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I nostri mesi invernali sono ideali per visitare I’area Caraibica.
Piove a tratti e con intensità, siamo ai tropici, ma quando i giorni sono soleggiati si possono toccare i 35°, ottimi per un fantastico bagno nel Mar Caraibico.
Cuba è l’umanità carnosa che conosciamo, è la vegetazione che deborda, è il ballo e il canto, è ‘el ron’ (o rum), i cocktail sulle auto americane, è il coloniale e il barocco, il sole, il mare, l’Hemingway Special e la Revolucion o, perlomeno per chi vuol vedere, quel sogno drammaticamente infranto che ha ubriacato diverse generazioni e alimenta ancora qualche nostalgico – molti italiani – che si aggira per L’Avana nel nome del Che e di Fidel. Cuba è unica nell’universo caraibico per quel clima decadente che si respira per le vie di L’Avana. Palazzi oggi fatiscenti che lasciano immaginare una città superlativa e ricca al tempo della borghesia e dei mercanti di tabacco, di caffè, della canna da zucchero, coltivate da quei diversi milioni di schiavi neri forzatamente imbarcati dall’Africa.
Cuba ha capi orgogliosi, ma è rassegnata nella gran parte della popolazione: è in ginocchio, ha un’economia senza finanza e con nessun punto di forza, salvo il turismo per stranieri, che però può contare su pochissime strutture accettabili di ricezione. Minima la conoscenza dell’inglese (ostacolato), si parla solo spagnolo quindi un italiano si arrangia, ma sempre lì si finisce: “come va con il modello Fidel?” Con molta diffidenza e riluttanza i cubani ne parlano, senza dimenticare che fra canti, musica, danze in ogni angolo, ci troviamo nel pieno di una dittatura comunista, che opprime gli oppositori con i metodi usuali.
Viaggiare attraverso Cuba in auto è piacevole, gli autisti negoziano i costi dei percorsi e potete scegliere fra auto americane Dodge, Chevrolet, Ford, Pontiac dal ‘50 fino al ‘58 (con nuovi motori Hyunday, Mitshubishi). Le buche non vengono chiuse, il vero dramma dei driver è che rischiano i semiassi ogni volta che escono, mentre sul ciglio stradale troneggia martellante la propaganda politica del Che e di Fidel: “El pueblo unido jamás será vencido”.
Le vallate delle piantagioni del tabacco, un vero paradiso naturale, ospitano in condizioni per noi europei perlopiù inaccettabili, una popolazione all’apparenza serena; i mezzi di locomozione più popolari sono i piedi, il calesse, il cavallo. Le case dell’interno sono estremamente povere e contrastano con quelle eleganti del quartiere abitato dalla nomenclatura di L’Avana, l’area Miramar: pulita, ariosa con ville e parchi destinati ai politici locali e agli ospiti internazionali.
Trinidad deve essere visitata: un gioiello di città con cinquecento anni di vita, con case coloniali barocche intorno alla Plaza Mayor e dove, dalle finestre aperte, si possono ammirare con invidia arredi coloniali e liberty quasi fossero negozi di antiquari illuminati dai meravigliosi lampadari con cascate di gocce di cristallo.
I musei sono chiusi, tranne quello della Rivoluzione, dove si celebra la vittoria nella Baia dei Porci.
Le verdi campagne a fianco delle strade sono ricchissime d’acqua, ma non sono coltivate. I cubani ci dicono che se uno lancia un seme dopo un giorno già cresce qualcosa, ma nessuno è incoraggiato a coltivarle.
Un universo multietnico che oggi pare viva un’integrazione felice in un equilibrio sperimentale fra bianchi, di colore, mulatti, meticci e i pochi Indios salvatisi dall’occupazione spagnola.
I cubani, liberati dalla dittatura di Batista nel 1959 dalla rivoluzione castrista, sono stati poi costretti dallo stesso Castro in una camicia di forza con la quale non è consentito conoscere il mondo e che oggi intrappola e condanna al silenzio la generazione digitale.

cuba

Un paese purtroppo orientato verso un destino incerto e senza obiettivi, a meno che qualcosa non succeda.
Ed ecco apparire Obama e la soluzione, a poche miglia marine verso la Florida, nel passato via di fuga dei perseguitati da Castro e oggi orizzonte di nuove opportunità, ma che viaggiano in direzione opposta. Da ieri, per la prima volta dopo 88 anni, un Presidente Usa è in visita nell’isola caraibica, per una tre giorni di carattere politico e…commerciale: una compagnia alberghiera americana ha appena firmato un accordo per la gestione di tre strutture a L’Avana.
Le diverse sfumature con le quali i cittadini cubani vivono le aspettative, nell’attesa di una seconda rivoluzione, non limitano il loro guardare verso Nord, verso quella terra a stelle e strisce che potrebbe rappresentare la nuova frontiera per intraprendere un nuovo cammino e realizzare nuovi sogni in una nuova rivoluzione che, è un augurio, non li spogli di una cultura secolare e di una identità originale.
Ci hanno detto “la teoria della rivoluzione è una cosa, la pratica purtroppo è diversa”.
Cuba è affascinante, visitatela subito. Miami è troppo vicina.

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Marco Bonora

Nato sul confine fra le province di Bologna e Ferrara, dove ancora vive e risiede . Si occupa di marketing e di progettazione nel settore Architettura per una industria vetraria, lavora in una multinazionale euroamericana. E’ laureato in Tecnologie dei beni culturali e in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l`Università di Ferrara. Scrive articoli su riviste del settore e ha pubblicato due volumi tematici sul vetro contemporaneo innovativo e sul vetro artistico delle vetrate istoriate del `900 presenti nelle chiese del nostro territorio. Grande passione da sempre per i viaggi a corto e lungo raggio e il mare.

PAESE REALE

di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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