Skip to main content

“MALEDETTI PACIFISTI: Come difendersi dal marketing della Guerra”. Emergency, in collaborazione con Mediterranea Ferrara,  ha invitato il giornalista scomodo” Nico Piro a presentare il suo ultimo libro. L’autore dialogherà con Girolamo De Michele. Presentiamo sotto un contributo dello stesso De Michele.

 

Nico Piro è un giornalista con una lunga esperienza di inviato sul campo: non un’opinionista con l’elmetto griffato, per intenderci.

È stato, ad esempio, in Afghanistan, ma anche nel Donbass; ha ricevuto numerosi riconoscimenti: premi giornalistici nei quali risuonano i nomi di Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutuli, Giancarlo Siani. Collabora con Emergency dai tempi in cui Gino Strada non era una sorta di santo laico – ora che è morto e non può più parlare –, ma una voce scomoda per quello che diceva, per quello che faceva, e anche per chi gli era accanto.
Una voce che continua a risuonare nelle pratiche cui ha dato il via, e anche in questo prezioso libretto, Maledetti pacifisti: che è, a dispetto delle poche pagine, un libro importante.

Ho scritto “un” libro, ma sono almeno due- Il secondo, come annunciato dal titolo, è una vibrante difesa dell’idea di pacifismo e del valore della pace.
il primo, è una narrazione puntuale di come si è creato un ambiente nel quale la guerra può essere venduta “come una partita di calcio dove se accade un infortunio si tira fuori il cartellino rosso”. Nel quale, a partire dal fabbisogno di combustibili fossili, l’etica è diventata un optional (qualcuno ricorda I tre giorni del Condor?).

Piro si inserisce di fatto all’interno di una narrazione, avviata da Italo Calvino con le sue Lezioni americane, sulla “peste del linguaggio” che si manifesta da tempo “come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze”.
Non per caso Calvino, che proseguiva una riflessione avviata da Pasolini e Sciascia, chiamava in causa anche la nuova (negli anni Ottanta) comunicazione audiovisuale, dunque il mezzo della televisione, all’epoca non ancora sottomessa alla dittatura dell’audience e delle entrate pubblicitarie. Oggi, scrive Piro, l’emorragia di pubblico dai media generali, incapaci di rinnovamento e innovazione genera una concorrenza diffusa aggravata da una classe dirigente “di un paio di generazioni, perennemente al comando, in onda o in prima pagina”, poco incline e ancor meno interessata al cambiamento.

La soluzione per combattere a basso costo la guerra dell’audience è opinionizzare l’informazione”, sulla strada inaugurata dall’emittente americana Fox News, mentre sulla carta stampata si moltiplicano le collaborazioni a basso costo, i contratti di solidarietà, il pensionamento dei cronisti di lungo corso e la riduzione degli spazi di approfondimento. Il risultato, dai canali televisivi ai quotidiani, è “il circo dei talk show”, basato su una elementare catena del valore: “si fanno affermazioni divisive, gli articoli vengono condivisi sui social, ci si spacca tra favorevoli e contrari, tra je suis… e indignati un tanto al chilo”.
In questa situazione, allo scoppio del conflitto, seguendo dinamiche già sperimentate, la tv si rifugia nella formula della par condicio, alla quale segue la formula “uno di destra e uno di sinistra”, che nel caso del conflitto russo-ucraino significa “uno contro la Russia e uno a favore della Russia”. Tutto questo non serve a riflettere criticamente sulla guerra, ma a creare una polarizzazione necessaria, perché l’informazione è come un detersivo: deve lavare più bianco; e poco importa se lo slogan corrisponda o meno alla realtà: l’importante è che venda.

Polarizzata l’opinione pubblica, la guerra può essere venduta come un valore condiviso, poiché in un mondo polarizzato bisogna necessariamente schierarsi da una parte: lo slogan “c’è un aggressore e un aggredito” (variante: Davide contro Golia, e poco importa se Davide abbia in questo momento uno degli eserciti pià armati del mondo), nella sua elementare ovvietà, serve a questo. Ovvero, a reiterare che le questioni sono semplici – con buona pace di chi cerca di ricordare che non ci sono tutti i cattivi da una parte e tutti i buoni dall’altra: lo stesso Nico Piro, avendo la colpa di aver fatto un servizio giornalistico nel Donbass filorusso, dal 2019 non ha il permesso di entrare in Ucraina.
La stesa guerra viene “normalizzata”: collocata “a debita distanza”, affinché lo spettatore sia libero di distrarsi; raccontata da esperti che non rendono mai pubbliche le fonti cui attingono, rendendo indistinguibile il confine fra leak (diffusione non voluta di informazioni riservate), fonte personale e campagna di PsyOp, cioè la propaganda di guerra. Il tutto all’interno di frame definiti da slogan o frasi ad effetto; ad esempio, prospettando un nuovo scenario dove “non è il momento di smettere” (slogan già usato nella “guerra alla droga” degli anni Ottanta: e sappiamo come non è andata a  finire), senza porsi il problema del “dopo” e delle conseguenze: l’importante è rinnovare il messaggio “che la guerra è tutto sommato un male gestibile e sopportabile“.

L’emergenzialità della guerra diventa la normalità: “chi chiede pace viene apostrofato come qualcuno che vuole la resa degli ucraini e la vittoria dei russi”.
La pace può essere pensata solo come conseguenza della guerra, come un suo sottoprodotto: è una delle molte modalità della cultura dello scarto.
La pace cessa di avere un valore autonomo, con una propria dignità: anche per generazioni che ieri sfilavano con le bandiere della pace, o che prima ancora avevano manifestato per il Cile. Schierarsi diventa una scelta di valori: “l’atlantismo come categoria superiore che ingloba tutti i princìpi fondativi dell’Italia”, con la stessa acriticità con la quale sul finire del secolo scorso si è accettata la globalizzazione, e prima ancora, negli anni Trenta, l’avvenuta unificazione del mondo senza mettere a critica il fatto che queste visioni unificanti del globo erano il prodotto di un modello politico e culturale (occidentale e capitalistico) sulle restanti aree del globo.

Diventa allora importante recuperare strumenti, allestire casematte, per combattere la battaglia culturale della controinformazione: considerare il racconto che ci viene offerto per quello che è, ovvero un prodotto, e distinguere la sostanza dal suo rivestimento. Forse dovremmo tutti riguardare Blow up di Antonioni, anche per ricordarci di quando il grande cinema che non era solo una sequenza di effetti speciali nei quali niente ci sorprende e nulla ci fa pensare: “fare un passo indietro rispetto alla valanga di informazioni che ci piove addosso, prendere un respiro profondo e provare a identificare la trama della narrazione come si fa per una serie tv, identificarla come tal e e smontarla, chiederci dove porta la storia, dove il regista vuole che i nostri occhi guardino, dove gli sceneggiatori vogliono indirizzare le nostre emozioni”.

E ricordarci ogni giorno le parole di Gino Strada: “come le malattie più gravi, anche la guerra deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente”.

Cover: Nico Piro con Gino Strada, Sierra Leone, 2015

tag:

Girolamo De Michele

Girolamo De Michele è nato fra le diossine di una città del sud e vive fra le emissioni nocive di una città del centro-nord; non fuma per non fornire alibi futuri. Lavora nella scuola pubblica come probapossibile insegnante, viene dalla filosofia, e va dove lo portano il vento e le dita sulla tastiera.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it