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Patto per il lavoro e il clima: perchè la Regione evita una discussione aperta?

Patto per il lavoro e il clima: perchè la Regione evita una discussione aperta?

Un fantasma si aggira nelle stanze della Regione Emilia-Romagna. Mi riferisco alla bozza di aggiornamento del Patto per il lavoro e il clima  (Vedi testo integrale in PDF)

La Regione approdò al Patto per il lavoro e il clima alla fine del 2020, con la sottoscrizione delle principali categorie e soggetti economico-sociali (Confindustria e sindacati confederali in primis), Comuni e Province, Università e Legambiente regionale, che peraltro ritirò la sua adesione nel 2023.
L’unica realtà coinvolta nella discussione dell’epoca che non condivise e non firmò il testo fu RECA (Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna), soggetto che raggruppa più di 80 tra Associazioni e Comitati attivi nel territorio regionale sui temi ambientali.

La discussione che si sta sviluppando su tale bozza e si vorrebbe concludere in tempi rapidi, entro la metà di dicembre, in termini autoreferenziali tra i soggetti firmatari del Patto del 2020, ed escludendo chi, come RECA, aveva dissentito e a cui non è stato inviato il testo.

Già questo è un dato rilevante, che la dice lunga sull’idea di partecipazione democratica che alberga nella nostra Regione e che risulta ancor più grave alla luce degli impegni che il presidente della Giunta De Pascale aveva assunto con RECA in un incontro svolto all’inizio di questa legislatura. In quell’incontro era stata espressa l’intenzione di coinvolgere tutti i soggetti, anche di chi esprime opinioni diverse, dicendo, anzi, che andava fatto in proposito ben di più rispetto alla Giunta precedente. Probabilmente l’attuale presidente della Giunta, proveniente da una città portuale, è avvezzo alle famose promesse avanzate dai marinai!

Per certi versi, è ancora più inquietante notare che il confronto in atto avviene senza aver prodotto nessun bilancio del Patto realizzato nel 2020. Nelle intenzioni, quel progetto voleva riconfermare il ruolo di regione apripista, all’avanguardia nelle politiche sociali e ambientali, riproponendo un’idea di modello sociale e produttivo cui l’intero Paese poteva guardare e al quale ispirarsi. Assumendo l’idea del contrasto al cambiamento climatico e della transizione ecologica come nuovo paradigma da affiancare a quello della promozione dei diritti del lavoro, di quelli sociali e civili.
Ebbene, a 5 anni di distanza, sarebbe necessario riflettere sul fatto che le condizioni ambientali e climatiche sono peggiorate anche nella nostra regione – basta pensare alle alluvioni del 2023 e 2024 o al dato del consumo di suolo che nel 2024 ha visto la nostra regione come quella che più l’ha incrementato – e anche che la situazione di chi lavora e dei ceti più deboli è andata indietro, con l’aumento del lavoro “povero” e della precarietà, la diminuzione del reddito, l’innalzamento delle situazioni di povertà.

Questa non volontà di produrre un ragionamento su ciò che è successo si porta poi dietro, nella nuova bozza, una serie di analisi e giudizi completamente avulsi dalla realtà che stiamo vivendo e assolutamente sbagliati. Lì si parla, per descrivere la nuova fase inaugurata dalla presidenza Trump, come del passaggio dalla “globalizzazione senza attriti” ad una “globalizzazione condizionata”. E ancora si avanza una valutazione per cui “nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del settembre 2025, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sottolineato l’urgenza di rafforzare le politiche europee su alcuni fronti strategici: sicurezza, neutralità climatica, autonomia energetica, casa accessibile, qualità del lavoro. Ha rilanciato il programma per un’industria europea più competitiva e ribadito la necessità di garantire che la transizione ecologica sia anche una transizione giusta e inclusiva”.

A me pare che proprio non si colga la drammatica realtà che si sta imponendo nel mondo odierno, che è il prodotto congiunto del tentativo di affermare, con la forza e al di fuori del diritto internazionale, una nuova egemonia “imperiale” degli Stati Uniti e un inedito protagonismo di una realtà multipolare, che non è esente anch’esso di velleità di dominio, e di un decadimento dell’Europa, che abbandona il proprio modello sociale per prefigurare un’idea di sviluppo guidata dall’economia di guerra.

Non siamo in una fase di “globalizzazione condizionata”, ma di un pesante scontro commerciale e del risorgere dei nazionalismi, che si traduce nel ricorso alla guerra come normale regolamentazione dei conflitti internazionali. Nè si può sottacere che la svolta dell’Unione Europea, e della Germania in primo luogo, teorizzata proprio con il discorso della von der Lyen nel settembre scorso, si caratterizza in modo inequivocabile per pensare che il futuro dell’Unione Europea sta nel competere con gli USA e la Cina nel riarmo e nella conversione dell’apparato industriale, oggi in crisi, verso l’industria bellica.

La Regione sembra non voler capacitarsi di tutto ciò, presenta una visione edulcorata della situazione in atto, molto probabilmente perché, altrimenti, dovrebbe mettere in discussione i capisaldi di fondo su cui intende muoversi e che, invece, avrebbero la necessità di un ripensamento profondo.
In particolare, si continua a voler ignorare che il cosiddetto “modello emiliano” è alla nostra spalle da un bel po’ di tempo in qua, essendo venuti meno i suoi pilastri di fondo: un tessuto produttivo fondato sulle piccole e medie imprese, uno Stato sociale in espansione, una larga partecipazione alla vita politica e sociale, innestata su un blocco sociale coeso ed egemonizzato dalla sinistra. Questi stessi pilastri, peraltro, sono ancor più insidiati dalle trasformazioni in corso e da quelle che è prevedibile arriveranno: dalla finanziarizzazione dell’economia alle politiche di austerità, dal crescere dell’individualismo fino al riorientamento verso la conversione bellica della struttura produttiva, visto – detto un po’ sbrigativamente – la sua relazione stretta con l’economia tedesca, soprattutto nel settore metalmeccanico.

Non a caso, questa “incomprensione” genera, da una parte, la riproposizione di politiche che appaiono sempre più usurate, a partire dall’idea di una forte crescita economica quantitativa, e dall’altra uno scarto sempre più marcato tra enunciazioni di principio e scelte che si praticano concretamente. Questo ultimo dato, che era stato alla base della mancata firma di RECA al Patto per il lavoro e il clima del 2020, è ulteriormente evidente nella bozza di aggiornamento di cui stiamo parlando.

Per stare alle politiche ambientali, mi limito solo ad alcuni esempi:
– si continuano ad avanzare contenuti che sembrano utili a tutelare la risorsa acqua, ad affermare l’idea dell’economia circolare nel ciclo dei rifiuti;
– a promuovere una mobilità sostenibile nel momento stesso in cui le politiche concrete vanno nella direzione della privatizzazione dell’acqua;
– ad incrementare la produzione dei rifiuti, ad andare avanti con le grandi opere, che comportano forte consumo di suolo e incentivano il traffico veicolare privato su strada.

Sulla transizione energetica, viene riproposto l’obiettivo di coprire i consumi finali di energia elettrica con le fonti rinnovabili al 2035, ma senza che esso venga supportato da una credibile pianificazione degli interventi che lo rendano possibile. E intanto si prosegue sostenendo l’economia del fossile, come nel caso del rigassificatore e del progetto di cattura e storaggio della CO2 di Ravenna e in quello del metanodotto della “linea Adriatica”.

Infine, non si può sottacere quella che è una vera e propria perla della bozza. Mi riferisco al fatto che, nella parte finale si trova scritto un vero e proprio panegirico del ruolo della partecipazione. Tra le varie affermazioni “positive”, si legge anche che “rilievo va riconosciuto alle associazioni ecologiste, ai movimenti civici e giovanili impegnati nella lotta ai cambiamenti climatici e per la giustizia ambientale: le loro competenze, la capacità di mobilitazione e la visione anticipatrice rappresentano oggi risorse preziose per l’intera comunità regionale”.
Peccato che non si trovi il modo di fare riferimento alle proposte di legge di iniziativa popolare, in specifico a quelle sui temi ambientali (acqua, rifiuti, energia e consumo di suolo) che RECA e Legambiente regionale hanno presentato ancora nel 2022, sostenute da più di 7000 cittadini emiliano-romagnoli, e che continuano a non essere discusse. Infatti, esse non passarono alla discussione in Aula nel 2024, perché la legislatura regionale si interruppe anticipatamente. Il loro iter è ripreso con la nuova legislatura e, nonostante vari confronti con i capigruppo regionali di maggioranza, tuttora non si è realizzata alcuna discussione nelle sedi competenti, né nella Commissione Ambiente e tantomeno nell’Aula legislativa.
Siamo di fronte ad un vero e proprio “vulnus” democratico, ad un atteggiamento che, volutamente, mette tra parentesi l’iniziativa dei cittadini e delle Associazioni di rappresentanza, svilendone il loro ruolo nel promuovere la partecipazione, salvo il fatto di lamentarsi, solo per un giorno, quello successivo alle votazioni, che l’astensionismo cresce sempre di più!

Insomma, siamo ben lontani dal vedere la svolta nelle politiche ambientali e sociali di cui abbisogna anche la nostra regione. Non bisogna però darsi per vinti, ma avere la consapevolezza che solo la mobilitazione dal basso può provare ad invertire questa tendenza, può mettere in discussione il “muro di gomma” che separa i cittadini dalla rappresentanza istituzionale, come si è visto in questi ultimi mesi con la grande reazione contro il genocidio a Gaza e contro le politiche di riarmo.

Cover: immagine dal video della Regione per la campagna di comunicazione dal titolo:”L’Emilia-Romagna progetta un futuro diverso, Per tutti, nessuno escluso” .

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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