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“Quando ripenso a tutte le stronzate che ho imparato alla scuola superiore, è un miracolo che io possa ancora pensare…”.
No, non mi riferisco alla mia esperienza scolastica; l’autore di questa frase è il cantautore Paul Simon che introduce così una sua canzone, scritta nel 1972.
In questa prima strofa mi sembra abbastanza chiara la sua dura critica al sistema educativo statunitense di quel periodo.
Non me ne intendo abbastanza per scriverne nel merito ma se quella scuola era impregnata di puritanesimo come ha dimostrato qualche insegnante con cui abbiamo corrisposto via mail ai primi degli anni novanta per una ricerca sulle filastrocche per fare la conta (leggi), allora canto anche io la stessa canzone condividendone il contenuto.
Infatti ricordo con immutato stupore che diversi docenti americani si erano molto scandalizzati e avevano giudicato male la nostra scuola quando avevano saputo che i bambini italiani, per scegliere chi di loro doveva star sotto in un gioco, andavano a raccontare ai quattro venti che la figlia di un medico aveva una relazione sentimentale con tre civette, con le quali compiva addirittura peripezie a carattere sessuale su un mobile di legno; in più trovavano drammatico che tale rapporto avesse fatto aggravare le condizioni di salute del padre della ragazza!!!
Chissà cosa avrebbero pensato quegli insegnanti se solo avessero saputo che anche un certo signor Cecchino, di professione cacciatore, era destinatario privilegiato delle attenzioni amorose di una cornacchia extracomunitaria!
Condivido il fatto che la scuola italiana abbia qualche problema ma questi non dipendono sicuramente da una cornacchia del Canadà e neanche da tre civette sul comò.
Kodachrome è il titolo della canzone di Paul Simon ma prima di allora era soprattutto il marchio di una pellicola fotografica prodotta dalla Kodak.
La canzone di Paul Simon fa riferimento ad una pellicola unica e straordinaria per diversi motivi: aveva una sensibilità incredibile, riusciva ad esaltare i particolari, offriva una durata nel tempo notevole, forniva un’immagine estremamente nitida della realtà; in pratica celebrava i singoli colori armonizzandoli in un insieme cromatico unico.
In cambio però richiedeva un trattamento di sviluppo lungo e complesso.
Infatti il Kodachrome era una pellicola che nasceva originariamente in bianco e nero e solo dopo, in fase di sviluppo, venivano aggiunti i copulanti cromogeni, che in parole semplici sono le sostanze che, reagendo, sviluppano i colori.
In pratica, a differenza di tutte le altre pellicole che  già avevano nell’emulsione i copulanti del colore, al Kodachrome i colori venivano aggiunti dopo.
Se a Paul Simon la presa di posizione canora sulla scuola gli ha impedito una maggiore diffusione del suo brano, a me quella canzone fa venire in mente che anche nella nostra scuola c’è bisogno di metterci i colori perché, come canta lui, “Everything looks worse in black and white” (ogni cosa sembra peggiore in bianco e nero).
Ho già scritto e detto più volte sul perché ci sia assoluto bisogno di investire culturalmente ed economicamente sulla nostra scuola e sul come farlo.
Nonostante tutto continuo a credere che nella scuola, per un’efficace trasformazione cromatica, ci sia bisogno dapprima di prendersi cura di “coloro che possono aggiungere colore in fase di sviluppo”: sto parlando di tutte le persone che vivono la scuola.
Persone” ancor prima che “personale” della scuola: studenti, personale docente e ata, dirigenti.
Potrei elencare una serie di azioni che si riferiscono al prendersi cura, fra le quali: prestare attenzione, ascoltare attivamente, accogliere, coinvolgere, sostenere, valorizzare, rispondere.
In questo momento però se chi governa la scuola fosse intenzionato a dimostrare interesse, l’elemento irrinunciabile da cui partire dovrebbe essere la restituzione della dignità di cui le “Persone della scuola” sono state derubate in questi anni.
Basterebbe che i politici iniziassero da alcune piccole/grandi cose come il riconoscimento del ruolo sociale della scuola, il rispetto delle reciproche competenze, la chiarezza nelle comunicazioni, la correttezza nelle decisioni, la coerenza fra le dichiarazioni di intenti e gli impegni poi assunti.
Abbiamo un bisogno vitale che si crei una scuola “dalla sensibilità incredibile, che riesca ad esaltare i particolari, che offra una durata nel tempo notevole, che fornisca un’immagine estremamente nitida della realtà; in pratica una scuola che, celebrando i singoli, riesca ad armonizzarli in un insieme unico“.
Il trattamento di sviluppo potrebbe essere lungo e complesso ma, dopo i lunghi anni nei quali la scuola italiana è stata rabbuiata da una Stella che continua ad essere portata in Carrozza, con Letizia, attraverso un prato di Fioroni che fanno poco Profumo, abbiamo la necessità di iniziare ad illuminarla a partire dal colore vivace e deciso della dignità.
P.S. Quella in apertura è forse la foto più famosa della storia della rivista National Geographic. La ragazza afgana ritratta si chiama Sharbat Gula; dopo un attacco che uccise i suoi genitori fu costretta a scappare scalando le montagne fino ad arrivare al campo rifugiati di Nasir Bagh, in Pakistan, con i suoi fratelli e la nonna.
Fu lì che Steve McCurry scattò questa fotografia ormai famosissima… usando pellicola Kodachrome.
Sharbat, all’epoca, aveva 12 anni e non sapeva che, attraverso quella foto, il suo sguardo dignitoso sarebbe diventato un simbolo per il dramma dei rifugiati in tutto il mondo.
Il Kodachrome non si produce più e la Eastman Kodak concesse proprio al fotoreporter Steve McCurry l’onore di utilizzare l’ultima pellicola.

Ascolta il commento musicale: Paul Simone, Kodachrome

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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