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Ha 45 anni, è felicemente sposato, ha due figli e alle spalle una carriera soddisfacente da avvocato. Si chiama Tiberio Savonuzzi e oggi fa il pittore: espone in varie città d’Italia, ha già vinto due premi importanti ed è appena stato contattato per esporre le sue opere alla Biennale di Tokyo per la sezione Italy art Tokyo 2015, a San Pietroburgo e ad Artefiera di Padova. In questo momento, cinque dei suoi quadri sono in mostra alla Galleria Le Dame di Londra in Albany street fino al 30 giugno e una quindicina sono esposte al Country Club di Fossa d’Albero a tempo indeterminato.

Come è nata la collaborazione con la Galleria Le Dame di Londra?

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Chiara Canal e Cristina Cellini Antonini di Le Dame Art Gallery di Londra

Ho letto un articolo su Il giornale dell’arte che presentava tutte le gallerie italiane che stanno cercando uno sbocco all’estero. L’associazione Le Dame è diretta da due italiane che si sono trasferite a Londra con l’intento di diffondere l’arte italiana emergente all’estero; le ho contattate, hanno valutato le mie opere e mi hanno proposto di esporle nella loro galleria di Londra, insieme ad altri artisti italiani e inglesi. Grazie a loro ho incontrato anche Michele Maione, presidente dell’Archivio monografico arte italiana, che mi mi ha proposto di collaborare partecipando a mostre ed eventi organizzati in vari luoghi d’Italia (attualmente sono attivi a Venezia, Milano, e anche all’Expo). La cosa che più mi ha colpito di queste persone è che non si limitano a coinvolgerti per il singolo evento, ma desiderano stabilire una continuità per sostenere l’artista emergente e seguirne la crescita.

Dall’avvocatura alla pittura, quali le ragioni di un salto così grande?

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Savonuzzi nello spazio espositivo del suo atelier

La scelta della pittura viene da una riflessione che ho fatto qualche anno fa, a quarant’anni, “nel mezzo del cammin” della mia vita. La storia della mia famiglia è stata molto travagliata, da tre generazioni cresciamo orfani di padre: mio bisnonno Ezio Savonuzzi è morto giovanissimo nel 1917 sul Piave quando mio nonno aveva appena cinque anni; mio nonno Alberto Savonuzzi è stato barbaramente ucciso insieme al altri sei partigiani dai nazifascisti, nell’eccidio del Doro del 17 novembre 1944, quando mio padre aveva cinque anni; mio padre Ezio è stato stroncato da un tumore fulminante al cervello, era il 1974 e io avevo cinque anni. Arrivato a quarant’anni mi sono accorto che ero il più vecchio delle ultime quattro generazioni, avevo già vissuto più a lungo rispetto a mio bisnonno, al nonno e al papà, mi sentivo graziato.

Cambiare attività è stato quindi il frutto di un bilancio…

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Il laboratorio

Sì, nonostante la professione da avvocato fosse bene avviata, mi sono reso conto che non era quello che volevo dalla vita, che gli anni che mi venivano ‘regalati’ andavano vissuti alla grande, e ho cominciato a pensare di dedicarmi a qualcosa che mi permettesse di esprimere me stesso. Mi è sempre piaciuto disegnare, ma ero completamente a digiuno di qualsiasi tecnica, quindi nel 2011 mi sono iscritto alla Scuola del fumetto di Padova (due mattine a settimana andavo a lezione e mi facevo sostituire alla udienze), dopo tre anni mi sono diplomato, poi ho cominciato a prendere in mano i pennelli e ho capito che la pittura era la mia strada. Ho chiuso la mia posizione di avvocato e mi sono lanciato. E’ stato un po’ un salto nel vuoto, non so ancora dove mi porterà questa attività ma ora sono felice, non mi sento arrivato e con molta umiltà miglioro ed evolvo di giorno in giorno. Sono soddisfatto perché i miei quadri piacciono, vengono esposti e acquistati. Mi sembra di aver fatto la scelta giusta.

Il tuo atelier è un bijoux, in pieno centro storico, abbastanza grande e molto luminoso, come ci sei arrivato?
E’ stato un segno, c’è qualcosa di speciale in questo luogo, c’è una connessione unica, sembra quasi che io sia stato chiamato qui in via Borgo Vado.

In che senso? Racconta…

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Scorcio della chiesa di Santa Maria in Vado dalla finestra dell’atelier

Quando non avevo ancora l’atelier e dipingevo in casa, andai per un appuntamento con la proprietaria del B&B Guest House Delizia Estense in via Scandiana, per accordarmi sull’esposizione di alcune mie opere nel suo albergo. La signora era in ritardo di qualche minuto, così ne approfittai per entrare nella chiesa di Santa Maria in Vado, e scopro casualmente che c’è una lapide di mio bisnonno Ezio Savonuzzi, sulle pareti laterali della cappella del Miracolo. Dopo due settimane, mentre ero alla ricerca di un atelier, mi consiglia di provare con la ex-bottega del biciclaio di Borgo Vado. Arrivato all’appuntamento, scopro di essere proprio di fronte alla chiesa di Santa Maria in Vado. Era perfetto per me e l’ho preso subito. E’ suddiviso in due vani, uno l’ho adibito a laboratorio, uno a spazio espositivo.

Tornando alle parentele, il celebre ingegner Carlo Savonuzzi, ingegnere del Comune di Ferrara, che eresse il Serbatoio dell’Acquedotto di Ferrara, che progettò la scuola elementare Alda Costa, il conservatorio Girolamo Frescobaldi, e riqualificò piazzetta Sant’Anna negli anni ’30, era un tuo parente?
Sì, era un fratello di mio bisnonno Ezio. A Ferrara, tutti i Savonuzzi sono imparentati. Anche Girolamo Savonuzzi, uno zio del bisnonno, che fu ucciso nel 1935 dai fascisti sulle Mura.

Cosa esprimono le tue opere?
All’inizio ero partito con una serie di manichini (che non hanno nulla a che vedere con la metafisica di De Chirico) che rimandano al tema della persona che vive in un presente globalizzato e che è vittima dell’omologazione, spersonalizzata e sfruttata dal sistema. In questo senso, l’opera più significativa è il Manichino che si taglia e sanguina, per dimostrare di essere vivo.
Poi sono passato ad un lavoro più introspettivo e ho cominciato a dipingere figure che esprimono il senso della mancanza, perché vedo sempre di più nelle persone un grosso vuoto dentro, anelano a qualcosa che sempre gli sfugge. Questi quadri esprimono la ricerca interiore che l’uomo deve fare quando sente di non essere soddisfatto e felice della propria vita. Mi sono ripromesso di raccontare sempre una storia, e mi sono scritto un promemoria per ricordarmelo ogni giorno.

Manichino che si taglia e sanguina
Manichino che si taglia e sanguina
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Che tipo di colori e materiali utilizzi?
Un po’ di tutto, dagli acrilici al gesso, dall’acquarello alla vernice. Negli ultimi lavori sto usando una vernice quasi bituminosa e della colla, perché voglio che i volti emergano dalla tela, anzi dal muro perché ho ricoperto la tela di gesso e colla. Vorrei arrivare a fare quasi dei piccoli graffiti o piccole sculture… vedremo cosa salterà fuori.

Quanti quadri hai dipinto in quest’ultimo anno e quali sono stati premiati?
Se parliamo di quadri finiti, completi di cornice, una sessantina, poi ho fatto decine di studi e schizzi. Sono stato premiato al concorso nazionale di pittura La margherita d’Argento di Cesena a febbraio 2015 e alla Mostra estemporanea di Cerea a settembre 2014.

Progetti in vista?

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Alcuni dei quadri esposti

A maggio il mio atelier sarà uno dei luoghi che ospiteranno le opere e le performance di una 60ina di artisti ferraresi che si attiveranno per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violenza contro le donne, nell’ambito dell’iniziativa intitolata “Mozzafiato 2. Storie di ordinaria violenza”. L’iniziativa si svolgerà in vari luoghi, in modo itinerante: nel mio atelier di Borgo Vado, nel laboratorio della scultrice Flavia Franceschini in via Carmelino, nello studio della pittrice Sima Shafti di via Paglia, alla Foto factory di via Comacchio e alla Galleria del Carbone che ha promosso e organizzato l’evento in collaborazione con il Movimento Nonviolento, Centro donna giustizia, Centro di ascolto uomini maltrattanti. Gli artisti saranno per così dire ‘accoppiati’, un pittore e uno scultore, un ballerino e un poeta, io sono gemellato con il fotografo Osanna Campanella. L’inaugurazione dell’evento avrà luogo sabato 16 maggio alla Galleria del Carbone alle ore 18.

La mostra “Mozzafiato 2. Storie di ordinaria violenza” è già stata presentata a Jolanda di Savoia con le opere di una ventina di artisti (28 febbraio – 27 marzo), dal 18 aprile è in corso alla Casa dell’Ariosto di Stellata di Bondeno e dal 16 maggio si trasferisce a Ferrara nei luoghi già citati, coinvolgendo una sessantina di artisti che utilizzano diverse modalità espressive. La mostra itinerante è stata pensata per mettere in rete le località del territorio e gli artisti della città e della provincia di Ferrara.

Le Dame Art Gallery
Archivio monografico arte italiana

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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