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Jerry il ribelle, ovvero la passione smisurata per la scrittura, perché una cosa è scrivere, altra è pubblicare.
Il credo di Jerome David Salinger, schivo e riservato, celebre per aver scritto Il giovane Holden (The Catcher in the Rye) nel 1951, divenuto un classico della letteratura americana, romanzo di formazione per molte generazioni (ricordo il libro edito da Einaudi, un po’ stropicciato, su cui mamma aveva annotato la data del 1954, passato per le mie mani di liceale e oggi per quelle di mio nipote…).
Il grande schermo ne ha raccontato la storia varie volte, noi vogliamo presentarvi la pellicola del 2017 di Danny Strong, Rebel in the Rye, adattamento della biografia J.D. Salinger: A Life, scritta da Kenneth Slawenski (2011).

Il film, il cui titolo è un chiaro riferimento a quello inglese del suo celebre romanzo, The Catcher in the Rye (Il giovane Holden), è ambientato nella metà del XX secolo in una colorata New York, e segue il giovane Salinger (Nicholas Hoult) mentre lotta per trovare la sua voce, si innamora della famosa, bellissima e mondana Oona O’Neill (Zoey Deutch) – che sposerà Charlie Chaplin – e, poco più che ventenne, combatte in prima linea durante la Seconda guerra mondiale. Quel conflitto che lo cambierà e segnerà profondamente anche per aver partecipato allo sbarco in Normandia ed essere stato uno dei primi soldati americani a entrare in un lager nazista.

Tutto il film racconta della difficoltà di Jerry, come lo chiamavano amici e familiari, di adattarsi alle luci della ribalta cui Il giovane Holden lo aveva improvvisamente portato, un libro bellissimo che racconta i pensieri e le azioni di molti giovani disadattati, adolescenti silenziosi che faticano a esprimere ciò che pensano, ribellioni silenti che redimono, il disgusto per la società borghese e convenzionale che fanno diventare Salinger uno degli ispiratori della Beat Generation ma che, allo stesso tempo, lo portano a una vita di isolamento e di reclusione fin dal 1980. Disagio di un’intera generazione.

Il biopic di Strong – che ha per co-protagonisti Kevin Spacey (nel ruolo del mentore Whit Burnett, insegnante di scrittura creativa, incontrato alla Columbia University) e Sarah Paulson (Dorothy Olding, la fedele agente che ha sostenuto il giovane Salinger per tutta la sua carriera) – ricorda anche come Salinger in cinquant’anni avesse rilasciato pochissime interviste: nel 1953, a una studentessa per la pagina scolastica The Daily Eagle di Cornish, e nel 1974, a The New York Times la sua ultima intervista.

Non effettuò apparizioni pubbliche, né pubblicò nulla di nuovo dal 1965 (anno in cui apparve sul New Yorker un ultimo racconto) fino alla morte, avvenuta nel 2010 (all’età di 91 anni), benché avesse continuato a scrivere.
Perché per lui, una cosa era scrivere, passione pura, altra pubblicare.

 

 

 

 

Rebel in the Rye, di Danny Strong, con Nicholas Hoult, Kevin Spacey, Sarah Paulson, Zoey Deutch, Hope Davis, Victor Garber. USA, 2017, 106 minuti.

Trailer del film

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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