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Hamas, Palestina e il peso delle definizioni

Hamas, Palestina e il peso delle definizioni

Terrorismo da una parte, legittima difesa dall’altra. Così viene raccontato il conflitto israelo-palestinese in Italia e in gran parte dell’Occidente. Ma dietro queste due parole si nasconde forse una scelta politica che orienta l’opinione pubblica e, di riflesso, giustifica forniture di armi e alleanze strategiche?

Hamas vinse elezioni regolari nel 2006, diventando forza politica di governo a Gaza. Da allora, l’organizzazione ha mantenuto il controllo del territorio, tra repressione interna e conflitto con Israele.
Ma in Europa e in Italia poco importa: la definizione di terrorismo” resta intoccabile, come se il voto popolare non avesse mai avuto luogo.

È un marchio che chiude ogni porta: un gruppo terroristico non siede ai negoziati, non governa uno Stato legittimo, non ha voce nella comunità internazionale, e soprattutto non ha voce nella ricostruzione “futura” del paese.

Al contrario, Israele è uno Stato riconosciuto. Ogni sua azione armata viene raccontata come autodifesa, anche quando i raid colpiscono scuole, ospedali e campi profughi. Migliaia di civili palestinesi morti, giornalisti, medici, infermieri e soprattutto bambini, non bastano a mettere in discussione questa cornice: la difesa resta difesa, anche se sproporzionata, anche se devastante.

E allora viene da chiedersi: se gli stessi atti fossero compiuti dalla Palestina riconosciuta come Stato, non sarebbero forse giudicati allo stesso modo?
O la parola “terrorismo” continuerebbe a incatenare un popolo intero?

L’Italia non riconosce lo Stato di Palestina. Una posizione che viene presentata come “prudenza diplomatica”. Non riconoscere significa impedire alla Palestina di esercitare il diritto internazionale alla difesa. Significa legittimare Israele come unico attore sovrano.

Nel frattempo, Roma continua a mantenere rapporti militari con Israele.
Ma quando quelle armi finiscono nei bombardamenti su Gaza, possiamo davvero continuare a raccontarci che si tratta solo di “difesa”?

Le parole non sono neutrali.
Dire
terrorismo” significa chiudere ogni discussione.
Dire “difesa” significa assolvere in partenza.
È un linguaggio che orienta l’opinione pubblica, che plasma titoli di giornale e dichiarazioni politiche. In Italia, la simpatia per il popolo palestinese si scontra con questa gabbia lessicale: ci indigniamo per i razzi su Tel Aviv, ma tentenniamo di fronte alle macerie di Gaza. Parliamo di Genocidio ma facciamo finta di non capire la differenza tra “evacuazione di civili” e “deportazione”.

Il mancato riconoscimento della Palestina non è una cautela, ma una complicità. Mantiene Hamas e tutti i palestinesi nella categoria del terrorismo, anche se eletto; consegna a Israele il monopolio della difesa, anche se agisce da aggressore.

I Palestinesi non sono predestinati a governare il futuro della Palestina, se mai ne avrà uno.
Ogni proposta di ricostruzione attualmente sul tavolo, come quella Arabo-Egiziana da 53 miliardi di dollari, la più condivisa, non prevede il loro coinvolgimento diretto.

 

Cover: Militanti di Hamas a Khan Younis, immagine di Vatican News

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Nicola Gemignani

Marina di Carrara, il mare e una buona lettura, non chiedo altro. Amo l’estate e odio l’ipocrisia. Amo Sergio Zavoli, il suo libro “La notte della Repubblica” e la libertà. Ariete da generazioni (padre, nonna, nonno, zie), sono un nerd mancato.

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