiamo di ripassare le informazioni che ci arrivano e con esse proviamo a immaginare questa scena: un tizio che arringa la folla sul pericolo rappresentato da barboni e mendicanti, mentre tutto intorno la gente intenta ad ascoltare non s’accorge che distinti signori in doppio petto e scarpe firmate stanno sfilando a ognuno dei presenti il portafogli. Il paradosso è che anche quelli che se ne accorgono fanno finta di niente perché indotti a credere che, se i soldi te li porta via uno che veste elegante, certamente dietro ci deve essere un motivo ragionevole e inevitabile.
Ebbene, se i signori distinti ed eleganti fossero le banche?

Chiediamoci anche il perché, nei vari dibattiti che tutti i giorni infiammano i talk show televisivi, esperti economisti, giuristi, sociologi, e chi più ne ha più ne metta, che dissertano e pontificano su economia e finanza, non pongano mai in discussione i criteri di calcolo dei tassi d’interesse sul debito, men che meno i meccanismi reali che stanno dietro il fenomeno dello spread. Ovvero non si chiedano mai quale sia la sua vera ragion d’essere, o perché debbano esistere le agenzie di rating.
Ciò che costantemente si sente sono continue discussioni sullo spauracchio del suo innalzamento e delle conseguenze che questo comporterebbe sulla gente. Terrorismo istituzionalizzato.
Si dà per scontato che il meccanismo dello spread sia lecito e inevitabile. Che non sia invece frutto di speculazioni della finanza. Che sia normale che queste famose agenzie di rating, col potere di declassare l’economia di un intero paese e, guarda caso, appartenenti a grandi multinazionali finanziarie private, abbiano di fatto il diritto di influenzare le decisioni politiche di un governo.

Le parole sovranista e populista sono diventate bestemmie da scandire in ogni dibattito. Si pensa ai vari Le Pen, Orban, fino al Salvini nostrano. Disprezzabili esempi di politiche di chiusura e isolamento, di tendenze antidemocratiche, di ideologie razziste? Probabilmente sì, o forse non esattamente. Questi tizi non stanno simpatici neanche a chi scrive, ma dobbiamo seriamente preoccuparci? Davvero crediamo all’approssimarsi di nuovi Hitler o Mussolini? Davvero siamo così condizionati da decenni di asservimento al modello corrente da non vedere che già da tempo non godiamo più delle nostre libertà?

Ma concettualmente cosa significa il tanto temuto sovranismo? Magari riappropriarsi della sovranità del proprio paese, del proprio potere decisionale. Senza rendere conto a enti stranieri privati che tutto hanno a cuore fuorché il benessere del cittadino.
E cosa significa il tanto vituperato populismo? Magari rivendicare una politica più attenta al suo popolo, alla sua gente, quindi alla risoluzione dei suoi problemi e dei suoi bisogni. E magari non ossequiosa di banche estere e nemmeno sotto ricatto di speculatori finanziari stranieri. Cosa c’è di così sbagliato in tutto ciò?
Dall’Enciclopedia Treccani.
“Sovranismo: posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione”.
“Populismo: movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Si proponeva di raggiungere, attraverso l’attività di propaganda e proselitismo svolta dagli intellettuali presso il popolo e con una diretta azione rivoluzionaria, un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate”.
Tutto questo merita davvero lo sdegno e l’insofferenza del mondo intellettuale? Non sarebbe forse meglio capirne le ragioni profonde senza preconcetti?

Nasce il sospetto che certa intellighenzia, quella con il pass d’accesso ai principali media istituzionali, si sia definitivamente appiattita all’establishment. Che il modello dominante e ormai straripante, quello dell’economia finanziaria globale, sia considerato sempre più un totem inattaccabile e imprescindibile. Che quei pochi pensatori – di fatto relegati ai margini, se non addirittura esclusi da ogni dibattito pubblico – che osano metterlo in discussione siano soltanto poveri utopisti, sognatori patetici, come tanti Don Chisciotte, o magari pericolosi sobillatori anti-sistema alla Guy Fawkes. Tutto fuorché gente con cui confrontarsi e discutere.
Così assistiamo come degli intrusi – e con un misto di fastidio e apprensione – alle performance dei primi, quelli pro-sistema, che dialogano comodamente tra loro dalle poltrone dei salotti televisivi, amabilmente accolti da giornalisti compiacenti, tutti intenti a mettere a proprio agio i loro ospiti.
Intanto, il solco tra questi autorevoli esperti, convinti portavoce del modello dominante, e la gente semplice diventa sempre più profondo e incolmabile.

Paragonano l’Italia alla Grecia, senza considerare il fatto che l’Italia è un paese ricco, mentre la Grecia era ed è rimasto un paese povero. Lo fanno senza denunciare l’assoluta ingiustizia subita dai greci, depredati da un giorno all’altro dei loro risparmi per ingrassare le casse già grasse di banche estere ‘amiche’ e dei loro azionisti (soltanto speculatori spacciati per benefattori).
Ci mettono in guardia da catastrofi imminenti, ci minacciano e ci impauriscono riempendosi la bocca con lo spettro di uno spread alle stelle e di una condanna senza appello delle agenzie di rating. Lo fanno con aria saccente e si sognano bene dal mettere in discussione l’eticità e la legittimità di codesto spread e di codeste agenzie. Lo fanno senza chiedersi assolutamente se questi meccanismi voluti e generati da una finanza speculativa in netto contrasto coi bisogni del cittadino non siano invece una forma di vera e propria aggressione all’autonomia decisionale di un paese. Tutto ciò non fa onore a questa genìa d’intellettuali, politici e giornalisti trasformati in sibille dell’Apocalisse, in profeti dello spread.

Per capirci qualcosa:
Di seguito gli approfondimenti di Guido Grossi (giurista esperto di economia e finanza), Marco Bersani (filosofo esperto di dinamiche sociali), Nando Ioppolo (avvocato ed economista).

Il furto del debito pubblico
Perché non ti fanno ripagare il debito
Cos’è lo spread?

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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