TERZO TEMPO
Sport e movimento Black Lives Matter: uniti per gli stessi obbiettivi
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Negli Stati Uniti continuano le proteste esplose in maniera capillare dopo l’uccisione di George Floyd da parte di Derek Chauvin, un ufficiale di polizia bianco di Minneapolis che lo ha tenuto bloccato a terra per quasi 8 minuti. L’onda di queste proteste si è diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo e gran parte degli sportivi di ogni disciplina si sono allineati, chi più chi meno, con i manifestanti che chiedono giustizia e parità di trattamento da parte delle istituzioni americane. Lewis Hamilton, Megan Rapinoe, LeBron James e tantissimi altri hanno dimostrato solidarietà concreta al movimento delle proteste; i giocatori della Premier League sono scesi in campo con la scritta Black Lives Matter sul retro delle maglie al posto del loro nome. L’ondata ancora oggi, dopo quasi due mesi, non si ferma. Il movimento vuole unire diverse lotte sotto la bandiera dell’uguaglianza e lo sport può essere un veicolo importante per smuovere le coscienze della gente.
In passato infatti è stato fondamentale nelle lotte per i diritti civili: il primo giocatore afroamericano a calcare i parquet dell’NBA fu Earl Lloyd nella stagione 1950/51, quattro anni dopo la fondazione della lega avvenuta nel 1946. In quegli anni, nella Major League Baseball (la lega nazionale americana di baseball) fece il suo esordio Jackie Robinson che nel 1947 approdò ai Brooklyn Dodgers (gli attuali Los Angeles Dodgers) diventando il primo nero della storia della MLB. Per la lega nazionale football, la NFL, si attese ancora qualche anno: James Harris divenne il quarterback dei Buffalo Bills nel 1969, rompendo il muro dei pregiudizi anche nel football americano.
Prima dell’apparizione nelle maggiori leghe sportive americane di questi tre atleti, gli afroamericani giocavano in campionati a parte, sparsi un po’ in tutto il paese.
Facendo un salto in avanti fino ai giorni nostri la situazione è capovolta, soprattutto nella NBA: i migliori giocatori di tutto il paese sono afroamericani così come i migliori interpreti della storia del gioco. Ora è quasi scontato avere un roster con più neri che bianchi ma quando la lega era agli albori della sua storia c’erano delle leggi che non permettevano tutto ciò.
Ulteriori passi avanti si sono fatti negli ultimi anni nella pallacanestro americana dove ci sono stati i primi due giocatori professionisti che hanno dichiarato la loro omosessualità: John Amaechi e Jason Collins. Il primo, che ha un passato anche in Italia nelle file della Virtus Bologna, ha dichiarato pubblicamente di essere omosessuale il 18 febbraio 2007, pochi anni dopo il suo ritiro dal basket giocato, avvenuto nel 2003. Collins invece è stato il primo giocatore in attività a fare coming out: nel 2013 attraverso un articolo sulla rivista Sport Illustrated che inizia con la frase ormai famosa:”I’m a 34-year-old NBA center. I’m black. And I’m gay.” Collins si ritirerà la stagione successiva dopo aver giocato un anno con i Brooklyn Nets. [Vedi qui]
Nella MLB già negli anni 70 ci fu il primo giocatore a fare coming out: Glenn Burke fu tesserato dai Los Angeles Dodgers per la stagione 1976, e due anni dopo decise di dichiarare la sua omosessualità. In quel periodo gli Stati Uniti erano un calderone di manifestazioni di ogni tipo: tra le marce per i diritti dei neri, delle donne, contro le guerre che vedevano coinvolta la nazione, c’erano già i primi gruppi lgbt che si organizzavano per lottare per i propri diritti. Il 1978 fu l’anno dell’uccisione di Harvey Milk, primo consigliere comunale della città di San Francisco apertamente omosessuale. In questo contesto, la decisione di Glenn Burke gli compromise la carriera: venduto dai Dodgers giocò una sola stagione agli Oakland Athletics prima di ritirarsi alla fine del 1979. Burke risultò positivo ad un test per l’AIDS nel 1993; nel 1995 morì per le complicazioni della malattia. Negli ultimi due anni di vita scrisse la sua biografia dove dichiara :«Nessuno può più dire che un gay non può giocare in Major League, perché io sono gay e ce l’ho fatta.»
Il football arriva per ultimo anche stavolta: il 10 febbraio del 2014 Michael Sam si dichiara omosessuale prima ancora di approdare nella lega dei professionisti. Dopo anni promettenti al college a maggio del 2014 viene scelto dai St.Louis Rams dove gioca una buona stagione, ma non abbastanza per essere confermato; svincolato passa ai Dallas Cowboys e infine, nella stagione 2015, ai Montreal Alouettes, squadra della massima lega canadese. Al termine della stagione annuncia il ritiro acausa delle pressioni psicologiche che è costretto a sopportare per via del suo coming out.
Questi atleti afroamericani dichiaratisi omosessuali sono stati un punto di svolta per lo sport professionitico maschile americano: soprattuto Amaechi e Collins hanno dimostrato, in quanto neri e omosessuali(quindi doppiamente discriminati) di poter competere in un mondo dominato dai pregiudizi sulle questioni razziali e di genere.
Inutile dire che nel mondo femminile l’argomento è sdoganato su molti fronti: la nazionale statunitense femminile di calcio ha in Megan Rapinoe la sua punta di diamante. Centrocampista offensiva attualmente in forza al Reign Fc, vanta due mondiali conquistati con la nazionale e, nel 2019 ha vinto il premio come miglior giocatrice del mondiale di Francia (poi vinto dalle americane) assieme al Pallone d’Oro assegnatole il 2 dicembre dello stesso anno dalla rivista France Football.
Dopo l’uccisione di Floyd, la calciatrice ha cominciato una vera e propria battaglia sui social network contro gli abusi della polizia chiedendo a gran voce parità di diritti tra persone di etnie diverse, arrivando a dichiarare la sua candidatura alla Casa Bianca per le elezioni di Novembre. È una provocazione più o meno velata alle reazioni mostrate da Trump nei confronti dei manifestanti e degli atleti che, anche in passato, hanno preso posizione a favore dei manifestanti. La Rapinoe ha dichiarato: <>. Già in passato la calciatrice è stata protagonista di uno scontro con Trump, lanciando parole pesanti durante del mondiale 2019 in cui la Rapinoe ha scelto di boicottare l’Inno, non cantandolo prima di una partita. Il presidente aveva subito “beccato” la calciatrice che ha risposto prontamente: <> Megan Rapinoe è impegnata anche nella battaglia della “Equal Pay” che ha come obbiettivo la parità salariale tra uomini e donne nello sport professionistico; obbiettivo ancora molto lontano dalla sua realizzazione effettiva, ha tuttavia l’appoggio di molte sportive anche nel vecchio continente. La campionessa americana è lesbica dichiarata e non si fa problemi a parlare dell’argomento.
Già in passato ci sono state delle sportive a dichiarasi lesbiche: Martina Navratilova e Billie Jean King nel tennis, Natasha Kai e Abby Wambach nel calcio, più recentemente Diana Taurasi e Elena delle Donne nel basket WNBA(lega profesionistica femminile americana), e molte altre ancora, tutte impegnate nel sociale o in eventi di beneficienza.
La differenza tra uomini e donne è lampante sotto questo punto di vista.
Tornando però nel maschile, c’è un altro esempio di coming out: Robbie Rogers calciatore americano con diverse presenza anche in nazionale, nel 2013 annuncia sul suo blog di essere omosessuale e di ritirarsi momentaneamente dall’attività agonistica.
Il football arriva per ultimo anche stavolta: il 10 febbraio del 2014 Michael Sam si dichiara omosessuale prima ancora di approdare nella lega dei professionisti. Dopo anni promettenti al college a maggio del 2014 viene scelto dai St.Louis Rams dove gioca una buona stagione, ma non abbastanza per essere confermato; svincolato passa ai Dallas Cowboys e infine, nella stagione 2015, ai Montreal Alouettes, squadra della massima lega canadese. Al termine della stagione annuncia il ritiro a causa delle pressioni psicologiche che è costretto a sopportare per via del suo coming out.
Questi atleti afroamericani dichiaratisi omosessuali sono stati un punto di svolta per lo sport professionistico maschile americano: soprattuto Amaechi e Collins hanno dimostrato, in quanto neri e omosessuali (quindi doppiamente discriminati) di poter competere in un mondo dominato dai pregiudizi sulle questioni razziali e di genere.
Inutile dire che nel mondo femminile l’argomento è sdoganato su molti fronti: la nazionale statunitense femminile di calcio ha in Megan Rapinoe la sua punta di diamante. Centrocampista offensiva attualmente in forza al Reign Fc, vanta due mondiali conquistati con la nazionale e, nel 2019 ha vinto il premio come miglior giocatrice del mondiale di Francia (poi vinto dalle americane) assieme al Pallone d’Oro assegnatole il 2 dicembre dello stesso anno dalla rivista France Football.
Dopo l’uccisione di Floyd, la calciatrice ha cominciato una vera e propria battaglia sui social network contro gli abusi della polizia chiedendo a gran voce parità di diritti tra persone di etnie diverse, arrivando a dichiarare la sua candidatura alla Casa Bianca per le elezioni di Novembre.
È una provocazione più o meno velata alle reazioni mostrate da Trump nei confronti dei manifestanti e degli atleti che, anche in passato, hanno preso posizione a favore dei manifestanti. La Rapinoe ha dichiarato: “Conosco bene la situazione che si prova ad ascoltare l’Inno Nazionale sapendo che non ti rappresenta del tutto“. Già in passato la calciatrice è stata protagonista di uno scontro con Trump, lanciando parole pesanti durante del mondiale 2019 in cui la Rapinoe ha scelto di boicottare l’Inno, non cantandolo prima di una partita. Il presidente aveva subito “beccato” la calciatrice che ha risposto prontamente: “Non andrò alla Casa Bianca nel caso in cui dovessimo vincere e fossimo invitate, cosa di cui dubito.” Megan Rapinoe è impegnata anche nella battaglia della “Equal Pay” che ha come obbiettivo la parità salariale tra uomini e donne nello sport professionistico; obbiettivo ancora molto lontano dalla sua realizzazione effettiva, ha tuttavia l’appoggio di molte sportive anche nel vecchio continente. La campionessa americana è lesbica dichiarata e non si fa problemi a parlare dell’argomento.
Già in passato ci sono state delle sportive a dichiarasi lesbiche: Martina Navratilova e Billie Jean King nel tennis, Natasha Kai e Abby Wambach nel calcio, più recentemente Diana Taurasi e Elena delle Donne nel basket WNBA(lega profesionistica femminile americana), e molte altre ancora, tutte impegnate nel sociale o in eventi di beneficienza.
La differenza tra uomini e donne è lampante sotto questo punto di vista.
Tornando però nel maschile, c’è un altro esempio di coming out: Robbie Rogers calciatore americano con diverse presenza anche in nazionale, nel 2013 annuncia sul suo blog di essere omosessuale e di ritirarsi momentaneamente dall’attività agonistica. Ritornerà a giocare nei Los Angeles Galaxy dal 2014 al 2017 per poi ritirarsi definitivamente. Nel 2017 si è sposato con il suo compagno ed ha avuto un figlio tramite maternità surrogata. È stato il primo calciatore professionista a dichiararsi gay nella MLS(Major League Soccer) nel pieno della sua carriera.
Tutte queste storie sono collegate al movimento Black Lives Matter? Per quanto mi riguarda assolutamente si. Queste vicende fanno parte del passato, più o meno recente, degli Stati Uniti e dopo il 25 maggio è sotto gli occhi di tutti come il paese “guida” delle democrazie occidentali sia molto indietro sulle questioni dei diritti civili. Le manifestazioni anche violente viste in questi mesi sono una conseguenza di politiche economiche e soprattutto culturali portate avanti dai governi americani degli ultimi 50 anni e l’attuale amministrazione Trump dimostra di non volere fare passi avanti.
Lo sport farà la sua parte come ha sempre fatto per spostare le coscienze dalla parte giusta.
Qualche anno fa al Festival Internazionale di Ferrara presenziò Angela Davis, che in quanto a lotte per i diritti civili non è seconda a nessuno. Andai a quell’incontro e in un suo intervento la Davis disse: “Le lotte per i diritti civili sono lotte per i diritti di tutti. È una cosa di buon senso“. Come darle torto. Le proteste del movimento Black Lives Matter riguardano tutti, così come le storie di questi atleti ed atlete che, nel passato come al giorno d’oggi, guidano il cambiamento attraverso uno degli strumenti più efficaci: lo Sport in tutti i suoi aspetti.
Cover: Megan Rapinoe, calciatrice Usa
Ferrara film corto festival
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Quattro giorni di eventi internazionali dedicati al cinema indipendente, alle opere prime, all’innovazione e ai corti a tematica ambientale.
Marcello Bergossi
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it