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di Dino Greco
Eravamo nei primi anni Novanta quando la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo (Bs), controllata dalla Fiat, era leader nazionale nella produzione di mine anti-uomo, vendute all’Iraq in 9 milioni di esemplari. Vi lavoravano un pugno di ingegneri, pagati a peso d’oro, e 40 operaie, addette allo stampaggio, per 800 mila lire al mese.
In assemblea ponemmo in tutta la sua gravità il problema della corresponsabilità anche di chi lavorava alla costruzione di quegli ordigni di morte. La prima risposta fu: “Noi non abbiamo le mani sporche di sangue; se non facciamo noi le mine le farà qualcun altro”.
Allora organizziamo un incontro in Camera del lavoro con Gino Strada al quale partecipò l’intero consiglio di fabbrica. La riunione fu introdotta da un documentario che Gino aveva portato con sé sui tragici e indiscriminati effetti delle mine, soprattutto sulla popolazione civile, sui bambini, con mutilazioni permanenti, provocati da ordigni in qualche caso fatti a forma di bambole affinché suscitassero l’interesse dei più piccoli. Lo shock fu potente ed innescò nelle lavoratrici una catarsi, una presa di coscienza che avviò una delle più straordinarie battaglie sindacali e di civiltà che io ricordi.
A quel primo incontro con Gino Strada ne seguirono altri, mentre maturata la decisione di chiedere l’interruzione della produzione delle mine e l’avvio di un processo di riconversione. Ma la Valsella non aveva alcuna intenzione di rinunciare ad una produzione lucrativa come nessun’altra. Cominciarono gli scioperi, via via più intensi, fino a trasformarsi in un blocco a oltranza dell’attività. Il prezzo era altissimo. Dopo mesi di lotta le operaie e le loro famiglie vivevano a credito. La lotta non aveva contenuti salariali o normativi. Era il grido di donne che dicevano all’azienda dove si fabbrica la morte: “Noi non saremo complici”. Quelle operaie vinsero, perché la moratoria nella produzione di quegli ordigni infami ne bloccò la produzione.
A quel punto si fece avanti un’azienda, la Vehicle Engineering&Design, che si candidò a rilevare l’impresa per produrre motori elettrici per automobili: indubbiamente un bel salto, dalle mine a motorizzazioni ecologiche.
Ma la nuova azienda pose una condizione: potere vendere alla Spagna il brevetto dell’Istrice, un dispositivo per il disseminamento delle mine dall’alto, senza mappatura, con le conseguenze che ciascuno può immaginare. L’azienda promise che il denaro incassato sarebbe servito anche per saldare alle lavoratrici le mensilità arretrate.
In assemblea intervenne la compagna più anziana, componente del consiglio di fabbrica e disse queste parole: “ragazze, in questi mesi abbiamo fatto tanta strada insieme e siamo cambiate. So che è dura, ma non possiamo tornare indietro. Quindi, nessuna macchia. Se la nuova azienda vuole subentrare, nessuna condizione.”
Le operaie approvano, tutte, con un grande applauso. A sera scrivemmo alla Engineering comunicando le decisioni assunte di comune accordo fra sindacato e lavoratrici. Per uno di quei rari casi che talvolta capitano, l’azienda rispose che rinunciava alla propria richiesta. Seguì una grande manifestazione, in realtà una festa. I brevetti furono restituiti al Ministro della difesa e gli stampi delle mine bruciati in piazza.
Sono certo che distanza di oltre vent’anni tutte le operaie ricordino questa vicenda come uno dei momenti più importanti delle loro vite e che il ricordo di colui che tanta importanza ebbe nella loro maturazione non è mai venuto meno.
Ben fatto, caro vecchio Gino.
La terra ti sia lieve.
Dino Greco:  sindacalista, è stato anche dal 1999 al 2007 segretario generale della Camera del Lavoro di Brescia. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi principalmente suLiberazione, Il manifesto, La Rivista del manifesto, Critica Marxista, Carta, Alternative, Rinascita. Dopo aver lasciato il sindacato alcuni suoi scritti sono stati raccolti e pubblicati in un libro intitolato “Identità, progetto, democrazia”. Nel 2008 si iscrive al PRC e nel 2009 diviene direttore del quotidiano Liberazione. Dal 2013 è membro del Comitato politico nazionale e della Direzione nazionale del Prc e responsabile del dipartimento Formazione di Rifondazione Comunista.
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Caro lettore

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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