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La porta lasciata socchiusa: l’arte di sparire e il silenzio che prende il posto della parola

La porta lasciata socchiusa: l’arte di sparire e il silenzio che prende il posto della parola

Accade che il percorso analitico si interrompa senza un vero atto di parola: c’è chi smette di presentarsi, chi lascia soltanto un messaggio stringato, chi si ritrae senza mettere in gioco un’elaborazione del punto in cui si trova.

Queste uscite silenziose — che evitano l’incontro, la parola rivolta, il passo soggettivo — segnalano quanto sia complesso sostenere la responsabilità del proprio dire, soprattutto quando l’analisi comincia a toccare ciò che nel soggetto resta più opaco.

Ogni interruzione porta una verità singolare, e andrebbe interrogata nella sua specificità. Eppure, alcune costanti emergono. Una delle più evidenti riguarda il momento in cui il lavoro analitico comincia a incidere sul godimento: quando la parola pronunciata produce un leggero taglio nella modalità di sostenersi nel sintomo, quando l’Altro analitico smette di funzionare come garanzia e qualcosa dell’identificazione inizia a vacillare. È spesso qui che si attivano movimenti di fuga: passaggi all’atto, abbandoni improvvisi, ritiri che non si articolano.

Sottrarsi all’analisi, in questi casi, equivale a sottrarsi al punto stesso dove la verità soggettiva fa sentire la sua esigenza.

Ma c’è anche un’altra logica, più velata ma non meno determinante. L’interruzione brusca può diventare una difesa contro la separazione dal luogo analitico, soprattutto quando quel luogo ha inciso profondamente nella vita psichica del soggetto.

Sparire, lasciare un vuoto di parola, interrompere senza salutare può apparire come un modo per non affrontare il lutto legato alla conclusione di un legame che ha contato. È una modalità paradossale di attaccamento: non si dice addio proprio perché si teme che l’addio operi un taglio reale.

E qui si inserisce un elemento che appartiene anche al discorso sociale contemporaneo: il ghosting come modalità relazionale diffusa.

La sparizione improvvisa, il ritiro senza spiegazioni, l’interruzione del legame senza un atto di parola non sono solo gesti individuali; sono forme che l’Altro sociale offre come possibili soluzioni. In un contesto in cui il ghosting è diventato un modo di evitare la responsabilità del dire e del separarsi, non sorprende che questa stessa logica entri nella stanza d’analisi. Il soggetto ripete, anche lì, ciò che circola nel discorso dell’epoca: la fuga come risposta al punto di impasse, la scomparsa come equivalente dell’atto.

E tuttavia, è proprio lì — nel momento in cui la parola potrebbe farsi atto, assumere il proprio peso, produrre un taglio soggettivo — che si misura l’etica della psicoanalisi. Non si tratta di trattenere nessuno, ma di rendere possibile un luogo in cui la separazione possa essere detta, non agita; attraversata, non evitata.

L’analisi trova la sua necessità nel fare esistere un discorso in cui non sia il silenzio a decidere, ma la parola quando diventa gesto, responsabilità, scelta.

Cover: Foto di <a href=”https://pixabay.com/it/users/k_khanh96-18424544/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=5595562″>k_khanh96</a> da <a href=”https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=5595562″>Pixabay</a>

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Chiara Baratelli

È psicoanalista, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica. Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, di questioni legate all’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.

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