Sono stato l’uomo della guerra
Sono stato l’uomo della guerra
“Ho vissuto due vite. La prima non l’ho scelta, mi è capitata. Solo adesso, dopo una lunga lotta l’ho addomesticata, riesco a tenerla a bada e mi fa meno paura.”
Così nel prologo del libro “Ero l’uomo della guerra. La mia vita da fabbricante di armi a sminatore” uscito nel 2023 per Laterza.
Incontro l’autore, l’ing. Vito Alfieri Fontana lo scorso 20 luglio, ad una presentazione del suo libro, nel gremitissimo Auditorium di un piccolo comune montano della provincia di Trento, Pellizzano. Ho scoperto l’iniziativa quasi per caso, passando per questo piccolo, ma vivace paesino, durante la mia breve vacanza in Val di Pejo.
Ad intervistare Vito, c’è Emanuela Arcaleni della Rete Insegnanti Italia, poiché la serata si inserisce nel percorso formativo di una Scuola interuniversitaria promossa da diversi Enti, tra cui il Dipartimento di Scienze Cognitive dall’università di Trento, la Cattedra UNESCO della Cattolica di Milano, l’istituto universitario Salesiano di Venezia, il Centro Studi CARE della Cattolica di Piacenza, l’NGO.
Dell’incredibile storia dell’Ing. Fontana, si è parlato e scritto solo qualche anno fa, in concomitanza dell’uscita del libro, ma credo che il nostro presente, così deprimente e negativo, abbia bisogno di ritrovare una bella storia con il suo carico di ottimismo e di speranza.

Vito seguiva la costruzione e la progettazione di mine antiuomo nell’azienda di famiglia, la Tecnovar, in Puglia, una delle due aziende italiane che sul finire degli anni Settanta si spartiva il business di questi micidiali ordigni. Come ha ricordato all’inizio del suo intervento, lui stesso aveva progettato la mina TS-50 forse quella più micidiale e innovativa. Quindi la più richiesta, perché poteva entrare in azione anche a distanza di dieci anni dalla posa, mutilando e sfregiando senza pietà chiunque entrasse nelle sue vicinanze.
Il sofferto e travagliato percorso di redenzione da questo destino di morte Vito lo identifica in un preciso momento, nel 1993, quando aveva poco più di quarant’anni.
Suo figlio, che allora ne aveva circa otto, in auto, si trova casualmente a sfogliare uno dei depliant che pubblicizzano le TS-50 e comincia a tempestarlo di domande…
“Papà tu costruisci armi ?”
Alla sua inevitabile risposta affermativa, ecco il primo macigno che si stacca dal suo cuore.
“Perché proprio tu ?! Sei un assassino !!”
Anche se Ludovico, suo figlio, immediatamente si ritrae, spaventato egli stesso dalla gravità di quello che ha detto al padre, il dado è tratto.
Di lì a poco, arriverà la telefonata di Gino Strada, che al rientro da una missione umanitaria in Kurdistan, lo interpella brutalmente:
“Ingegnere, è una carneficina. Bisogna fare qualcosa !”
Emergency arriverà dopo, ma la montagna comincia a franare, diventando una valanga inarrestabile quando Don Tonino Bello, con Pax Christi, lo invita ad un dibattito sull’argomento a Bisceglie, nell’ambito di quella campagna per la messa al bando delle mine che di lì a poco raggiungerà il suo obiettivo. Accetta e la discussione diventa inevitabilmente un atto di accusa. Ma come racconta, quando si è attaccati, ci si difende e così fa anche lui. Una domanda però arriva a segno:
“Ma lei cosa sogna la notte ? Che scoppi un’altra guerra per produrre tante mine e guadagnare un sacco di soldi ? Ma che razza di vita è la sua ?”
È la frana. Da allora la decisione è interiormente presa, ma cosa non semplice, va trasformata in atti concreti, contro la contrarietà del padre e con le difficoltà che la chiusura dell’attività pone in termini di posti di lavoro. Erano circa cinquanta i dipendenti della Tecnovar e la sua decisione inevitabilmente li coinvolgeva.
La seconda vita
La riconversione civile, anche se tentata, non è risultata praticabile. I margini operativi dichiara nel corso della serata, sono insostenibili, perché come confessa, il guadagno dell’industria bellica è fuori mercato e dove lavorano dieci operai, nel civile, ci si deve accontentare di uno solo e spesso non è sufficiente, perché la concorrenza al ribasso è la regola. Vito ha però il sostegno della moglie e dei figli. Tutto il contrario di quello che succede in un vecchio film di Alberto Sordi “Finché c’è guerra c’è speranza” del 1974, la cui scena cardine – proiettata durante la presentazione – mostra come la coscienza si possa tacitare pur di continuare a fare la bella vita, visti i margini di profitto che il settore bellico assicura a chi lo frequenta. Lo ricordiamo tutti: “Pecunia non olet”.
È il 1997, anno in cui il Senato italiano ratifica la Convenzione di Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo e Nicoletta Dentico, anima della Campagna internazionale che ha portato a questo straordinario risultato viene insignita del Premio Nobel per la Pace. Vito è senza lavoro, quando viene invitato proprio dalla Dentico a partecipare ai lavori conclusivi della Convenzione ad Oslo. La sua esperienza professionale nel settore diventa infatti preziosa per seguire i famosi dettagli in cui si nasconde il Diavolo. Lo rivela lui stesso, raccontando di come la sua conoscenza tecnica abbia scongiurato una serie di “tranelli” normativi che rischiavano di inficiare la scrittura di alcune importanti prescrizioni. La sua seconda vita inizia di lì a poco, nel 1999, quando sente uno spot di INTERSOS che ricerca sminatori per il Kosovo. Il 15 settembre dello stesso anno atterra a Pristina e comincia quella che definisce la sua “terapia”. E’ stato in Bosnia ed in Serbia. Quasi vent’anni a sminare territori fortemente compromessi, restituendo la tranquillità di tornare a vivere nelle proprie case a migliaia di persone. Adesso dorme meglio, ma il peso di quello che ha fatto nella sua prima vita continua a pesare.
L’attualità
Qualcuno dal pubblico gli chiede come giudica la recentissima decisione del Presidente dell’Ucraina di uscire dalla Convenzione di Ottawa, a cui il suo Paese ha aderito a differenza della Federazione Russa, che con Stati Uniti, Cina, Israele e Vietnam sono attualmente gli unici grandi attori internazionali che non l’hanno sottoscritta. Pur riconoscendo la palese asimmetria della situazione e l’utilizzo che la FR sta facendo di questi ordigni micidiali, pensati solo ed esclusivamente per far ‘male’ in modo indiscriminato soprattutto alla popolazione civile, Vito ha ricordato che sul piatto della bilancia da una parte ci sono le regole, ma dall’altra i fondi per lo sminamento. L’Ucraina ne ha fortemente bisogno, perché ci sono vaste aree del paese interessate da questo flagello. Ha raccontato che nella sua attività di sminatore ha trovato mine piazzate nei frigo, negli sciaquoni e via discorrendo. Scelte letali e totalmente amorali, se si vogliono usare queste categorie concettuali. Uscire dalla Convenzione dunque, secondo lui ha un’esclusiva valenza politica. I tempi materialmente sono lunghi e quindi Zelensky punta probabilmente sull’effetto annuncio, come ulteriore estrema forma di pressione internazionale.
Ma la legalità internazionale è ormai in caduta libera. Come conferma, semmai ce ne fosse bisogno, l’uso spregiudicato che si sta facendo della nuova arma che sta soppiantando come amoralità estrema, quello delle mine antiuomo. Sono sicuro che avete già capito che sto parlando dei droni. Ho fatto una domanda specifica su questo argomento a Vito. Gli ho chiesto se la Convenzione di Ottawa o qualche altro Accordo internazionale, prevede una qualche forma di regolamentazione sulla costruzione, la commercializzazione e soprattutto l’uso dei droni a fini bellici. Ci sono discussioni, ma non esiste al momento alcun accordo sui droni in scenari di guerra.
L’argomento è estremamente complesso e vale la pena riprenderlo in altro momento. Con Vito ci siamo lasciati con la promessa che avrei cercato le risorse per invitarlo a Ferrara, perché la sua storia deve essere ancora raccontata.
In copertina: Vito Alfieri Fontana, immagine Vicino/Lontano
Grazie Alberto, per questo interessante e istruttivo articolo. I bambini ci salvano, se non la vita, la nostra anima, corrotta dal Dio denaro.
Grazie Eleonora. Condivido. La sera della presentazione c’era un bambino. Coetaneo del figlio di Vito. Ha fatto una delle più belle domande: “non hai avuto paura ?”