L’EVENTO
Terramara: l’arcaico irrompe nella contemporaneità
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Dopo “La boule de neige” di Fabrizio Monteverde, sul palcoscenico del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara torna il progetto Ric.Ci/Reconstruction Italian contemporary choreography anni 80/90, questa volta con la quarta e più recente delle coreografie prescelte “Terramara”, creata nel 1991 dalla coppia Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, uno dei lavori cardine del fermento innovativo italiano di quegli anni.
Quando Marinella Guatterini ha proposto di riallestire questa loro opera prima come compagnia Abbondanza Bertoni, “la reazione immediata è stata: impossibile – scherza Michele al telefono – anche solo per la difficoltà di andare a cercare le scenografie e i materiali di scena, i loro progetti, i disegni, le luci, i collaboratori. Invece poi la cosa si è rivelata così stimolante, così toccante, così forte, persino psicoanalitica per noi, che pian piano abbiamo iniziato a rimuovere tutti gli ostacoli”.
E passo dopo passo questa nuova versione di “Terramara” si è rivelata non una semplice ricostruzione, una ri-messa in scena, ma una ‘nuova vita’, come la definisce Antonella e la considera anche Michele: “l’ultima cosa da fare era cercare di fare una cosa uguale a 20 anni fa, bisognava cogliere quella che era l’amina del lavoro e cercare non la fisicità imitativa, uguale a me o ad Antonella, ma qualcuno che potesse raccontare quelle cose con il suo fisico, con la sua tecnica”. Eleonora e Francesco non sono “un Michelino e un’Antonellina”, ma “due meravigliosi esseri umani, maschio e femmina, che avevano l’adrenalina giusta, la sensualità e anche la grande tecnica che la coreografia richiede”. Anche le scene sono state riallestite con la collaborazione del mitico coreografo della versione originale Lucio Diana: “abbiamo deciso di tagliare molto per rendere lo spettacolo più neutro, più semplice, più essenziale, sono rimaste solo le travi, le gerle, il tavolo”.
Francesco conferma che, dopo il panico iniziale al pensiero di dover sostituire Michele e Antonella, chiarito che il lavoro non sarebbe stato questo, lui ed Eleonora hanno lavorato con “grande serenità, riprendendo a scaglioni i pezzi coreografici, tentando di mettere le nostre fisicità e le nostre personalità pur mantenendo lo spirito iniziale di “Terramara”. È stato un piacere lavorare con Antonella, Michele ed Eleonora, con la quale ci siamo dati una grande mano – continua Francesco – e poi io adoro questo spettacolo, penso che a chiunque lo veda arrivi una grande potenza, tutto è studiato al dettaglio, come sanno fare solo i grandi”.
“Terramara” è l’eco di una memoria lontana ma non perduta, una storia senza inizio e senza fine: il rapporto fra uomo e donna, quello fra uomo e natura. In scena simboli, segni, frammenti da un tempo arcaico e allo stesso tempo indefinito, sospeso. “Terramara”, per Michele, è “una narrazione astratta” perché “siamo corpi narranti, abituati a stare fra la narrazione e l’astrazione, solo apparentemente questo è un ossimoro”: in questa coreografia perciò “c’è un racconto, ma si dà per frammenti, per immagini, senza un filo logico, realistico, come nei sogni la realtà viene presentata a sprazzi, a immagini”.
“Sono molto legato alla mia terra d’origine, il Trentino, e alla sua popolazione rurale –spiega Michele – ricordo le vacanze nella Val di Cembra le viti, i boschi, i castagneti. A livello inconscio ho espresso questo legame con la terra, ma c’è anche l’amaro della difficoltà di rompere la zolla, dell’inumidirla, del renderla fertile. E poi c’è l’incontro con la vita e con l’amore”. Questo ritorno alla tradizione popolare e nello stesso tempo all’umanità e alla natura al di là delle culture, si esprime anche nelle scelte musicali: “sono andato a pescare musiche da tutto il modo, dall’Est, dal sud America, dal sud Italia”.
“Mi si è sparsa la fantasia, mi sono sentito libero in una prateria con una danzatrice meravigliosa come Antonella, che allora era la mia compagna, mi sono sfogato in Terramara”, così Michele descrive l’esplosione dell’immaginazione vissuta con la creazione di questo lavoro che ha consacrato il suo connubio artistico e personale con Antonella Bertoni che ha la stessa età della compagnia fondata insieme a lei. “Abbiamo appena finito le prove e rivedendolo mi sono detto che sono stato proprio un matto: avevamo poco più di vent’anni e la gioventù ha quella freschezza e quella magia che permettono ancora di saltare e di saltare nel vuoto”. “Con gli anni arriva la saggezza, ma si perde la capacità di volare”, l’importante è non vedere questo solo come un limite, anche per questo lui e Antonella hanno deciso di tramandare questa coreografia: “si può far volare gli altri”.
Foto di Ilaria Costanzo per gentile concessione della Compagnia Abbondanza Bertoni
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Federica Pezzoli
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