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E’ da tempo che penso di scrivere nuovamente qualcosa sul lavoro casalingo delle donne. E’ un il mio pallino, da quando ho perso il lavoro e sono andata ad ingrassare le fila degli ‘angeli del focolare’. Cercavo un appiglio, uno spunto, una moderna chiave di lettura ad un fenomeno, quello della donna che lavora a casa, che sembrava quasi un retaggio del passato, o di certe condizioni socio economiche ancora arretrate nel nostro Paese, ma che è andato invece crescendo negli ultimi tempi. Donne giovani messe a casa per la crisi economica o per la nascita di un figlio. Donne istruite, donne abituate a pensare a sè come ad un essere indipendente, donne illuse che il lavoro debba far parte della realtà quotidiana di ognuna ed invece si trovano calate, come in un fantastico viaggio nel passato, nei panni delle loro madri o nonne. Poi, come spesso accade, la chiave per interpretare la realtà presente è arrivata dal passato: da un documentario di TV7 del 1971 intitolato appunto ‘L’angelo del focolare’. “Ogni lavoro può diventare disumanizzante- recita la voce composta ed impostata del giornalista- la ripetitività, l’isolamento, la difficoltà di rapporto con gli altri, il dover essere sempre a disposizione per i bisogni degli altri, rendono stressante l’attività della casalinga. Il suo scontento è aggravato dal non riuscire a trovare, nel corso della giornata, uno spazio personale, una occasione di recupero”. Ed infatti una signora intervistata all’uscita dalla parrucchiera confessa timida “Mi sembra di rubare il tempo e portarlo via. Non ho tempo di curarmi ma so che lo dovrei fare” Perchè?”, chiede il giornalista “Perchè i mariti vogliono che le loro mogli siano delle bravi casalinghe ma devono essere anche sempre in ordine, non si debbono trascurare, devono essere piacevoli e sorridenti. Non c’è rivista femminile che non lo dice. Eppure io la mattina quando apro gli occhi e comincio a pensare a tutte le cose che vengono avanti nel corso della giornata, desidererei fosse già sera per tornare a dormire. Questa è una cosa avvilente per una donna: possibile che non ci sia niente altro che dormire?

“La monotonia la opprime- incalza il cronista- e allora anche l’amore per i figli diventa un compito gravoso che l’amore non riesce del tutto a ripagare”. Una mamma con una bambina al parco si confessa davanti al microfono “Sono una mamma, cosa devo fare? Si sono voluti i figli e bisogna tenerseli e dare tutto il possibile”. La voce narrante comme nta che persino i rapporti con i figli possono perdere di autenticità e di valore quando sono vissuti come un dovere alla cui ripetitività non ci si può sottrarre. “E ‘ un incubo per una madre- dice la donna mentre gioca con la sua bambina- sempre le stesse cose, le stesse chiacchiere, le stesse cose: figlioli, figlioli, figlioli. Non c’è che figlioli. Ma io sono una mamma e lo devo fare”. Intorno ad una tavola si consuma il quieto pasto di una tipica famigliola medio borghese: il padre, in maniche di camicia sorbisce la minestra prima di tornare al suo lavoro, probabilmente di impiegato. Il bambino è composto e mangia compito, la madre afferma “ Non credo che il ruolo di casalinga sia un ruolo realmente scelto dalla donna italiana. Anzi questo credo sia un discorso di comodo che viene fatto da chi vuole che la donna rimanga in casa e non entri con tutto il suo peso nella società. Le donne stanno in casa non hanno altre possibilità: anche quando trovi un asilo o una scuola che possono ospitare il bambino per certe ore della giornata spesso lo fa in maniera non soddisfacente”.

Interpellato sul fenomeno delle donne che non lavorano un medico parla di ‘nevrosi della casalinga, come di un fenomeno comune per l’epoca “Sboccia molto frequentemente ora perchè la donna che si trova a casa sempre di più, rispetto alle esigenze delle mamme e delle nonne di prima, a tante e molteplici esigenze e sollecitazioni che vengono da ‘fuori’ e non si sente più soddisfatta di chiudere i suoi interessi intorno alla vita della sua casa.Cerca nel sogno quello che manca nella sua vita. Si butta nel cibo o l’acquisto e il possesso di cose inutili. Quando gli affetti che la circondano non la ripagano della routine quotidiana l’ansia può divenire intollerabile”.
Questo spaccato di vita risale a 36 anni e fa e mi chiedo cosa sia cambiato. Niente, mi sento di rispondere. Al contrario, la situazione è peggiorata. Se in passato la condizione servile della donna era data per scontata, e solo con il ‘68 sono iniziate a vacillare le basi fondanti della società che voleva l’uomo capofamiglia e la donna asservita a marito e figli, ora, almeno formalmente, è diffusa l’idea di una parità tra i sessi che vuole la donna concorrere con l’uomo per la conquista di un proprio ‘posto al sole’. Eppure a fronte di una società che pone la tutela del bambino e della bambina quale obiettivo primario, una società che si interroga sulla discriminazione di genere fin dalla sua più tenera età, che riscrive le favole classiche perchè le bambine crescano autonome e non sognino più il principe azzurro, che modifica la pubblicità perchè non esistano più giochi da maschio o da femmina ma tutti possano, giustamente, esprimersi nel gioco senza barriere sessuali, in questa società che continua a ripetere alle bambine di poter fare ciò che sognano, ebbene è proprio questa società che condanna le madri di queste bambine ad una vita di non lavoro. E se nel 1971 si inizia a sentire forte da parte della donna il richiamo ad un ‘mondo esterno’ che le chiedeva di rompere le mura domestiche e far parte della società, quanto è più vera e terribile oggi la discrasia tra ciò che, con gli attuali mezzi di comunicazione, ci si illude sia a portata di mano e una vita da casalinga che in poco è cambiata da quella del passato?

La donna, come un mostro a più teste, deve ricoprire tutti i ruoli che le vengono richiesti: lavoratrice, madre, moglie. E deve farli al meglio visto che le riviste femminili dagli anni ’70 in poi sono ben poco cambiate e propongono sempre un modello di donna factotum vincente e bellissima. Se poi al ruolo di casalinga si somma quello di madre il peso è doppio. Un peso inflitto, come un invisibile burqua, da una società benpensante in cui la dea-madre è un essere mitizzato a tal punto da non prestare ascolto alle esigenze più che terrene di donne in difficoltà: il licenziamento che pende come una spada di Damocle sulla testa delle donne in età fertile, gli asili scarsi e carissimi, una diffusa solitudine dovuta al disgregamento del nucleo famigliare originale che, sempre più, negli anni, vede i membri di una stessa famiglia disseminati in posti spesso lontanissimi. Aspetti di modernizzazione della nostra società convivono, drammaticamente, con refusi del passato in una snervante altalena in cui alla donna viene detto “potresti ma non puoi”. Non rimane che augurarsi che le nuove generazioni, vedendo un documentario sugli ‘angeli del focolare’ del 2017, non pensino anche loro “nulla è cambiato”.

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Simona Gautieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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