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Vite di carta. Autore, narratore e lettore: da Giulio Cesare a Marco Balzano

Mi sto dedicando alla rilettura di parti dei Commentarii de bello Gallico scritti da Giulio Cesare, il dux della vittoriosa campagna gallica condotta tra il 58 e il 51 a.C. Il libro secondo in particolare è dedicato allo scontro contro i bellicosi Belgi, che mal sopportano la presenza delle legioni romane in Gallia.

E’ guerra, causata sia dalla volontà di conquista del dux, sia dallo spirito di indipendenza dei Belgi. In questo libro si assiste già a un ottimo saggio delle strategie militari romane, che come si sa nel 57 a.C. risultano già vittoriose.

Nel settimo e ultimo libro Cesare racconterà la sollevazione universale dei  Galli guidati da Vercingetorige e la difficile vittoria sulla città di Alesia, che suggella la supremazia dell’esercito romano. E’ guerra ed è vinta da Cesare: Roma acquisisce una provincia ricca di risorse economiche e di cultura; il triumviro Cesare dal canto suo ottiene potere e uno straordinario prestigio personale.

E’ il racconto della guerra ad attrarmi, non soltanto la campagna di conquista in sé. Sono le tecniche narrative adottate da Cesare ad affascinare il lettore, in primo luogo la scelta di esprimersi in terza persona anche per parlare di se stesso. In questi ultimi anni ho ripensato più volte al narratore dei Commentarii, facendo lezioni di narratologia, o leggendo con le classi opere di narrativa e passi tratti da poemi epici.

Recentemente mi ha colpito la profondità di scrittura di un giovane autore italiano, Marco Balzano: la sua bravura nel gestire la figura del ‘narratore’ mi ha riportato proprio al grande condottiero romano.Nei due romanzi di Balzano che ho letto, L’ultimo arrivato del 2014 e Resto qui del 2018, egli utilizza un narratore in prima persona decisamente dialogante, con se stesso e con il lettore.

A dire ‘io’ nel primo libro è il protagonista che migra a Milano dal sud quando è ancora un bambino e non ha con sé la famiglia; la sua vita successiva si svolge nella grande città tra la fatica dei trentadue anni vissuti in fabbrica, il mettere su famiglia e il buco nero degli anni trascorsi in carcere.

Nella parte finale il protagonista tornato a casa dice di essere diventato “un vecchio spelacchiato”, che sta sulle panchine di Milano a passare le giornate, o sulla sedia del tinello a raccontarsi la propria vita. Qui credo che stia la bravura dello scrittore che si è infilato nei panni di un narratore anziano, piagato dai propri errori, che vive una fase della vita più avanzata rispetto alla sua. E sembra proprio vecchio, ragiona e ha emozioni da vecchio. E’ diventato un vecchio.

Nella prima pagina di Resto qui ritrovo la prima persona: chi scrive ancora una volta dice ‘io’ ed esordisce con queste parole: “Non sai niente di me, eppure sai tanto perché sei mia figlia. L’odore della pelle, il calore del fiato, i nervi tesi, te li ho dati io”. Si tratta di Trina, che scrive alla figlia lontana da molti anni  il racconto della vita che non hanno vissuto insieme. Dunque una narratrice. Una donna e anche una madre, che è stata a lungo la maestra di un piccolo paese di montagna.

Quando ne ho parlato in classe ho insistito su questo scarto: i ragazzi faticano a cogliere la differenza tra l’autore e il narratore in un libro, credono che si tratti della medesima entità, che siano del tutto sovrapposti. Ho spiegato molte volte che sono sovrapponibili, che qualcosa dell’autore può restare nei tratti della voce narrante, o viceversa, ma che sono reciprocamente ‘altro’.

Prima di conoscere Resto qui ho fatto ricorso a esempi plateali, a esercizi di scrittura, in cui gli studenti dovevano proprio fingersi di un’altra età o del sesso opposto, oppure dovevano immedesimarsi in personaggi letterari famosi. Qualche volta ha funzionato bene immaginare di essere la Gertrudina, la futura Monaca di Monza, e di subire nell’infanzia il crudele condizionamento della famiglia verso la scelta del chiostro.

Con la lettura di Resto qui eccolo già pronto l’esempio lampante:  l’autore, Marco Balzano in carne e ossa, non coincide in modo evidente con Trina, la narratrice. Però, con quale sensibilità ne veste i panni. Se leggessimo il libro senza conoscere chi l’ha scritto credo che difficilmente ci accorgeremmo che non è una donna. Nella parte centrale del romanzo mi ha incantata la femminilità dello sguardo di lei sul mondo e sulle sue fatiche, sulle passioni e sui dolori.

E Cesare? Ero partita dal suo resoconto della campagna di Gallia e dal suo narrare che è tutto in terza persona. Che soluzione raffinata. Lo scarto tra il dire ‘io e affermazioni del tipo “Cesare, preoccupato dalle notizie e dalle lettere, arruolò nella Gallia cisalpina altre due legioni” è enorme, è in grado di stravolgere la cifra narrativa dell’opera.

Il narratore e protagonista nomina se stesso da un punto di vista esterno, spostando la lancetta della narrazione, che da soggettiva tende a divenir  oggettiva. Nella struttura dei periodi i verbi coniugati alla terza persona segnalano costantemente gli accadimenti. Sono precisi ed efficaci nel segnalare, per esempio, le tappe con cui si svolgono la preparazione di una battaglia e poi lo scontro stesso. Il lettore si forma un quadro preciso delle situazioni e del loro procedere.

Cesare prende atto delle situazioni, le vaglia e decide come condurre le operazioni militari e anche quelle diplomatiche. Cesare, come se fosse un altro. Un grandissimo stratega e un etnografo che indaga i modi di vivere e di pensare delle tante tribù della Gallia. Che offre misurazioni della realtà, che riferisce le notizie, sapendo discernere quali sono certe e quali costituiscono solo delle voci, dei rumores.

Il massimo dell’efficacia è raggiunto quando il narratore onnisciente esalta le qualità degli avversari, quantifica il numero dei soldati, mette in luce il loro coraggio. E il lettore si domanda: se i nemici sono tanto validi, quanto sono valorosi i soldati romani che li hanno battuti? Ecco l’effetto migliore della raffinata traslazione del narratore.

Se l’ha detto un narratore che sa tutto, la consapevolezza della imbattibile grandezza delle legioni romane diventa certezza. Nel caso di Cesare, attività anche politica, propaganda politica. In fondo, i panni che vestono il dux vittorioso mentre attraversa il Rubicone al suo rientro e intraprende la guerra civile contro Pompeo sono gli stessi del sagace narratore dei Commentarii.

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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