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Vite di carta /
“Fame d’aria” di Daniele Mencarelli da leggere a Natale

Vite di carta. Fame d’aria di Daniele Mencarelli da leggere a Natale

Ho finito pochi giorni fa, incredula, Fame d’aria di Daniele Mencarelli. Pensando ecco un bel romanzo, scritto con lo stile asciutto che piace a me: le frasi composte da poche parole precise, con una carica definitoria che non viene mai meno, col piccolo incanto che dà la nitidezza.

Questa è la storia di un padre che viaggia su un’auto scassata insieme al proprio figlio, Jacopo, affetto da una grave forma di autismo, ed è una storia che dura tre giorni in un paesino sconosciuto del Molise, tra i pochi paesani che non sono emigrati. L’auto ha avuto un guasto serio e Pietro col figlio Jacopo si è dovuto fermare alla locanda “Da Arturo”.

Era in viaggio verso Marina di Ginosa. La versione che sappiamo dalle prime pagine è che andava a festeggiare presso i parenti della amata moglie Bianca il loro anniversario di nozze.

Sono sposati da una ventina d’anni, li ha fatti innamorare il mare e proprio nell’acqua si è lanciato Pietro quando lei gli ha detto sì.

La nascita di Jacopo, però, ha scaraventato entrambi all’inferno. Lo comprendiamo dai gesti e dai pensieri che il narratore onnisciente mette sulla pagina, mentre Pietro si arrende alla sua vecchia Golf con la frizione saltata. Mentre occupa la camera della locanda e si prende cura del figlio, che tra sé e sé chiama “lo Scrondo” con una parola piena di rabbia.

Jacopo non ha quasi nessuna autonomia, è bello ed è alto ma non parla. Gli occhi, scuri, guardano con eterno stupore le cose e le persone, inerti e lontani. Jacopo va seguito a ogni passo, va tenuto calmo negli ambienti dove ci sono persone e c’è movimento, gli va cambiato il pannolone quando ha fatto i bisogni.

In sala da pranzo Pietro è costretto a esporsi e a esporre il figlio. Arrivano inevitabili le occhiate dei presenti, la domanda sulla malattia di Jacopo. Pietro bara e si difende dicendo fandonie: che lui e la moglie hanno accanto una famiglia che li aiuta a gestire il ragazzo, che hanno anche una vita di relazione e che sono entrambi contenti di incontrarsi in Puglia per festeggiare la loro ricorrenza.

Non potrebbe trovarsi davanti la pietà di Agata che gestisce bar e albergo faticando tutto il giorno, non potrebbe tollerare di rompere la crosta in cui si è imbozzolato in tanti anni di delusioni: le terapie per Jacopo che non hanno avuto gli effetti sperati, la malattia rimasta grave e gli aiuti che mancano, la lotta contro Dio che non ha dato spiegazioni a questo dramma.

I soldi che non ci sono più per mantenere la vita familiare, i debiti che si sono accumulati, anche quelli senza lasciare speranza.

Quando conosce Gaia, la cameriera dell’albergo, Pietro avverte che il suo sorriso ha la forza di un raggio di luce che gli procura spaccature: la crosta si spezza e lui tira fuori dal fondo le sue verità.

Più di ogni altra cosa lo fa vacillare la meraviglia del tramonto visto da una radura affacciata sui monti: “Pietro, violentato dal destino, regredito a una vita senza bellezza, si porta una mano sulla bocca” e a Gaia che lo ha condotto fino a lì sa dire “Grazie”.

Cade la pioggia per il resto del tempo che padre e figlio trascorrono a Sant’Anna del Sannio, in attesa che l’auto venga riparata. La mattina del lunedì, giorno della ripartenza, diluvia addirittura.

E con la pioggia entra nella storia una forte componente simbolica . È una pioggia che lava via le bugie di Pietro e si porta dietro la sua solitudine rabbiosa.

Il finale, come dicevo nell’incipit, mi ha lasciata incredula per la teatralità che un po’ bruscamente immette nel racconto.

Dunque l’auto è riparata ma bisogna aspettare un ultimo controllo, mentre Gaia svela a Pietro che cercando in internet ha saputo tutto di lui e del figlio, ora ricercati dopo l’allarme che ha dato la moglie Bianca in seguito alla loro fuga. Altro che festa per l’anniversario, Pietro sta andando a farla finita insieme a Jacopo, ancora una volta gettandosi nell’acqua per passare “di là”: “Voi non capite. Se lui non sarà mai come me, io diventerò come lui” grida Pietro a Gaia e ad Agata.

Insieme al meccanico Oliviero le due donne stanno cercando di trattenerlo in attesa che arrivi la macchina dei carabinieri su cui viaggia Bianca.

Intanto Jacopo si allontana sotto il diluvio e Pietro che lo cerca sull’asfalto scivoloso della strada fantastica di assistere alla sua morte e più di ogni altra cosa scopre di non volerla. Crolla in lui il muro di rabbia e di odio e si ritrova padre.

In un racconto da leggere a Natale ci sta perfettamente un messaggio di rinascita. Ci sta anche che Agata proponga a Pietro di trasferirsi a vivere alla locanda, dove il posto non manca e nemmeno il lavoro: come dire che i cuori buoni arrivano dove il radar dell’assistenza sociale ha già abbondantemente fallito.

Nota bibliografica:

  • Daniele Mencarelli, Fame d’aria, Mondadori, 2023

Cover: https://pixabay.com/it/images/search/il%20mare/

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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