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7 marzo 1991
circa 20mila albanesi sbarcano a Brindisi: è il primo sbarco di massa

La storia umana è fatta di continue migrazioni. L’Homo erectus raggiunse il Sudest Asiatico circa due milioni di anni fa. Il sapiens 100mila anni fa iniziò a spostarsi nel vicino Oriente. Oggi i flussi migratori sono in continuo mutamento, ma i motivi identici: scampare alla fame e fuggire da una guerra.
Anche l’Italia  è stata al centro di tanti e diversi flussi. Dopo l’Unità e almeno fino al Boom degli anni ’60  è stata un Paese di forte emigrazione. Si stima che tra il 1876 e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone.
Da metà degli anni ’70 in poi per la prima volta un leggerissimo saldo migratorio positivo (nel 1974 si registrarono 101 ingressi ogni 100 espatri). Le immigrazioni non avvenivano come siamo abituati a vederle oggi, non si trattava di immigrazioni di massa.
Il primo grande sbarco avvenne questo stesso giorno, il 7 marzo 1991.

All’orizzonte di Brindisi apparve una cosa mai vista prima. A largo della costa due grandi navi mercantili partite dall’Albania, la Tirana e la Lirija, con a bordo 6.500 persone si dirigevano verso le coste italiane.
In breve tempo la quantità di navi di ogni genere si moltiplicò, gli sbarchi erano continui. Nel giro di 24 ore un numero imprecisato di persone, tra le 18mila e le 26mila, arrivò sul suolo italiano.

Per l’Italia fu una sorpresa. I giornali non si occupavano praticamente mai di quello che succedeva in Albania, in pochi erano a conoscenza della difficilissima situazione che vivevano gli albanesi dall’inizio degli anni ’90. Praticamente nessuno sapeva che nei due mesi precedenti lo sbarco migliaia di albanesi arrivarono nella città portuale di Durazzo sperando di trovare un passaggio su una nave che li portasse in Italia. Il quotidiano di Brindisi in quelle ore scriveva: «gente esausta, affamata, ferita, senza un soldo in tasca, disidratata, semi-assiderata, con addosso indumenti che non potevano proteggerla da un marzo ancora troppo freddo. Eppure tutti quei disperati gridavano, ancor prima di scendere dalle navi, “Italia, Italia” e alzavano le braccia per salutare, con le due dita del segno di vittoria, sorridevano felici.

I brindisini da subito iniziarono una corsa alla solidarietà distribuendo acqua cibo e vestiti caldi spontaneamente, affiancando l’intervento celere ma insufficiente dello stato. Il Quotidiano di Brindisi la definì «una tale corsa alla solidarietà, all’aiuto spontaneo da sembrare quasi concorrenziale». Le persone davanti a tanta povertà e sfortuna non voltarono le testa ma con ogni mezzo possibile aiutarono quelle persone che scappavano dalla miseria.

Gli sbarchi continuarono fino ad Agosto. Migliaia di Albanesi raggiunsero le coste italiane e nonostante molti furono rimpatriati su aerei e traghetti con l’inganno (venne detto loro che sarebbero stati portati in altre città italiane), furono tanti quelli che riuscirono a rimanere in Italia grazie a permessi temporanei poi convertiti in permessi di soggiorno. Una possibilità, quella della conversione dei permessi temporanei, poi cancellata a causa della legge Bossi-Fini approvata nel 2002 dal governo di Silvio Berlusconi. Le norme in questione, soggette a tanti cambiamenti, si sono inasprite ancora nel 2008-09 con il pacchetto sicurezza Maroni approvato dal centro-destra.

Oggi sugli schermi dei nostri televisori siamo abituati a vedere spesso queste scene e abbiamo quasi normalizzato questa dinamica. La politica, come l’opinione pubblica, si è estremamente polarizzata sulle tematiche migratorie: da una parte chi chiede politiche attive per aiutare queste persone e essere realmente solidali, dall’altra chi vorrebbe rallentare l’afflusso inasprendo l’entrata nel nostro paese.

Proprio negli ultimi giorni diversi Paesi in Europa, commentando la dura guerra in Ucraina, hanno dimostrato come persino quando si tratta di persone che scappano da povertà e miseria ci sia una selezione dei migliori, una divisione tra migranti di serie A (europei e bianchi)  e di serie B (africani e neri).

Durante un intervento in Parlamento Matteo Salvini ha richiamato l’attenzione sulla necessità di aiutare chi scappa da una “guerra vera” e non da una “guerra finta”, chiama gli ucraini “profughi veri” anteponendoli a quei “profughi finti” che per anni sono arrivati sulle nostre coste.

In Inghilterra un giornalista ha definito i cittadini ucraini “relativamente civilizzati” contrapponendoli a quelli di Iraq e Afghanistan. Un inviato della BBC definisce “molto toccante” vedere “europei con occhi azzurri e capelli biondi che vengono uccisi”.
La BFM tv di Parigi sottolinea che “non stiamo parlando di siriani in fuga dai bombardamenti”, ma di “europei con auto che assomigliano alle nostre“.
Una giornalista della NBC in Polonia: “per dirla senza mezzi termini” – sottolinea durante il collegamento – “questi non sono rifugiati della Siria, questi sono rifugiati dalla vicina Ucraina, e francamente sono cristiani e bianchi, molto simili alle persone che vivono in Polonia.

La grande onda di empatia che ha investito i Brindisini e tutti gli italiani quel lontano 7 marzo sembra essere scomparsa e aver lasciato posto a molta indifferenza, e spesso a una narrazione razzista.
La memoria del primo grande sbarco dovrebbe insegnarci qualcosa.

Tutti i lunedì, per non perdere la memoria, seguite la rubrica di Filippo Mellara Lo stesso giorno. Tutte le precedenti uscite [Qui]

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Filippo Mellara

Abito a San Lazzaro (BO) e sono uno studente universitario di scienze della comunicazione. Impegnato socialmente nel cercare di creare un futuro migliore, più equo e giusto per tutti. Viaggiatore nel mondo fisico e spirituale, ritengo che la ricerca del sé sia anche la ricerca del NOI. Cresciuto tra Stato e Rivoluzione e Bertolt Brecht.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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