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Uno dei fenomeni nuovi è l’arrivo sulla scena politica (non solo quella economica più che nota) delle grandi corporations trans-nazionali, di cui ha parlato nel post del 14 novembre Simone Oggionni [Vedi qui].

Per esempio Elon Musk, attualmente il più ricco al mondo (200-230 miliardi di patrimonio personale), con le vendite della sua Tesla in Cina (diventata la prima compagnia di auto straniera) ha fatto tali profitti da comprarsi Twitter per 44 miliardi.
A Musk i suoi 534mila follower non bastano, meglio un potente social per influenzare il mondo come fa anche Jeff Bezos di Amazon con il Wall Street Journal. I ricchi si mettono in proprio e contano ormai più dei primi ministri anche perché i politici cambiano con le elezioni (a parte gli autocrati) e i ricchi no.

In Cina Tesla ha venduto solo nel 3° trimestre 2022 83 mila auto, un quarto del totale mondiale (344mila), meno del colosso cinese nazionale BYD ma più delle altre case che vendono auto elettriche (cinesi incluse).
A Shangai dal prossimo mese produrrà col nuovo stabilimento Tesla un milione di auto all’anno (Model 3 e Model Y) sia per il mercato locale cinese che Europa ed Australia.

I Cinesi acquisteranno nel 2023 6 milioni di auto elettriche e Tesla è in pole position. Musk ha stretti rapporti col vice di Xi Jinping (che resterà almeno per altri 5 anni), Li Qiang (che viene dato per prossimo premier).
Li Qiang ha favorito la nascita della prima fabbrica Tesla nell’area speciale di Lingang e ha garantito quella assistenza durante la pandemia che non ha avuto Apple (migrata in Vietnam). Tesla è l’unica azienda a cui i cinesi concedono di non avere una joint-venture con altri cinesi o lo Stato e una riduzione delle imposte sui profitti (15% anziché 25%).

Come mai la Cina è così prodiga nei confronti del miliardario sudafricano? Le multinazionali sono diventate dei moderni ‘Stati’ che possono influire su molte cose (inclusa la geopolitica) ma hanno però un punto debole: non hanno eserciti. In attesa che questo avvenga, in un mondo in via di de-globalizzazione, chi può, fa affari coi cinesi.

Musk, in una intervista al Financial Times, ha ricambiato le gentilezze ricevute dallo stato cimese, dichiarando che Taiwan dovrebbe diventare una “zona amministrativa speciale”, facendo un grande favore alla Cina, la cui politica (con Taiwan) èuno Stato due sistemi”, strategia che prelude ad una sua annessione ben prima del 2050.

Elon Musk ha dato un aiuto fondamentale all’Ucraina mettendo a disposizione il suo sistema satellitare Starlink/Space X a banda larga dopo la distruzione delle infrastrutture da parte dei Russi.
Ai primi di ottobre aveva però chiesto agli Usa di pagarlo, proponendo anche un piano di pace per nulla peregrino: riconoscimento della Crimea russa e garanzia di rifornimento idrico, neutralità militare dell’Ucraina (dunque fuori dalla Nato) e un nuovo referendum per le province russofone del Donbass.

Per Musk questo sarà l’accordo: “Si tratta solo di capire quanti morti servono ancora prima di realizzarlo”. Musk sa bene che il potere tecno-finanziario gli dà la possibilità di muoversi come uno Stato potente.
Certamente più potente dell’Europa, del tutto ammutolita e allineata all’atlantismo Usa.

Musk intrattiene, come già detto, buoni rapporti con la Cina, che gli ha chiesto di non vendere nel suo territorio i kit per collegarsi al suo sistema satellitare Starlink/Space X.
Ovviamente la Cina non ha bisogno di chiedere “per favore” a Musk di non venderli in Cina: le basta un qualsiasi provvedimento amministrativo (non osservando da 22 anni alcuna regola che pure le aveva imposto il WTO per entrare a farne parte). Quindi vuol dire che si riferisce non tanto alla Cina ma a Taiwan, che dipende per il suo internet da 15 cavi sottomarini e che ha fatto un investimento di 25 milioni di dollari per connettersi via spazio in caso di danneggiamento.

Del resto, avendo già l’Occidente regalato lo spazio alle multinazionali di Musk e Bezos (in concorrenza tra loro), non resta che da temere il dragone cinese che potrebbe da un momento all’altro porre il veto ai satelliti dei due miliardari.

Da qui l’importanza di investire in social e giornali e nella geopolitica e “tenersi buona” la Cina. Anche Amazon è (non a caso) un grande investitore cinese (nel porto Nigbo farà una enorme piattaforma per importare prodotti da Germania e UK). Così fanno anche altre multinazionali come Starbucks che ha inaugurato la 6millesima caffetteria in Cina (ne aprirà altre 3mila entro il 2025).

Le multinazionali vanno dove fiutano l’odore dei soldi e il mercato cinese è, potenzialmente, di 1,4 miliardi di consumatori.
Non stupisce quindi che, nel momento in cui materie prime ed energia diventano essenziali per il loro sviluppo, esse guardino a chi le possiede (Cina) con crescente interesse. Una evoluzione paradossale perché erano state 20 anni fa incoraggiate proprio dagli Americani (e dai Dem in particolare) a crescere in un mondo globale. Ora però la Cina si è ‘messa in proprio’: diventa sempre più competitor degli Usa e cerca di sedurre le multinazionali made in Usa con favori nel proprio mercato e materie prime oggi essenziali a questi giganti.

Se non si costruisce un modello di sviluppo alternativo a quello degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale guidata dai colossi privati e dai mercati, basato sul primato del lavoro, dell’occupazione e dell’umano sulle macchine, sulla difesa della Natura  e non sulla sua distruzione per la ricerca di una crescita infinita, correremo a perdifiato verso impoverimento e crescente caos.

Solo una Europa indipendente da Usa e Cina potrebbe dare corpo a questo processo. Purtroppo in questo vuoto di iniziativa i grandi ricchi fanno i loro interessi e si sostituiscono all’Europa.

Cover: Elon Musk,  foto ZoomViewer su licenza Wikimedia Commons

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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