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The Hollywood Strike

Alzi la mano chi si sarebbe aspettato che una “tata” – anzi, La Tata per eccellenza, Francesca Cacace nella versione italiana della sit-com –  si mettesse alla testa di uno sciopero contro le corporation dell’immaginario di Hollywood. Parliamo di giganti del calibro di Disney, Netflix, Paramount, Warner Bros…

La “tata” in questione è Fran Drescher, attrice che ha impersonato il carattere di Nanny in una serie televisiva di notevole successo di fine anni ’90. In una protesta partita dagli sceneggiatori già a maggio, la Drescher (portavoce del SAG-AFTRA, il sindacato attori di Hollywood) è riuscita nell’impresa di saldare la loro lotta con quella degli attori, e dal 13 luglio scorso le produzioni e i set sono bloccati. Ha pronunciato frasi molto nette, dai contenuti radicali. Ne riporto alcune particolarmente significative:

“Ciò che sta accadendo qui è importante perché accade in ogni ambiente lavorativo, dopo che i datori di lavoro hanno come priorità Wall Street e la cupidigia e si dimenticano di chi alla base fa muovere la macchina“; “Un’entità avida si sta accanendo su di noi. Sono scioccata dal modo in cui le persone con cui abbiamo sempre lavorato ci stanno trattando”; “Non posso credere al modo in cui gli studios piangano miseria, che stanno perdendo soldi a destra e a manca quando danno centinaia di milioni ai loro CEO. È disgustoso, devono vergognarsi, quando la maggior parte degli americani non ha neanche 500 dollari da parte per le emergenze”.

Ti evocano qualcosa queste affermazioni? Beh, a me sì. Mi evocano quello che succede in una marea di aziende – non solo grandi multinazionali – che strapagano i loro amministratori delegati e contemporaneamente giustificano la tirchieria nel pagare gli stipendi appellandosi alle difficoltà del mercato. Infatti l’anno scorso i dirigenti di Netflix, Amazon, Disney, Apple, Paramount e Comcast hanno percepito 280 milioni di dollari e le loro società hanno realizzato utili per 115 miliardi di dollari. Ma non è solo questo il problema.

Il grande tema sullo sfondo è la possibile sostituzione delle prestazioni umane con quelle di entità artificiali. Sceneggiatori ed attori hanno posto al centro delle loro rivendicazioni la questione dell’intelligenza artificiale e dell’effetto potenzialmente devastante che potrebbe avere sul loro lavoro. Nella sceneggiatura, la tecnologia spesso già sostituisce per lo “scheletro” della storia l’uomo, cui è lasciata la parte dei dettagli (con una conseguente riduzione del suo compenso). Quanto agli attori, chi ha maggiore potere contrattuale già fa inserire nei contratti una clausola che vieta di ritoccare artificialmente le scene (Keanu Reeves, ad esempio, si è lamentato di una lacrima “digitale” aggiunta a sua insaputa in post produzione per drammatizzare una sequenza). Ma se le star possono negoziare alcune condizioni ad personam, non altrettanto può fare la massa degli attori, pagati mediamente 25.000 dollari, che hanno già orecchiato l’intenzione di alcuni studios di far girare loro una sola scena – e di retribuirli solo per quella –  utilizzando per il resto una scansione digitale del loro volto (c’è un Harrison Ford giovane e “finto” che recita accanto al vero, ormai ottantenne, anche nell’ultimo Indiana Jones).

Questa lotta dei lavoratori dell’entertainment più famoso del pianeta è particolarmente significativa, per diversi motivi. Anzitutto appare evidente che i fabbricanti di storie – gli sceneggiatori – abbiano spesso una acuta sensibilità predittiva dei trend sociali, per averli messi al centro di molti dei loro script più avant-garde: pensiamo a serie come The Office, Black Mirror, Breaking Bad, Handmaid’s Tale, Stranger Things. Chi fa della capacità di visione, anche la più cupa, il proprio mestiere, ha le antenne per captare in anticipo quando le proprie fantasie distopiche iniziano ad entrare dentro la sua vita reale. C’è una “notizia” fulminante di Lercio.it – il più famoso sito italiano di fake news satiriche – che può rendere l’idea del clima: “Elon Musk crea una nuova intelligenza artificiale che, per prima cosa, lo licenzia”. Questa battuta fa ridere e rabbrividire al tempo stesso non per la sua assurdità, ma per la sua verosimiglianza: se il potente e visionario tycoon può essere avvicendato ad opera di una macchina sua creatura, figuriamoci cosa può succedere a montatori, cameramen, costumisti, inservienti, comparse, scrittori – molti di essi accomunati, tra l’altro, anche dalla precarietà dei loro contratti di lavoro con relative coperture, a partire da quella sanitaria.

Un altro particolare molto importante è la saldatura nella lotta di maestranze che non sempre sono solidali. Sceneggiatori e attori, ad esempio. Un attore potrebbe anche “fregarsene” del destino di chi scrive le storie, se c’è qualcuno o qualcosa che continuerà a farlo. Il fatto è che la percezione di chi lavora per gli studios è: oggi tocca a loro, domani tocca a me. La solidarietà non è mai gratuita e unilaterale, come la carità: chi è solidale è intimamente convinto che quella battaglia va combattuta insieme ad altri perchè condivide con essi un infausto destino, e cerca di sventarlo unendo le forze.

Ti sembra un concetto banale? Beh. Prova a pensare al tuo ambiente di lavoro, al tuo settore. Prova a pensare se la Meryl Streep o la Jennifer Lawrence del tuo organigramma (quelli da un milione di euro l’anno in su) o anche un Gaten Matarazzo (corrispondente ad un giovane rampante da centomila euro a salire) parteciperebbero a cuor leggero ad un picchetto, o semplicemente accetterebbero di firmare una lettera di fuoco contro il tuo Consiglio di Amministrazione. Certo, ci sono anche le Kim Kardashian che il picchetto lo forzano per andare sul set, ma in questo momento il crumiraggio è praticato da una minoranza. La vera incognita è verificare quanta di questa solidarietà resisterà al trascorrere del tempo, soprattutto se il braccio di ferro  dovesse durare diverse settimane. Alcuni attori e attrici sono infatti anche produttori o coproduttori delle serie in cui recitano, e credo di essere facile profeta nel pronosticare un tentativo degli Studios di dividere il fronte, staccando gli anonimi manovali dello spettacolo dalle celebrità.

E’ anche per questa ragione che osservare come evolve la mobilitazione di attori e scrittori – la prima unitaria in sessant’anni – è importante per tutti i settori lavorativi e per tutti i rapporti di forza che implicano una dialettica conflittuale. Come afferma Fran Drescher, infatti, “ciò che sta accadendo qui è importante perché accade in ogni ambiente lavorativo”. Almeno una cosa è certa: a prescindere da come andrà, Hollywood non si lascerà sfuggire l’occasione di utilizzare questa vicenda per costruirci sopra una nuova storia. Sarà interessante vedere da quale punto di vista sarà raccontata.

 

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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