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Febbraio, andiamo, è tempo di migrare. Sarebbe settembre per il Vate e per i suoi pastori, ma
ogni anno a febbraio, a seconda della data di scadenza delle iscrizioni scolastiche, si
danno i numeri delle migrazioni dalle medie alle superiori. È un rito a cui il Ministero
dell’Istruzione non si sottrae: tanti iscritti ai licei, tanti agli istituti tecnici, tanti agli
istituti professionali.
Una contabilità distributiva priva di pensiero. Si segnalano percentuali impercettibili di
crescita, rispetto agli anni precedenti, di questo liceo a scapito dell’altro, dell’istruzione
tecnica a scapito di quella professionale.
Cosa significhi tutto questo per il sistema formativo del Paese viene il dubbio che al
Ministero dell’Istruzione non abbiano mai sentito l’esigenza di domandarselo, quasi che a
contare sia la gara tra istituti scolastici ad accaparrarsi il maggior numero di iscritti.
Se i licei, nell’immaginario collettivo, o comunque nella gerarchia dei saperi su cui si fonda
l’istruzione nel nostro paese, costituiscono il top dell’offerta formativa, dovrebbe allarmare
che solo il 56 per cento, anziché il cento per cento degli studenti, in uscita dalla terza
media, li scelgano, ed essere preoccupati per quanto è destinato a perdere il 44 per cento
che ha optato per l’istruzione tecnica e professionale.
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di scelte che comportano vantaggi differenti.
Forse, se non fosse però, che nel sistema scolastico che ci teniamo dai tempi di Gentile, al di là
della loro qualità intrinseca, istruzione tecnica e istruzione professionale sono considerate
di serie B e di serie C. Diversamente, tutto sarebbe ‘luce’, vale a dire liceo, ma
oggettivamente non è proprio così.

Cosa spinge un giovane di tredici anni a scegliere un percorso scolastico piuttosto che un
altro? A quella età è difficile avere davanti a sé un chiaro progetto di vita: se il futuro è vago per gli
adulti, figuriamoci per un adolescente. E gli adulti che gli stanno accanto, dai
genitori agli insegnanti, con i piedi ben radicati nel presente, spesso disillusi, non sono i
migliori consiglieri di un giovane che deve decidere la propria strada.
Non si può fingere di ignorare che a condizionare le opzioni di un tredicenne e della sua
famiglia sia il peso che il sistema scolastico stesso ha esercitato nella sua esperienza di
studente. E non c’è consiglio di orientamento e prospettiva di occupazione qualificata che
possano contare.

Ciò che vale è la storia di successi e di insuccessi che ognuno si porta dietro. Se la scuola
che ha frequentato gli ha cresciuto la fiducia in sé e l’amore per lo studio o se, invece, di
entrambe l’ha deprivato sempre più.
Una storia che spesso è il prodotto non solo dei propri errori ma anche degli sbagli di una scuola
incapace di cambiare, imbrigliata nei propri schemi, nei propri stereotipi, nel manicheismo
per cui ai licei va chi ha voglia di studiare, chi riesce bene in tutte le materie, mentre per gli
altri ci sono gli istituti tecnici e la formazione professionale. Come se la voglia di studiare e
la riuscita in tutte le materie fossero una responsabilità individuale di ogni singolo studente
e non dell’intero sistema scuola e famiglia.

I numeri delle iscrizioni non ci dicono tutto questo, sono statistiche afone e soprattutto non
dicono del fallimento del nostro sistema scolastico spesso incapace di colmare carenze e
lacune, che costringe a scegliere come proseguire gli studi con troppo anticipo rispetto a
quanto avviene in altri paesi del mondo. Quando ancora non hai potuto misurare i tuoi
interessi e i tuoi talenti, costringendo a scelte in base ai talenti che hai dimostrato di non
possedere anziché di avere, e semmai la colpa non è neppure tua.
È dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso che da noi si parla, senza mai
concludere niente, di riforme della scuola. Riforme che in realtà non si sono mai volute
fare, perché sul significato dell’istruzione, sul diritto a realizzare se stessi nello studio e a
non essere umiliati da un sistema che ancora seleziona per censo e per storie.
Sulla fondamentale opportunità che l’istruzione costituisce per ogni persona per tutto l’arco della vita, non si è mai voluto ragionare seriamente.
Ora si sente balbettare di ‘istruzione gratuita per tutti’, ma non si sa con quali mezzi e con quale
convinzione. E prima ancora della gratuità economica occorrerebbe interrogarsi sul significato
della gratuità e della passione umana che dovrebbero pervadere di sé tutto il sistema
formativo del paese.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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