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Era il 1977: l’Italia viveva l’incubo del terrorismo dei Nar e delle Brigate rosse; come cantava Lucio Dalla “si mettono dei sacchi di sabbia davanti alla finestra… si esce poco la sera compreso quando è festa”.

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Renato Nicolini
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Basilica di Massenzio, 1977

L’assessore alla Cultura della giunta Argan, Renato Nicolini (1942 – 2012), ha l’idea di aprire uno spazio archeologico romano di grande suggestione, la Basilica di Massenzio, e affida alla Cooperativa Massenzio e all’Aiace, storica associazione amici del cinema d’essai, la realizzazione di una grande arena cinematografica, in collaborazione con Filmstudio, Politecnico, L’Occhio L’Orecchio La Bocca, i cineclub storici del periodo. Nasce così il mito di Massenzio e, con altre iniziative culturali, l’Estate Romana, imitata negli anni a seguire da molte altre città. Solo per dire, il ministro della Cultura francese Jack Lang ha più volte affermato di aver “copiato” il modello nicoliniano per la politica culturale francese degli anni ‘80.

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Estate Romana, Villa Ada 1978

La gente ricomincia a uscire la notte, si riappropria delle città, rompendo il coprifuoco degli anni di piombo. Il 25 agosto viene proiettato a ingresso gratuito “Senso” di Luchini Visconti, con qualche centinaio di spettatori; il tam tam porta la sera dopo migliaia di spettatori alla saga de “Il pianeta delle scimmie”. “Il senso più profondo dell’iniziativa era affidato all’incontro e alla mescolanza – ricorda Nicolini –  La sera dell’inaugurazione arrivai a Massenzio solo a mezzanotte. C’erano oltre 4000 persone e su una panca, in fondo, mi sedetti tra una famiglia romana che si era portata da mangiare i rigatoni da una parte e alcuni ragazzi che tentavano di fumare uno spinello dall’altra”.

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Estate Romana, Colosseo 1981

La sintesi di una operazione che superava la divisione tra la cultura delle elites e quella popolare. Un momento importante fu la proiezione monstre di “Novecento” atto I e II, di oltre 5 ore; la maratona cinematografica entra nel costume di massa, a Massenzio si vedeva cinema fino alle 3 o alle 4 della notte, talvolta si salutava l’alba. L’anno seguente l’iniziativa veniva replicata con il titolo “I Tarocchi”; una sezione speciale sul Medioevo fu affidata alle Acli per il cinema a Massenzio, all’Arci per la musica a Sant’ Ivo alla Sapienza, a Endas per i documentari a Piazza Margana; luoghi di Roma, per chi non li conoscesse, di assoluta suggestione architettonica, inimitabili teatri naturali.

Molto tempo è trascorso, ma abbiamo la fortuna di avere con noi uno dei protagonisti e pionieri di questa iniziativa, il giornalista esperto di cinema e curatore di festival Massimo Forleo, che gentilmente ci concede una conversazione.

Massimo, cosa ricordi del Massenzio 1978?

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Massimo Forleo

Nonostante il tema del Medioevo non apparisse particolarmente popolare, fu un successo inaspettato; 4/5 mila persone gremivano non solo la platea, ma tutti gli spazi possibili, talvolta accampandosi con coperte e cuscini; una sorta di happening di massa, dove persone di ogni provenienza si mescolavano e convivevano pacificamente. Ricordo con particolare affetto una serata, vista ora non facile, nella quale furono proiettati, in sequenza, “I cavalieri della Tavola Rotonda” di Richard Thorpe, “Lancillotto e Ginevra” di Robert Bresson e Monty Python e “Il Sagro Graal”, quasi 6 ore coi cambi pellicola, non si mosse nessuno, se ne andarono che quasi albeggiava…”

Ma per capire meglio, quale era l’obiettivo della programmazione?
A quei tempi non esisteva una politica culturale; la cultura era riservata a gruppi ristretti, ai pochi cineclub, alle sale da musica tipo Folkstudio, quasi sempre nel centro. Separate, c’erano le sterminate periferie, e l’idea, un po’ classista, che i periferici, i coatti come diciamo a Roma, fossero condannati all’esclusione culturale; beh, almeno in quegli anni, abbiamo dimostrato che non era vero, e che dipendeva da come si affrontava la questione; da noi i coatti c’erano, e ci divertivamo insieme… ”.

E dunque, come cercaste di superare questa situazione?
Il nostro scopo era rompere queste barriere, coinvolgere le periferie con eventi che non fossero escludenti; nella serata di cui ho parlato, ad esempio, inserimmo il film difficile in mezzo a due più facili; così 5.000 persone videro Bresson, la maggior parte, credo, per la prima volta. Ricercavamo un equilibrio, non facile, tra la qualità della proposta e la necessità, la voglia direi, di contaminare generi e pubblici, di non escludere nessuno ”.

1. CONTINUA

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Massimo Piazza

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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