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Antefatto: la Sinagoga italiana di via Mazzini, luogo mitico, devastato durante la guerra dall’odio razzista e chiuso al pubblico per decenni è stata teatro della prima riunione tenuta in preparazione della ventesima edizione della Giornata europea della Cultura Ebraica il cui tema era: Sogni. Una scala verso il cielo. Si entra nella spaziosa sala dove ancora alcuni armadi e lapidi ricordano la sua funzione e nello splendore della mattinata settembrina la vista è immediatamente attratta dai grandi finestroni che danno sui tetti dove due colombe tubano. Imperioso riaffiora il ricordo del celebre passo de Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani tra i momenti più alti dello scrittore:

“Quando ci incontravamo sulla soglia del portone del Tempio, [….] finiva quasi sempre che salissimo in gruppo anche le ripide scale che portavano  al secondo piano, dove ampia, gremita di popolo misto echeggiante di suoni d’organo e di canti come una chiesa- e così alta , sui tetti[…], coi finestroni laterali spalancati […] c’era la sinagoga italiana”.

E nella solennità, ribadita anche dalle parole di Bassani, che gli ebrei conoscevano così bene della esclusività di appartenere alla sinagoga italiana non a caso devastata dalla furia fascista, in quella sala si è svolto il gruppo di conferenze sul sogno indette dalla Comunità e dal Meis.

Inizia il Rav Luciano Caro  capo della Comunità ebraica ferrarese su un’affascinane tema: “Sogni nella Torah” in cui,  con lo spirito arguto che lo distingue, racconta la funzione, il senso, la necessità dei sogni specie nella prima parte della Bibbia, ovvero il Pentateuco.

A seguire Simonetta della Seta direttore del Meis affronta un importantissimo argomento legato a una figura fondamentale per la nascita e sviluppo del Sionismo: “Il sogno sionista di Theodor Herzl a Ferrara”. La studiosa racconta come uno dei maggiori studiosi e propagatori del Sionismo, lo Herzl, contatta un importante personaggio ebreo ferrarese, Felice di  Leone Ravenna, che fu tra i fondatori, insieme a Carlo Conigliani, della Federazione sionistica italiana (FSI) di cui tenne la presidenza fino al 1920. Il Ravenna riesce ad ottenere per lo Herzl un appuntamento e con il re Vittorio Emanuele III e con il nuovo papa Pio X avvenuti nel 1904.I due rimasero uniti epistolarmente  e preziosa risulta una cartolina esibita dalla relatrice inviata da Vienna a Ravenna da Herzl, scritta in italiano “ Saluti e bacci” con due ‘c’.  Infinitamente meglio dei contemporanei ‘bacioni’!  Un sogno, dunque, politico che tangenzialmente coinvolge Ferrara e la Comunità ebraica.

Massimo Acanfora Torrefranca, vice presidente della Comunità ferrarese e musicologo di fama ha parlato di un oratorio poco conosciuto di Schönberg, “La scala di Giacobbe”. Lo sviluppo dell’opera, la sua parziale composizione s’intrecciano nelle parole del Torrefranca con la faticosa vita privata del compositore sempre alle prese con malattie, con il servizio militare, con il suo innegabile negativismo personale. Si svolge il percorso della composizione con la stesura del testo, l’impossibile idea di farlo eseguire con effetto stereofonico da un organico colossale : un coro a 12 voci formato da 720 coristi; in più altri due cori invisibili e a 13 cantanti soliti. Ne “La scala di Giacobbe”  (traggo le notizie dalla guida all’ascolto dell’Oratorio, eseguito dall’Orchestra Virtuale del Flaminio, di Sergio Sablich) il protagonista non è  Giacobbe ma colui che sta in cima alla scala elevata al cielo: l’arcangelo Gabriele  “ che –scrive Sablich- sta presso il trono divino e passa in rassegna le anime  che sfilano davanti a lui [..] Dalla massa anonima emergono alcune voci: Gabriele le interroga sui loro destini individuali e ne mostra a ciascuno la limitatezza. Solo l’espiazione e la preghiera possono avvicinare l’uomo a Dio innalzandolo fino all’apice della scala:”

Alla fine del racconto si innalzano le note sublimi che invadono la sala e rendono l’atmosfera magica.

L’ultimo intervento della mattinata  è quello del professor Gavriel Levi insigne biblista: “ La Torah sogna?/ sognare la Torah” uno splendido intervento che ruota  attorno ad alcuni sogni del Genesi : quelli di Giuseppe, quelli del Faraone ed altri sogni interconnessi per convalidare la tesi straordinaria enunciata nel titolo.

 SOGNI CON ANIMA E CORPO

 Per i cento anni di Primo Levi, le sue poesie in musica

“Sognavamo nelle notti feroci,

Sogni densi e violenti

Sognati con anima e corpo:

Tornare; mangiare; raccontare”.

(Primo Levi, versi tratti dalla poesia “Alzarsi”, 11 gennaio 1946)

Il 15 settembre, poi, in occasione della ventesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica dedicata a “Sogni. Una scala verso il cielo”, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, in collaborazione con il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Primo Levi e la Comunità ebraica di Ferrara, organizza un concerto dedicato alle poesie di Primo Levi incentrato sui sogni di libertà e liberazione dopo il trauma della Shoah.

Shai Bachar, Shulamit Ottolenghi,Simonetta della Seta,Frank London (Foto di Marco Caselli Nirmal)

Lo splendido concerto tra i più importanti eseguiti a Ferrara negli ultimi anni e che ha visto la presenza del prefetto di Ferrara e di molti rappresentanti dell’associazionismo ferrarese ma non i rappresentanti dell’amministrazione nasce dalla meditazione di Shulamit Ottolenghi -cantante di World Music , emigrata in Israele nel 1973. Nel 2013 ha cominciato la sua collaborazione con i due altri musicisti da cui è nata la registrazione del CD “For you the sun will shine- Songs of women in the Shoah”- di mettere in musica le poesie di Primo Levi che nella bibliografia del grande scrittore rappresenta un episodio non molto conosciuto. Le poesie di Primo Levi  pubblicate dall’editore Garzanti nel centenario della nascita dello scrittore sono state meditate ed elaborate dalla Ottolenghi con l’aiuto di due musicisti di fama internazionale, Frank London, vincitore di un Grammy per la Contemporary World Music  e Shai Bachar compositore, pianista e produttore.

Così il programma di sala espone i motivi del Concerto “Sogni con anima e corpo”:

“Esattamente come la sua prosa, la poesia di Levi, scritta sporadicamente nel corso di alcuni decenni, è precisa, descrittiva, fatta per comunicare i moti dell’animo, sensazioni ed emozioni: a volte forse anche quelle sensazioni ed emozioni che sembra egli abbia avuto pudore di portare allo scoperto nei suoi testi in prosa.  “Le melodie che accompagnano questi testi – penetranti, incalzanti e a volte terribili nella loro immediatezza – ne sottolineano e intensificano il significato, senza mai sopraffarlo o contraddirlo con un’eco impropria. È una musica dell’anima che all’anima parla”Il connubio profondo di parole e musica risulta estremamente attuale e nel contempo a-temporale e si pone per chi ascolta, non solo come un’esperienza estetica, ma anche come una riflessione etica. “..

Dopo l’esecuzione de “Il canto del corvo” mi sono ritrovato con il viso bagnato di lacrime: Non lacrime di commozione , ma di sdegno.

E nell’immenso “Shemà” alla ripresa di

“Considerate se questo è un uomo,

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno”

mi si è parata davanti la figura di Liliana Segre e quella lì presente, in teatro,  di Marcella Ravenna.

Alla fine tutti gli spettatori nel teatro strapieno sono usciti commossi e giustamente sconvolti mentre lo scalone del Municipio, deserto, rappresentava plasticamente l’assenza.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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