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Ferrara film corto festival

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Viene… non viene… certo che viene, l’ha promesso… ma quando viene? Dopo mesi di tam tam, venerdì 3 maggio Matteo Salvini arriva finalmente a Ferrara. Il clima d’attesa fa parte della ‘strategia della tensione emotiva’ a cui il leader maximo della Lega ci ha abituati.
E’ davvero difficile seguire passo passo la frenetica cavalcata di Salvini: un uomo che pare avviato verso il miracolo dell’ubiquità. Prima o poi – per fortuna il popolo italiano è assai volubile – questa sovraesposizione mediatica gli presenterà il conto, ma per ora l’onda dei sondaggi continua a dargli ragione. Pochi giorni fa era in giro elettorale in Sicilia, ma ha fatto anche una capatina a Roma per mandare un ennesimo siluro alla Raggi ed è apparso in televisione a promettere la ‘castrazione chimica’. Intanto interviene ogni quarto d’ora su tutti i social: per raccontarci che gran magia sia la sua ‘italica prima colazione’, per difendere il viceministro Siri indagato per corruzione in una vicenda in odor di mafia, per mostrare un mitra in primo piano, per sparare frecciate contro il nuovo nemico Di Maio, per giurare lunga vita al governo gialloverde…

Oggi, 3 maggio, Matteo Salvini arriva a Ferrara, e sempre di corsa, perché proprio ieri era in visita dal suo amico e alleato Viktor Orban, il politico più fascista e xenofobo dell’intero continente europeo. Sull’elicottero di Orban, Salvini ha sorvolato il muro anti-immigrati, poi è rientrato in Italia e subito ha esternato la sua soddisfazione per la “grande sintonia”  tra lui e il Primo Ministro ungherese. Certo, l’Ungheria è l’Ungheria e Ferrara è Ferrara, sarà pure una coincidenza, ma ha il sapore della vergogna.
E c’è una seconda coincidenza. Vergognosa. O almeno imbarazzante. Giudicate voi.
Salvini, infatti, non arriva in piazza Municipale, o in piazza Castello, ma va direttamente al Gad. Lui è un uomo che mantiene le promesse (un altro dei suoi ritornelli preferiti) e due mesi fa l’aveva punto promesso: “Andrò a Ferrara a mettere le cose a posto”. Ora, il Gad è molto grande, una circoscrizione che riunisce quelli che una volta erano tre quartieri distinti, 30.000 abitanti, decine di piazze, centinaia di strade. Salvini aveva molte alternative per scegliere una location dove lanciare i suoi proclami: tolleranza zero, più militari, più armi, più telecamere, più controlli repressivi. Eccetera.
E invece dove sbarca Matteo Salvini? Dove ha dato appuntamento ai cittadini ferraresi? In piazzale Giordano Bruno.

A Roma, a Campo dei Fiori, se guardate per terra, nel punto esatto dove il 17 febbraio anno domini 1600 è stato messo al rogo Giordano Bruno, il grande filosofo e strenuo difensore della libertà di pensiero, c’è un piccolo tondo di ferro. Proprio lì Bruno, il campione della tolleranza, è stato arrostito da un potere che aveva fatto della ‘tolleranza zero’ il suo unico credo politico e religioso.
Scusate, sarà solo un caso, una svista, un’altra coincidenza; e so bene che non è possibile abbandonarsi alla fantasia di un dialogo immaginario, ma a me è venuto da pensare a cosa direbbe oggi Giordano Bruno, intestatario della piazza omonima, al suo ospite Matteo Salvini. Per esempio, sto citando testualmente Giordano Bruno: “Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi di una nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di aver vinto”.
Anche Salvini, come ogni potere forte, come ogni idea di Stato basata sulla intolleranza, si illude di aver vinto: in Italia come a Ferrara. Il 26 maggio – spero – o un po’ più tardi, si accorgerà che la sua è solo una illusione. Perché non ha nessuna cartuccia, nessun argomento per rispondere alla profezia umanista di Giordano Bruno. E nulla di buono e di nuovo da proporre ai cittadini ferraresi. Nulla da mostrare, solo una ennesima felpa, un nuovo sberleffo per la nostra democrazia.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it