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“Ben ben !!!” – direbbe nonna Cisa – “ti tocca cambiare identità”. Naturalmente sta parlando al criceto in cui mi trasformo nella mia metamorfosi settimanale ed io mi preoccupo subito. Ma perché? Apre a ore la mostra su un artista di strada il celebre Banksy a Palazzo dei Diamanti. La mostra, pubblicizzata ai massimi livelli e curata da Pietro Folena e da Metamorfosi, con cui ho avuto contatti diretti nella preparazione di celebri esposizioni canoviane, prevede l’arrivo di un quadro, l’ultimo eseguito al tempo del Lockdown dal misterioso artista. Il quadro descrive i celebri topini dell’artista che asserragliati in bagno mettono tutto sottosopra. Eccone una descrizione:

Anche l’artista della strada è costretto fra le mura domestiche e si sente topo in trappola. Sono 9 i topini in lockdown. Ce ne è uno che conta i giorni di prigionia segnandoli con il rossetto sullo specchio sostenuto da altri due roditori. Sembrano più criceti su una ruota che topini furtivi, come quando sono all’aperto, gli animali simbolo dell’artista. Ce n’ è uno che corre sulla carta igienica come fosse sul tapis roulant, uno che prende il sapone (tutti devono lavarsi le mani), ma anche chi tira la corda dell’allarme e chi, in barba alle regole, non centra la tazza del water….” Ma benché io possa vantare una priorità sulla trasformazione cricetina qui riassunta in “sembrano più criceti su una ruota che topini”, devo cedere alla priorità dei grandi e da umile pseudo topo vorrei lasciare il campo.

Premetto che non andrò a vedere l’esposizione per l’assoluta mancanza d’interesse che ho per questo artista, ma di fronte ai suoi topi-criceti dovrei assumere un’altra identità. Subito il pensiero corre ai pelosi per eccellenza ma avendo avuto due sublimi creature, che entrambe portavano il nome di Lilla, il problema non si pone. D’altronde la carissima amica Anna Dolfi ha deciso di dialogare con me, assumendo le spoglie di Golden, canino delizioso. Potrei rivolgermi alla sorella Laura che pochi giorni fa ha pubblicato su questo giornale un bellissimo testo giovanile di Garcia Lorca nella traduzione del poeta Caproni e che da poche ore ha pubblicato presso Feltrinelli un testo importantissimo: Giorgio Caproni, “Pianto per Ignacio”. Versioni da Garcia Lorca e altri poeti ispanici, dove la valentissima studiosa ha recuperato decine e decine di traduzioni di testi poetici spagnoli – sconosciute finora – del poeta italiano. La tentazione più grande resta dunque quella di trasformarsi e  assumere le spoglie della Mariposa, ovvero della farfalla. Questo lepidottero ovviamente ha una sua versione maschile immortalata da Mozart:
“Non più andrai, farfallone amoroso,/notte e giorno d’intorno girando;/delle belle turbando il riposo/Narcisetto, Adoncino  d’amor.”

Prima di tutto non so se ci sia una farfalla maschio, ma sembrerebbe di sì, almeno dal testo mozartiano e se il farfallone è la metafora della dissolutezza, il farfallino assume anche l’aspetto di una cravatta elegante quindi normalmente attributo maschile, ma certo – come mi fa osservare la grande comparatista e teorica della letteratura  Enza Biagini – la ‘mariposa’ si sviluppa da un bruco. E a noi i bruchi non piacciono.
Potrei guardare anche agli altri animali dell’opera di Lorca cioè gli scarafaggi ma dopo il fondamentale libro di Ian McEwan, Lo scarafaggio, mai usurperei il campo a un così importante animale.

Da lontano frattanto, mentre s’allenta la rigorosa consegna delle mascherine che, dopo averle faticosamente reperite in quantità industriali, ora sembrano inutili all’aperto, mi affretto a degustare altre importanti opere che potrebbero permettermi di spaziare in universi letterari ben conosciuti. Così alla ripartenza leggo con stupore che il bagno di Forte dei Marmi dove fugacemente incontrai Eugenio Montale, l’Alpemare, ora è divenuto di proprietà del cantante Andrea Bocelli; ma il ricordo ritorna alla straordinaria scena di un pranzo in quel bagno, dove il poeta spariva dietro le siepi di pitosfori per fumarsi la sua sigaretta e la Mosca, sua moglie, notoriamente semi-cieca urlava: “ Guarda Eusebio [il nome di protagonista delle sue Poesie] che ti vedo!” E il suo bellissimo racconto della costruzione della villa di Camaiore, dove passai estate memorabili quando, come in una tragedia di Shakespeare, un’intera foresta si mosse per rinverdire i tre colli su cui venne costruita la villa.

Così ripensando ancora alle trasformazioni in atto ho deciso – non senza farmi forza – a riprendere il mio aspetto di criceto. Almeno fino alla fine del coronavirus.
Verrà con me, se i tempi lo permetteranno, a respirare l’aria salvifica dei monti e a tenermi compagnia nelle tristi serate al Laido degli Estensi, o a verificare l’ultima passione mondiale: la mancanza misteriosa di identità di artisti, scrittori e poeti, quasi che il mondo pretenda l’anonimato di chi elegge a sua immagine e rappresentanza, da Banksy a Elena Ferrante.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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