Atmosfera degna di un romanzo di Agatha Christie, ambientazione teatrale estremamente colorata e curata, qualche brivido e tanta ironia. Il momento e il luogo? La Vigilia di Natale in una villa antica dal sapore e gusto un po’ retro. E in essa sette donne (c’è pure l’Ornella, la simpaticissima e perfetta Vanoni, in un ruolo che non ti aspetti) riunite per festeggiare ma che, invece, scoprono che l’uomo di casa, Marcello, è stato ucciso, accoltellato.
Vent’anni dopo, Alessandro Genovesi firma 7 donne e un mistero, remake del film di François Ozon (Otto donne e un mistero).
Gli ingredienti del mistero ci sono tutti: la bufera di neve, i fili del telefono recisi, il cancello bloccato da un catenaccio, la macchina che non parte per un sabotaggio al motore, la luce che va e viene, le candele. Tutto girato rigorosamente in interno in una piccola cittadina dagli orribili delitti di una provincia francese un po’ malata, alla Claude Chabrol.
Questo strano e strambo gineceo dovrà capire chi è l’assassina, che è sicuramente tra loro, manca solo il Tenente Colombo che sbuchi ad interrogare serratamente le (poco) intimorite sospettate. Margherita, la padrona di casa (Margherita Buy) è diventata un’estranea per il marito Marcello, ancora invaghito dell’amore di sempre Veronica (Micaela Ramazzotti), amante segreta.
La figlia maggiore di Margherita, Susanna (Diana Del Bufalo), arriva da Milano con una sorpresa e la figlia minore Caterina (Benedetta Porcaroli) contesta sia la sorella che la madre. La zia Agostina (Sabrina Impacciatore) è una zitella da sempre innamorata di Marcello, e Rachele (Ornella Vanoni), la suocera del defunto, in sedia a rotelle, gli ha sempre nascosto quei titoli che lo avrebbero potuto tirare fuori dai guai finanziari. L’unica a sembrare dotata di buon senso è Maria (Luisa Ranieri), la domestica venuta dal Sud e cuoca eccezionale.
Intreccio di caratteri e personalità, con i loro segreti e vizi, di gag, segreti, silenzi e battute che rendono il film piacevole e divertente, fra comico e grottesco.
Una storia al femminile, dove l’unica figura maschile è ridotta al silenzio, anche se tutto ruota intorno a lui. Il messaggio? Intrattenimento e divertimento puri.
7 donne e un mistero, di Alessandro Genovesi, con Margherita Buy, Ornella Vanoni, Sabrina Impacciatore, Luisa Ranieri, Diana Del Bufalo, Micaela Ramazzotti, Benedetta Porcaroli, Italia, 2021, 90 mn.
Foto in evidenza di Loris Zambelli
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
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Francesco Monini
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QUOTIDIANO INDIPENDENTE l'informazione verticale
Un bel film con una divertente e, per me, strepitosa Ornella Vanoni.
COME NEL GENNAIO 2013, ALTRI TRE CURDI ASSASSINATI A PARIGI
Gianni Sartori
Tra pochi giorni cadeva il decimo anniversario dell’uccisione di tre femministe curde a Parigi.
Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez erano state assassinate nel gennaio 2013 in un’operazione in cui appariva scontato intravedere l’operato del MIT (i servizi segreti turchi). Ipotesi poi confermata dai continui rinvii del processo e dalla morte in carcere (alquanto opportuna per evitare ulteriori indagini) dell’attentatore (un turco infiltrato).
Il 23 dicembre 2022, la cosa si è ripetuta e altri tre militanti curdi (ma il bilancio potrebbe aggravarsi) sono caduti sotto i colpi esplosi da un francese già noto per due aggressioni di matrice razzista.
La sparatoria mortale è avvenuta in rue d’Enghien, in un quartiere di forte presenza curda, nei pressi di di un Centro culturale curdo dedicato alla memoria di Ahmet Kaya*.
Il responsabile dell’eccidio sarebbe un ferroviere (secondo un’altra versione un autista di autobus) in pensione di 69 anni, già conosciuto come responsabile di due tentati omicidi risalenti al 2016 (quando aveva accoltellato una persona in casa sua) e al 2021. In questo caso si trattava di un reato con implicazioni razziste avendo assalito un bivacco di migranti (nel 12° arrondissement di Parigi).
L’immediato raduno di cittadini curdi aveva generato una serie di proteste dato che in molti sospettano che anche in questo tragico evento vi sia la longa manus – e lo stile -dei servizi turchi.
La contestazione si è conclusa con scontri, tafferugli e incendi (oltre all’impiego massiccio di lacrimogeni) tra manifestanti e polizia. Per il 24 dicembre è stata indetta una grande manifestazione contro l’ennesima aggressione alla comunità curda.
Da più parti si è insistito nel sottolineare i “problemi psichici” dell’attentatore, parlando di “lupo solitario”. Ma per la comunità curda, chiunque abbia premuto il grilletto, è quasi scontato che anche queste uccisioni rientrino nella “guerra sporca” contro i curdi portata avanti ormai da anni da Ankara.
Gianni Sartori
nota 1: Morto a Parigi nel novembre 2000 a soli 43 anni, Ahmet Kaya è ricordato sia come artista dissidente che in quanto difensore della causa curda. Apostolo della “musica autentica”, nonostante la grande notorietà, volutamente si mantenne estraneo alla Società dello spettacolo, alla mercificazione della musica. Le sue canzoni, i suoi testi ricordano quelli di Victor Jara e di Joan Baez. Come loro si rivolgeva “non solo ai sentimenti, ma anche all’intelligenza delle persone”,