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La zona Gad è fra le più tristemente famose di Ferrara. Quasi ogni giorno si sente o legge di qualche scontro tra bande, spaccio, prostituzione, proteste dei cittadini che lì ci abitano. Basta scorrere un qualsiasi giornale che si occupi di cronaca locale per rendersene conto. E spesso i protagonisti sono cittadini di origine nigeriana. Allora proprio con una persona di questa comunità mi sono incontrato. E’ Yusuf Bello Osagie, titolare del negozio “In God we Trust” di via Ortigara. All’arrivo mi accoglie con un gran sorriso, mi fa entrare nel suo piccolo alimentari, con lui ci sono altri suoi conterranei, stanno festeggiando un compleanno. Mi fa cenno di sedermi e inizia una lunga conversazione, non c’è bisogno di fare domande. “La violenza che si verifica in queste zone io non me la so spiegare”, attacca. “Siamo venuti qui per migliorare la nostra vita e vorrei fare un appello a tutti i migranti: comportatevi bene”. Parole semplici, scandite in un italiano non del tutto spedito, ma chiaro. Yusuf è da sempre impegnato nella lotta al degrado del quartiere. Gli chiedo di continuare a parlare della situazione al Gad e del rapporto con gli italiani: “Dicono che gli italiani sono razzisti. Non è vero! Se ti comporti bene, ti trattano bene. Non è una questione economica o di colore della pelle, ma di comportamento”.

Rifletto molto su questa frase, lui sembra crederci, io un po’ meno. Ma lo lascio proseguire e gli chiedo la sua opinione sulle problematiche relative alla zona stazione: “Secondo me, per cambiare la situazione lì bisogna usare il pugno duro, bisogna controllare 24 ore su 24 quelle zone. Gli africani hanno paura della polizia. In Nigeria chi si comporta male viene sparato, chi ruba lo stesso”. Devo essere sincero, questa frase gliel’ho fatta ripetere svariate volte, ma approfondendo non credo voglia che si arrivi a questo anche qui. Continuando, Yusuf ritorna sui consigli per gli immigrati: “Tutti i migranti a Ferrara dovrebbero comportarsi bene, perché siamo persone, non animali. Ma spesso loro vivono come gli animali: pipì per strada, sporcano, buttano le bottiglie dal grattacielo”, e per i suoi colleghi commercianti aggiunge: “Anche loro devono seguire le regole, nel mio locale non ci sono delinquenti, non ci sono spacciatori né prostitute perché quando vedo un malvivente ho sempre chiamato le autorità. Anche gli altri alimentari dovrebbero farlo, non pensare solo ai soldi ma anche alla tranquillità.” Anche sugli orari di chiusura ha da dire la sua: “C’è un bar qui vicino che chiude in tarda notte e non crea tranquillità nella zona”. Poi per concludere aggiunge: “Non siamo tutti uguali, gli italiani non dovrebbero generalizzare, ci sono i migranti cattivi e quelli buoni, non bisogna accomunare tutti”. Non mancano poi ringraziamenti al sindaco e alle autorità, che dice essere sempre presenti e di aiuto a questa zona, ma che pure potrebbero fare di più.

Finita l’intervista lo saluto, esco fuori e camminando mi avvio verso il ‘giardino’, un gruppetto di ragazzi di colore è impegnato a parlottare. Si è fatto tardi, e noto così l’inizio del ‘turno’ di ronde delle biciclette, sulle cui selle sono sedute le vedette impegnate nel controllo delle zone di spaccio. Mi avvio verso l’auto, ma non è un addio, è solo un arrivederci…

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Jonatas Di Sabato

Giornalista, Anarchico, Essere Umano

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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