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Dagli oltre 30.000 di Messina agli 8.000 di Reggio Emilia. Oltre 350.000 persone si sono ritrovate ieri in piazza in diverse città d’Italia, per celebrare da Nord a Sud la XXI Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di tutte le mafie, quest’anno intitolata “Ponti di memoria. Luoghi d’impegno”: per costruire un’Italia che non si limita a dire cosa non va ma si mette in gioco per farle andare. Da Messina, scelta perché il paese ha bisogno non di grandi opere, ma di “ponti che allargano le coscienze e traghettano le speranze”, a Reggio Emilia, la città dei fratelli Cervi e del processo Aemilia, perché è necessaria “l’opera quotidiana di cittadini responsabili” per tradurre “la speranza di cambiamento in forza di cambiamento”. Tutti insieme, dalle 11 in poi per 40 minuti, hanno letto l’elenco di circa 900 nomi di padri, madri, figli, figlie, fratelli e sorelle uccisi dalle mafie nella storia dell’Italia. A Messina nella lettura si sono alternati giovani e famigliari, un ponte di memoria fra adulti e nuove generazioni. Contro “l’anestesia delle coscienze”, “la caduta del senso etico”, una memoria “non di circostanza”, ma “condivisa”, come ha affermato don Luigi Ciotti aprendo il suo discorso, che “non si limita a ricordare le vittime innocenti, ma si impegna a realizzare gli ideali per i quali sono vissute”. Ponti per il futuro costruiti con ideali e parole: scuola, cittadinanza, inclusione, partecipazione, dignità, responsabilità e libertà.

presidio giuseppe francese
I ragazzi del Presidio studentesco Giuseppe Francese di Ferrara a Reggio Emilia

“Nessun ragazzo sia escluso dalla scuola”, una scuola che deve fornire “la competenza alla cittadinanza”, per imparare a “riconoscersi uguali cittadini e diversi come persone” e a comprendere come “la libertà sia il più prezioso dei doni e la più esigente delle responsabilità”. Responsabilità, impegno e partecipazione, perché “le mafie non sono un corpo estraneo, sono i parassiti” che distruggono la nostra società. Noi stessi li alimentiamo, quando non denunciamo un sistema che non rispetta la dignità di milioni di persone, siano esse alle prese con la povertà materiale e culturale, di diritti e di valori, con il ricatto delle mafie e del lavoro nero, o siano gli immigrati “oggetto di accordi umilianti come quello fra Europa e Turchia, frutto dell’ipocrita distinzione tra profugo di guerra e migrante economico – ha denunciato don Ciotti – come se la guerra non fosse combattuta soprattutto con armi economiche e non fosse essa stessa fonte di profitto”. E poi c’è la dignità dell’ambiente in cui viviamo, una questione che secondo don Ciotti riguarda “il bene comune”, non “gli orientamenti personali”: a proposito delle trivellazioni e del referendum del prossimo 17 aprile ha parlato di “diritto delle popolazioni a opporsi allo scempio della propria terra”.
Un’altra parola per costruire ponti è “inclusione”, che “sta alla base della democrazia”. “Le mafie e la corruzione non troveranno spazio in comunità solidali, inclusive”, se “insieme sapremo vincere l’egoismo, l’indifferenza, l’opportunismo”, definiti da don Ciotti “i peccati più grandi della nostra epoca”.
Un ricordo agli amministratori, ai magistrati e alle forze di polizia che fanno il proprio dovere con coraggio, ai giornalisti che raccontano l’Italia che resiste e che si impegna, a Ignazio Cutrò e a Tiberio Bentivoglio, che con la loro testimonianza di dignità sono diventati parole di carne, ai “giovani dell’area penale della giustizia minorile”, che devono essere aiutati “a prendere coscienza delle proprie responsabilità”. Infine il richiamo alla Costituzione come “primo testo antimafia del nostro paese”, “bisogna amarla e applicarla”, “dobbiamo farla diventare costume e cultura”. In essa sono sanciti i “diritti sociali” senza i quali non si possono esercitare i diritti politici e civili.
Don Ciotti però non ha omesso le preoccupazioni che intralciano la costruzione di questi ponti di memoria, di impegno, di libertà: sull’iter della legge istitutiva del 21 marzo, che ha appena passato la prima lettura in Senato, e riguardo i beni confiscati, “uno strumento non usato in tutte le sue potenzialità”. Per giocare questa partita decisiva “occorre un’agenzia nazionale più attrezzata”, “un maggior coinvolgimento degli enti locali”, “occorre evidenziare il valore etico e sociale” delle esperienze di riutilizzo sociale e rimettere al centro “il problema delle aziende: il grande fallimento di questi anni”.

Il 21 marzo a Ferrara
Anche a Ferrara il 21 marzo è iniziato con il nome di una vittima innocente delle mafie: Roberto Mancini. Mancini, come ricordato dal referente del Coordinamento provinciale di Ferrara di Libera Donato La Muscatella, è morto nell’aprile 2014, a 53 anni, per cause di servizio: è l’investigatore che con le sue indagini, all’inizio degli anni Novanta, ha anticipato di 15 anni Gomorra e la Terra dei Fuochi. Da quelle indagini alla fine è stato avvelenato.
A Ferrara questo 21 marzo si è parlato di ecomafie, dei nuovi strumenti per combatterle e di come riconoscerne i primi sintomi, con l’incontro “A munnezza è oro. Una strage silenziosa. Società civile e diritto nel contrasto alle ecomafie” – presso il dipartimento di Giurisprudenza – e la presentazione del libro di Daniela De Crescenzo “Così vi ho avvelenato. Il grande affare dei rifiuti tossici raccontato da un boss della camorra” (Sperling and Kupfner) alla libreria Feltrinelli. Entrambi gli eventi sono stati organizzati in collaborazione da Comune di Ferrara, Coordinamento Provinciale di Ferrara di Libera, Laboratorio MaCrO del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, Regione Emilia Romagna e Avviso Pubblico – Enti Locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie.
Alessandro Bratti, presidente della commissione parlamentare ecomafie – che quest’anno compie vent’anni, come la legge sulla confisca e il riutilizzo sociale dei beni della criminalità organizzata – nel suo intervento ha sottolineato la stretta connessione fra ecomafie e corruzione e come i reati ambientali rappresentino un vulnus non solo per l’ambiente, ma anche per la salute e l’economia di un territorio. E non è detto che il territorio sia solo quello campano. La distrazione di risorse economiche dall’economia legale e la creazione di una competizione distorta, sbilanciata a favore di chi non rispetta le regole, per non parlare degli enormi introiti che poi vengono riciclati in altre attività, sono tutte conseguenze dei fenomeni di “illegalità ambientale”, termine secondo Bratti preferibile al più evocativo ‘ecomafie’, che coinvolgono tutto il nostro paese. Gli eco-reati, come il traffico e lo smaltimento illegale di rifiuti, sono un vantaggiosissimo business per i clan; anche per questo c’è ormai una vera e propria internazionalizzazione, con direttrici che portano soprattutto verso Cina, Albania e Romania.
Bratti ha spiegato poi come ad aver favorito l’illegalità sia stato anche il fenomeno dei “commissariamenti”: agendo in deroga alle leggi ordinarie, la gestione del ciclo dei rifiuti è avvenuta “in regime emergenziale”, per esempio con affidamenti diretti senza gare. E questo non ha giovato alla trasparenza e alla legalità. Per quanto riguarda l’amministrazione, l’onorevole ha puntato il dito contro “la gestione clientelare del consenso”, attraverso “assunzioni nelle società” per la gestione della raccolta e dei trasporti dei rifiuti.

copertina ecomafie
La copertina del libro

Anche alla Feltrinelli si è parlato della pervasività geografica degli eco-reati. Non si tratta solo del fatto che i rifiuti smaltiti illegalmente venivano dalle imprese del Nord Italia. Daniela Di Crescenzo, autrice di “Così vi ho avvelenato”, ha rivelato che in realtà “non possiamo sapere fino in fondo dove siano finiti i rifiuti”. Il suo libro si basa sulle rivelazioni del pentito di Camorra Gaetano Vassallo, che racconta come in molti casi non avesse mai visto il materiale da smaltire, ma avesse “solo venduto la bolla”, cioè “la ricevuta delle spese di smaltimento”. Per Daniela il veleno dei rifiuti è anche il veleno morale della corruzione, che contagia e contamina le coscienze di amministratori, tecnici, imprenditori, “tutto per denaro”. “In Campania come in Veneto” il meccanismo è lo stesso, ha affermato Bratti. E ora, concordano i due, con “500 milioni circa messi a disposizione del sistema”, il rischio è che si crei un nuovo business: “quello delle bonifiche”. In altre parole “il rischio è che oggi bonifichino le stesse persone che prima hanno inquinato”, ha detto Di Crescenzo.
Tuttavia qualcosa è cambiato: dal maggio 2015 con la legge n°68 il Parlamento ha introdotto i reati ambientali nel Codice Penale e il bilancio fra guadagni e rischi delle attività illegali nel settore ambientale non è più così vantaggioso. La legge è un “passaggio importante”, perché fattispecie come inquinamento e disastro ambientale, abbandono illecito e impedimento del controllo, sono ora punibili penalmente e perché si è dato “specifico rilievo alle connessioni fra criminalità organizzata e crimini ambientali”, ha spiegato Costanza Bernasconi di Unife. Anche gli interventi di Giuseppe Battarino, consulente della Commissione Parlamentare Ecomafie, e di Antonio Pergolizzi, dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente, si sono focalizzati sulla nuova legge sugli eco-reati del maggio 2015. Pergolizzi ha parlato di “strumenti più efficaci per perseguire questi crimini odiosi”, come dimostra anche il dossier che verrà presentato proprio oggi da Legambiente sui “primi dieci mesi di applicazione” delle nuove norme: i numeri parlano di “1000 notizie di reato” e “784 prescrizioni” comminate.

A margine delle iniziative, abbiamo chiesto all’onorevole Bratti – che riveste anche la carica di presidente degli Ecologisti democratici ed è coordinatore dei parlamentari Ecodem – un commento sul referendum sulle trivellazioni, al quale anche don Ciotti aveva accennato in mattinata durante la manifestazione di Messina. La sua posizione è netta: “noi riteniamo che questo sia un referendum assolutamente inutile e fuorviante, perché che vinca il sì o che vinca il no, il giorno dopo non succede assolutamente nulla. Detto questo, dato il valore simbolico insito in ogni referendum, riteniamo si debba andare a votare ed esprimere il proprio voto. Però deve essere chiaro che questo referendum non cambia, se non di pochissimo, lo sfruttamento delle risorse fossili autoctone. Il tema vero è la rivisitazione della strategia energetica nazionale”.

Il 21 marzo a Reggio Emilia e a Ferrara (clicca sulle immagini per ingrandirle)

Libera Reggio
La manifestazione di Reggio Emilia
Libera Reggio
La manifestazione di Reggio Emilia
Libera Ferrara
L’incontro a Giurisprudenza
Libera Ferrara
La presentazione alla Feltrinelli

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Ponti di giustizia e legalità

Guarda il video della piazza di Messina

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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