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E’ dunque arrivato un nuovo provvedimento del governo per affrontare il tema del caro bollette, in particolare quelle del gas e dell’elettricità. E’ il quarto che viene preso a partire dal giugno scorso e, come gli altri precedenti, non pare in grado di costruire soluzioni positive del problema, né tantomeno di evitare quello che si prospetta come un vero e proprio salasso per la gran parte delle famiglie italiane.

ARERA (l’Autorità nazionale di regolazione per l’energia, le reti e l’ambiente) stima che, pur tenendo conto degli intervento realizzati dal governo nel 2021, saremo di fronte ad un incremento del 131% del prezzo dell’energia elettrica e del 94% di quello del gas per il consumatore domestico tipo nel primo trimestre 2022 rispetto al primo trimestre 2021.

In questo scenario le ultime decisioni del governo, costruite con un mix di interventi tra riduzione di oneri di sistema, taglio dell’IVA, sostegno alle imprese e rafforzamento del bonus sociale per una spesa complessiva di poco più di 6 miliardi di €, non fanno altro che operare una parziale riduzione dei forti oneri che colpiranno famiglie e piccole imprese, con un po’ più di attenzione alle famiglie povere e disagiate, quelle che si attestano attorno ad un ISEE di 8000 €.
Forse non casualmente, nello stesso giorno in cui il governo annunciava quest’ultimo intervento, l’Amministratore delegato dell’ENI Descalzi  presentava il bilancio dell’azienda del 2021, che si chiude con un utile netto di 4,7 miliardi di €.  

L’intervento del governo discende da una visione da ‘capitalismo compassionevole’, per cui i profitti sono intoccabili, il meccanismo economico e i prezzi sono fissati dal mercato, l’intervento pubblico può correggere limitatamente quelle dinamiche, al massimo portando maggiormente sollievo ai poveri e agli indigenti. E che si nutre di una visione ottimista del mercato stesso, la famosa “mano invisibile” di Adam Smith, che genera progresso e equilibrio.

Quest’approccio, ideologico e ‘ingenuo’, favorisce anche il fatto di non voler vedere ciò che sta succedendo per quanto riguarda la mutata situazione del mercato dell’energia e che ormai presenta caratteristiche strutturali, non semplicemente un’eredità delle vicende economiche prodotte dalla pandemia. In realtà, al di là della vulgata per cui l’incremento dei prezzi del gas sarebbe sostanzialmente dovuto all’acuirsi delle tensioni geopolitiche, ai ricatti provenienti dalla Russia, aggravate dai rischi di guerra in Ucraina, non si tiene in sufficiente considerazione che il mercato del gas naturale sta subendo un cambiamento non di breve periodo legato alle scelte in materia energetica che sta compiendo la Cina.
La Cina, infatti, si sta impegnando per una forte limitazione del ricorso al carbone, spingendo maggiormente sull’utilizzo, appunto, del gas e delle fonti rinnovabili. Non a caso la Russia ha firmato ultimamente un contratto di 30 anni per la fornitura di gas alla Cina ed è previsto la costruzione di un nuovo gasdotto che collegherà l’Estremo Oriente russo con la Cina.

A quest’elemento di potenziale modifica strutturale della domanda e dell’offerta nel mercato del gas, si aggiunge il ruolo speculativo della finanza: mi riferisco qui al mercato dei diritti di emissione della CO2. Esso regola i cosiddetti “crediti di carbonio”(ETS), un meccanismo dell’Unione Europea per cui, se un’azienda inquina, ha diritto ad una certa quota di emissione di CO2, ma se la sfora, può sempre pagarne di ulteriori, comprate dalle aziende che, invece, ne hanno immesse di meno.
Come tutti i mercati di questa natura, esso si presta a scommesse e speculazioni, tant’è che, con la ripresa produttiva dopo la caduta del 2020, i prezzi di queste quote sono aumentati notevolmente e vengono scaricati sui consumatori: si stima, infatti, che, per quanto riguarda l’Italia, il rincaro delle bollette del gas derivi per l’80% dall’aumento del prezzo del gas, ma per un ben 20% dall’aumento dei prezzi dei permessi di emissione.

Insomma, lo sguardo di breve periodo, alimentato dall’idea della centralità del mercato, fa sì che, da una parte, si metta tra parentesi la necessità di mettere in campo da subito il processo di transizione energetica verso le fonti rinnovabili, le uniche che ci porterebbero ad una reale uscita dalla dipendenza dall’estero e dall’andamento dei mercati internazionali, e, dall’altra, non si costruiscano efficaci strumenti di tutela economica per le famiglie e le piccole imprese.

Come dice anche il presidente di Nomisma Energia Tabarelli, bisognerebbe “tornare alle tariffe amministrate, cioè stabilite dalla mano pubblica. Ma a Roma e a Bruxelles dicono che quella a cui stiamo assistendo è una normale manifestazione del libero mercato, e che si aggiusterà tutto automaticamente”.
Tariffe amministrate, fissate entro limiti certi dalla decisione politica, come si è iniziato a fare in Francia e Spagna, e recupero salariale dall’inflazione (ve la ricordate la scala mobile?) diventano nuovamente questioni fondamentali se si vuole evitare una nuova fase di impoverimento di gran parte della popolazione. Ma ciò mal si concilia, anzi è proprio l’opposto, della politica economica e sociale del governo, tutto teso a esaltare la crescita del PIL e a spingere sulle bontà salvifiche del mercato

La stella logica liberista che presiede alle scelte del PNRR e del disegno di legge delega sulla concorrenza. Quest’ultimo, il cui iter parlamentare è da poco iniziato al Senato e che il governo vorrebbe concludere entro l’estate, darebbe il colpo di grazia finale alla gestione pubblica dei servizi pubblici locali e completerebbe definitivamente i processi di privatizzazione che non si sono mai fermati da 30 anni in qua.
Con quello che si portano dietro tutte le privatizzazioni, e cioè incremento dei profitti, aumento delle tariffe, allontanamento dalle finalità sociali cui dovrebbero rispondere i servizi pubblici. Peraltro, questo processo riguarderebbe l’insieme dei servizi pubblici locali, compresi quelli sociali, quello idrico e della gestione dei rifiuti, di cui si parla meno in questi giorni, ma che sono anch’essi investiti, per esempio, da crescite tariffarie significative.

Il 5 marzo a Ferrara il convegno della Rete Giustizia Climatica

E’ in questo contesto che si colloca anche il convegno sulle politiche dei rifiuti “Ci siamo rotti i polmoni” che la Rete per la Giustizia Climatica di Ferrara organizza per la mattina del 5 marzo. ( vedi sopra locandina).
Con quest’appuntamento si intende smontare i luoghi comuni e affrontare i nodi irrisolti della gestione dei rifiuti nella nostra città.
Infatti, a fronte del tanto sbandierato buon risultato della raccolta differenziata in città, che ha raggiunto l’87% sul totale dei rifiuti, frutto, in primo luogo, del comportamento virtuoso dei cittadini, abbiamo assistito all’approvazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, decisa nella primavera scorsa con il pronunciamento dell’Ente regionale ARPAE e non osteggiata dall’ Amministrazione Comunale di Ferrara, che ha portato all’innalzamento dei rifiuti bruciati dall’inceneritore a Ferrara da 130.000 a 142.000 tonnellate.
Inoltre, le tariffe relative ai rifiuti sono cresciute di circa l’8%,
e ora, secondo quanto dichiarato dall’Amministrazione Comunale, si attestano per una famiglia media a circa 300 € l’anno, sopra la media regionale che è di circa 276 €.

Continua intanto l’assordante silenzio dell’Amministrazione Comunale rispetto alla possibilità di ripubblicizzare il servizio dei rifiuti, che Hera gestisce in proroga dalla fine del 2017, quando è scaduta la concessione, e che, invece, può essere affidato ad un’azienda pubblica, dopo aver svolto un apposito studio di fattibilità, seguendo la scelta compiuta dall’Amministrazione comunale di Forlì in questa direzione. Allo stesso modo, non si intende affrontare il tema di una progressiva fuoriuscita dall’incenerimento, che si può realizzare con scelte efficaci in tema di politiche dei rifiuti, a partire dalla riduzione della loro produzione.

Verificheremo, anche con quest’iniziativa e il contributo di ospiti importanti, la volontà di amministratori e esponenti politici regionali e comunali, che sono stati invitati a partecipare, di fuoriuscire dal pensiero unico della centralità del mercato e del profitto.
Sempre che la politica voglia misurarsi con le questioni poste da Associazioni, movimenti, società civile e non continui a rimanere chiusa nella sua torre d’avorio.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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