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Sono recentemente apparsi su queste colonne due interventi – a firma di Francesco Monini [Vedi qui] e di Nicola Cavallini [Qui] – che a conclusione dell’esperienza del Governo Draghi ne tracciano un consuntivo alquanto problematico, molto molto diverso da quello prevalente sul cosiddetto mainstream.

L’obiettivo del presente intervento è quello di corroborare le perplessità espresse nei citati articoli, attraverso l’analisi di un aspetto specifico citato in entrambi: la gestione che l’Esecutivo ha attuato del cosiddetto Superbonus 110%, misura introdotta dal secondo governo Conte il 19 maggio 2020. L’analisi che segue si giova dei risultati di un’interessante ricerca sugli effetti ottenuti dalla misura in questione, condotta da Nomisma e riferita dal Corriere della Sera il 14 luglio [leggi Qui]

Corriere e Nomisma non sono esattamente due centrali grilline, ma sintetizzando al massimo i risultati esposti si arguisce quanto segue:

  1. la misura è stata finora finanziata per 38,7 miliardi di euro (compresi i deplorevoli abusi che ne hanno dirottati, secondo gli ultimi dati, 5.8) ma, se si considerano i maggiori introiti fiscali derivanti dal valore economico generato, il costo netto per le casse dello Stato scende a soli 811 milioni di euro;
  2. si può dunque ragionevolmente dedurre che se le azioni amministrative di prevenzione e di repressione delle truffe fossero state maggiormente efficaci, la misura avrebbe addirittura prodotto un attivo, oltre che un ulteriore miglioramento di tutti gli indici che seguono;
  3. la misura ha generato un valore economico di 124,8 miliardi di euro, pari al 7,5% del PIL: viene da chiedersi come starebbe oggi la nostra economia, senza questa robusta iniezione di risorse;
  4. la misura ha prodotto maggiore occupazione per 643.000 unità;
  5. dal punto di vista ambientale, la misura ha consentito – soltanto grazie alle opere realizzate fino a oggi – un abbattimento delle emissioni di CO2 pari a 242.000 tonnellate, con un risparmio medio annuo in bolletta di 500 euro a unità immobiliare.

Insomma, sintetizzando ulteriormente, il superbonus avrebbe prodotto praticamente a costo zero – e anzi, potenzialmente, con un attivo per le casse dello Stato – un notevole incremento di PIL, una significativa ripresa dell’occupazione e un beneficio ambientale e per la bilancia commerciale di rilevanti dimensioni.

Se così fosse, non si tratterebbe, in tempi di recessione e di crisi energetica, della misura anticiclica perfetta?

Naturalmente, ogni ricerca può cadere nell’errore e i dati finora riferiti potrebbero essere smentiti.

Probabilmente, il Governo Draghi, poi dimissionario, ne aveva di diversi, visto che ha condotto una lotta senza quartiere contro la misura ereditata dal precedente (vedi ad esempio [Qui]).

Nel caso, sarebbe bene che condividesse tali dati con gli italiani, dato che le ragioni finora addotte a sostegno dell’ostilità (vedi l’intervento di Draghi a Strasburgo il 4 maggio scorso) hanno a che fare con aspetti certamente deplorevoli – l’aumento dei costi e le truffe – ma non connaturati all’orizzonte di politica economica del provvedimento. Piuttosto, legati a manchevolezze nella predisposizione e nell’attuazione di forme di controllo.

Le truffe e gli abusi, infatti, si combattono attraverso azioni di contrasto mirate. A chi verrebbe in mente di chiudere gli ospedali perché vi si verificano delle malversazioni? O di eliminare le pensioni d’invalidità perché una certa parte di esse sono fasulle?

Non si butta via il bambino con l’acqua sporca, si dice. E, soprattutto, non si getta il bambino conservando l’acqua sporca, come sembra commentasse Federico Caffè quando, più di quarant’anni fa, si vollero separare i destini del Tesoro e della Banca d’Italia, in modo tale che il collocamento dei titoli di Stato non potesse automaticamente contare su un prestatore di ultima istanza, con l’intento dichiarato di frenare la spesa pubblica e di arginare di conseguenza la corruzione ad essa connessa.

Come sia andata, è noto. Proprio come temeva Caffè, il bambino della crescita economica è progressivamente finito nello scarico, mentre l’acqua sporca della corruzione dilaga sempre più nel Paese.

Così, se i risultati della ricerca di Nomisma fossero attendibili, la metafora di Federico Caffè – del quale Mario Draghi, prima di rinnegarne l’insegnamento, era ritenuto l’allievo più brillante – risulterebbe quanto mai attuale.

Allora, un dubbio appare lecito: non sarà che le ragioni reali dell’ostilità radicale di Draghi e amici verso il superbonus sono esattamente quelle per le quali esso potrebbe essere stato uno dei migliori atti di governo da quarant’anni a questa parte?

La ragione ultima dei benefici economici apparentemente indotti dal provvedimento è, infatti, abbastanza semplice: la cessione del credito costituisce una cospicua immissione di strumenti di pagamento ‘freschi’ nel tessuto economico, creazione di moneta (sotto la forma di moneta fiscale) destinata a dare ossigeno al mondo produttivo e ai lavoratori.

Si tratta, chiaramente, di un’eresia contro il vangelo neoliberista. Di un peccato assolutamente mortale secondo i Comandamenti della BCE.

Non è così? L’ostracismo draghiano verso il superbonus non è stato ideologico e strumentale, ma si basava su ragioni di merito?
Chiuso il loro mandato, Draghi e i suoi ministri avrebbero il dovere di chiarirle, con qualche argomento un po’ più consistente di quello, demagogico e populista come pochi, delle truffe e degli abusi (che certamente qualcuno avrebbe dovuto prevenire e reprimere). Dopo quarant’anni di acque sporche, sa tanto di supercazzola.

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Giuseppe Nuccitelli

Giuseppe Nuccitelli insegna filosofia e scienze umane nella scuola media superiore pubblica.  Ha collaborato con Università, Enti di Ricerca, la RAI e altri soggetti. È autore di varie pubblicazioni nell’orizzonte della filosofia e della linguistica educativa. È giornalista pubblicista. In libreria, il suo esordio narrativo: “Parola di Pilsops. Le circostanze della passione”, Roma, Gangemi Editore, 2022.

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