Skip to main content

La notizia è fresca. Il sindaco ha ottenuto dai commissari di Carife la conferma che il Fondo interbancario impegnerà i trecento milioni considerati necessari per garantire l’operatività dell’istituto di credito cittadino. Dunque il fallimento, per ora, è scongiurato.
Il tema però resta incandescente. Posta in sicurezza la banca, persistono i dubbi sul suo futuro e le incognite per i piccoli azionisti. Tagliani ha chiesto che il valore delle azioni sia preservato. Per i risparmiatori, che si trovano fra le mani un titolo che a un certo punto era schizzato a 41 euro e ora è quotato a 3,18, è davvero il minimo.

Mentre si attende che si diradino le nebbie che persistono all’orizzonte, vale la pena ancora una volta volgere lo sguardo a ritroso per domandarsi come si sia potuti arrivare sino a questo punto. L’interrogativo l’abbiamo posto a un alto funzionario della Cassa di Risparmio di Ferrara che, per prudenza, ha chiesto di mantenere l’anonimato.
“La banca fino all’inizio degli anni 2000 era davvero un gioiello. Io potevo visionare i bilanci e dunque avevo la situazione precisa sotto controllo. Sussistevano tutti i presupposti perché le cose andassero avanti così, sarebbe stato sufficiente mantenere la dimensione locale.
Ricordo che le rilevazioni della Banca d’Italia ci collocavano fra le prime in Italia nella categoria delle piccole. Addirittura la raccolta superava gli impieghi”.

Chi aveva retto il timone della banca in quel periodo?
Il presidente era Bertoni che fin dal suo avvento nel 1995 aveva introdotto criteri manageriali mostrando indubbiamente grandi capacità. Si era però trovato subito in contrasto con il direttore Bianchi, che pure era un buon professionista. Lo liquidò e il suo licenziamento, a seguito di un ricorso, costò alla banca una cifra enorme, circa 4 milioni di euro di indennizzo… Al posto di Bianchi scelse Bacchelli, un commerciale puro che per aumentare la redditività ci spiegò che dovevamo aumentare gli impieghi. Ma il nuovo corso fu gestito lucidamente, le filiali di Ferrara e quelle di Rovigo si mostrarono molto efficienti e puntualmente eseguivano gli input della direzione. Allargando le maglie del credito arrivammo ad avere 100.000 correntisti, un numero enorme. Lo spread era interessante per la banca e il rientro era ottimo. In quel periodo le cose funzionavano al meglio, mantenevamo la dimensione di banca locale e lo stesso Bacchelli si mostrava prudente e talvolta addirittura frenava le filiali quando riteneva che si ponessero budget eccessivi, dunque si procedeva con giudizio nella politica di sviluppo. La raccolta continuava ad essere ancora un po’ superiore agli impieghi e a fine anno gli obiettivi erano sistematicamente centrati in pieno. Carife in sostanza realizzava quella che da sempre stata la sua missione di istituto di credito al servizio del territorio.

E che cosa è successo poi?
I guai sono incominciati con l’arrivo di Murolo, la banca fu guastata dalla sua ambizione sfrenata. Fu scelto come direttore nel 1999, un anno dopo la nomina di Santini a presidente. Era stato direttore della Cassa di Risparmio di Mirandola e coltivava amicizie influenti nell’ambiente politico modenese: intimo di Giovanardi, divenne capogruppo della Dc in consiglio comunale. Si mise in testa di trasformare Carife in gruppo bancario, attraverso la progressiva acquisizione di banche di dimensioni ridotte presenti in zone in cui la Cassa non c’era. Nel 2002 con l’innesto di Commercio e Finanza iniziammo il nuovo cammino. Secondo Murolo le banche che via via sarebbero entrate nel gruppo avrebbero dovuto mantenere la loro autonomia. Ma si scelsero istituti troppi piccoli per essere autonomi. Ricordo che il direttore sostenne che le banche che avrebbero mostrato di funzionare sarebbero rimaste, le altre sarebbero state rivendute. Solo io obiettai che se le banche sono troppo piccole non stanno in piedi se non con il supporto per la capogruppo. E segnalai che rivendere quelle zoppe non sarebbe stato semplice, sicché alla fine avremmo pagato noi il conto. Purtroppo i fatti mi hanno dato ragione.

Murolo come reagì?
Scrollò le spalle e intraprese le acquisizioni programmate: nel 2003 Banca di Treviso, Popolare di Roma, Credito veronese, poi nel 2004 la Banca Modenese dell’avvocato Samorì e la Banca Farnese di Piacenza e ancora, nel 2008, la minuscola Banca di credito e di risparmio di Romagna con sede a Forlì. L’unica che ci rendeva un piccolo utile, circa 7 milioni annui, era la società di leasing Commercio e Finanza di Napoli che, d’altra parte ci costringeva a impegnare ogni anno circa un miliardo di euro di finanziamenti a rischio.

In tutta questa vicenda qual è stato il ruolo di Santini?
Ha sempre accettato le scelte di Murolo, d’altra parte lo aveva voluto lui. Una volta ci disse che dopo sua moglie quello con Murolo era stato il matrimonio più felice della sua vita.
L’unica volta in cui forse si trovò in disaccordo fu quando direttore propose di esternalizzare alcuni servizi, se ben ricordo quelli della gestione del personale e del magazzino. Si trattava di un’operazione che non aveva senso, perché le funzioni erano correttamente assolto e all’interno e appaltandole avremmo dovuto sobbarcarci costi supplementari e ci saremmo trovati dei dipendenti da ricollocare. Quello trovata non passò.

Cosa ha determinato il crack della banca?
La vera causa dell’affondamento sono stati i costi esagerati sostenuti per il funzionamento del gruppo, rispetto all’esigua redditività assicurata dalle piccole banche che lo costituivano.

E nonostante l’evidenza nessuno ha sollevato il problema in consiglio di amministrazione?
No, perché alla fin fine ciascuno dei membri traeva qualche beneficio dalla situazione: riceveva incarichi all’interno delle banche del gruppo e girava allegramente l’Italia…

Ma i fallimenti di Coop Costruttori e Cir non hanno influito sulle sorti di Carife?
No, se non marginalmente. La Costruttori entra in crisi nel 2003 e Carife all’epoca era esposta con un finanziamento da 50 milioni di euro che rimase all’incaglio. Ma in previsione di quello che sarebbe potuto accadere erano stati fatti in anticipo gli opportuni accantonamenti e quindi il crack non ha creato particolari dissesti alla banca. D’altronde negli anni precedenti, grazie all’ingente movimentazione di soldi e ai finanziamenti concessi con relativi interessi, Carife con Coop Costruttori aveva fatto buoni affari e realizzato significativi guadagni. Ma nemmeno la vicenda di Mascellani, per quel che mi risulta, ha inciso più di tanto. Piuttosto sono pesati i 140 milioni di euro concessi in finanziamento a una stessa società, quella dei fratelli Siano. Si tratta proprio dell’operazione per la quale il direttore Murolo è stato imputato, processato e condannato in primo grado, salvo poi essere assolto in appello.
Pesanti furono anche lo scoperto di 50 milioni prestati a Caltagirone e l’esborso sostenuto per l’acquisizione della Banca Modenese, per la quale Samorì aveva chiesto un sacco di soldi che a Murolo evidentemente non parvero troppi perché glieli diede.

E poi la storia come prosegue?
Il regno di Murolo si conclude nel 2009 con l’esautoramento deciso della Banca d’Italia, al suo posto vengono designati prima Grassano, poi nel 2011 Fiorin che non riescono a invertire la rotta. La fase del commissariamento incomincia nel 2013. L’ultimo bilancio reso pubblico, quello del 2012, segnala ancora un attivo di 350 milioni di euro, verosimilmente impiegati in questi tre anni per coprire le perdite e le sofferenze.

Ora si profila la scialuppa di salvataggio del Fondo interbancario…
I 300 milioni che il Fondo si è reso disponibile a versare corrispondono alla cifra di garanzia stimata per ricapitalizzare la banca e dotarla di un patrimonio. La decisione di intervenire certo non prescinde da un’altra valutazione: se Carife andasse in fallimento lo stesso Fondo interbancario dovrebbe – per legge – rifondere i creditori, per un importo presumibile di circa un miliardo e 400 milioni di euro. Ritengo perciò che abbiano valutato più conveniente stanziare i 300 milioni per il salvataggio della banca!

Che ruolo immagina abbia avuto la Banca d’Italia in questo frangente?
È verosimile ci sia stata una pressione. Alla Banca d’Italia il fallimento non conviene, tantopiù che in una simile evenienza sarebbe particolarmente imbarazzante dover giustificare l’aumento di capitale autorizzato nel 2011, quando la situazione era già ampiamente compromessa.

Che valutazione dà delle manifestazioni di interesse dei mesi scorsi da parte della Banca Popolare di Vicenza e di Caricento?
La Popolare di Vicenza, che è banca aggressiva, è stata stoppata a seguito di verifiche contabili, ma credo nutrisse un interesse autentico. Mentre Cento ritengo sia stata semplicemente la vedetta che agiva per conto d’altri, probabilmente la Banca Popolare dell’Emilia-Romagna

In conclusione cosa ci possiamo attendere?
Appena quindici anni fa Carife era ancora un gioiello, può tornare ad esserlo se sarà riportata alla dimensione d’azione che le è propria, quella locale.

Chi può condurla su questa strada?
Le condizioni propizie per una ripartenza possono essere garantite solo da una banca forte.

Pensa a qualcuno in particolare?
Ritengo che se arrivasse banca Intesa, come ora qualcuno sussurra, si prospetterebbe la possibilità che a Carife fosse garantita l’autonomia e la salvaguardia del marchio, come è accaduto in questi anni con Carisbo. Sarebbero le condizioni migliori e i giusti presupposti per un significativo rilancio. Con il proprio consolidato marchio, Carife potrebbe ambire a riprendere il suo spazio commerciale e a un ampio recupero della clientela storica.

tag:

Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it