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Ti ci è voluta una settimana di clausura perché ci facessi caso. Poi hai iniziato a renderti conto, e poi hai cominciato proprio a farli, i conti. Come se fosse un gioco, anche perché dovevi pure trovarlo un modo per far passare il tempo.

Di benzina, risparmi circa quaranta euro la settimana. Fa centosessanta euro al mese. La spesa la fai, ma la concentri una volta ogni dieci giorni e compri le cose essenziali – quelle definite non essenziali tanto non si possono acquistare. Anzi, compri cose che nessuno comprava più e che adesso vanno a ruba. Farina, lievito: introvabile, sei fortunato se lo trovi sottobanco da qualche fornaio. Lievito e farina, il nuovo petrolio. E’ bizzarro, ma a pensarci non sembra così irragionevole. Col petrolio non ti fai la pizza a casa, la torta di mele, il pane. All’improvviso Masterchef diventa un programma datato. Tutta questa competizione tra veri o presunti fenomeni dei fornelli ti appare sotto una luce diversa, meno sinistramente affascinante di prima. Hai appena scoperto che anche tu sai farti da mangiare, quindi hai ridotto le distanze.

Confronti i tre scontrini con quelli del mese prima. Per la spesa alimentare, in un mese avrai risparmiato cento euro. Non ti sembrano tantissimi, meno di quelli che pensavi, visto che a casa tua non inviti più nessuno per cena (ovviamente catering a domicilio, per fare bella figura) e che non compri più i preparati pronti o le buste surgelate che ti fanno risparmiare tempo ma ti fanno spendere soldi. Sono prodotti costosi non per la loro qualità, costano perché sono comodi: ci paghi sopra il tempo che risparmi a farti la cena, ma adesso di tempo ne hai da vendere. Quindi cucini tu, con acqua, farina, uova, zucchero, sale… Allora, perché non hai risparmiato di più? Ah, ecco. Per il vino. Un buon vino adesso è un genere di prima necessità, e per una bottiglia decente sei euro almeno al supermercato li devi spendere. Al giorno? Sì, al giorno. E che cazzo. Comunque, già duecentosessanta euro risparmiati.

I bar sono chiusi. La colazione con cappuccio e cornetto era uno dei pochi lussi che ti permettevi. Adesso non puoi, e non puoi nemmeno farti al bar il caffè di metà mattina. Sono tre euro e mezzo risparmiati al giorno, trentatrè euro al mese. Duecentonovantatrè. A pranzo adesso sei a casa. Saresti fuori, di solito. Altri dieci euro a botta, vuol dire circa duecentoventi euro non spesi. Aggiungici un paio di pizze e cinque aperitivi al mese, altri cento euro. Somma trecentoventi a duecentonovantatré, fa seicentotredici euro.  Il giornale non lo prendi più. Dovresti uscire apposta, trovare un’edicola aperta, e poi quello che c’è scritto lo ascolti a tutte le ore in televisione. Altri trenta euro abbondanti che ti tieni in tasca. Seicentoquarantatrè.

In casa consumi qualcosa in più di luce, ma le tariffe nel frattempo sono calate. Inconsciamente, visto che sei in modalità spartano, inizi anche a risparmiare sull’acqua. Non è che non ti lavi, ma consumi meno acqua possibile. Dove non è arrivata Greta, è arrivato il virus. Coi consumi domestici tutto sommato fai una patta, via. E poi risparmi quel libro al mese, quella mostra, quel cinema, quel teatro. Siccome non sei un tipo mondano, facciamo che ti tieni in saccoccia altri cinquanta euro. Dimenticavi la palestra. Adesso fai corpo libero a casa, quindi risparmi altri quaranta euro di tessera.

In totale hai risparmiato settecentotrentatré euro. In un mese, il primo mese. Se continua così, in tre mesi ti sei tenuto in tasca uno stipendio. Roba da anni sessanta, quando con sei mesi di cinghia tirata tuo padre si era potuto permettere il Fiat millecento. Ah. Quest’anno non andrai in vacanza. Altro stipendio risparmiato.

A questo punto ti accorgi di quattro cose. Una dietro l’altra. Fino alla terza, sembra un incantesimo.

La prima cosa di cui ti accorgi è che la quantità di oggetti o servizi che hai sempre considerato primari nella tua vita, non lo sono. Ne stai facendo a meno, e non stai morendo (sempre se non finisci in terapia intensiva. Se finisci lì vuol dire che stai rischiando di morire, anche se probabilmente non morirai, perché sei comunque nel posto migliore per evitare di finire sottoterra). Anzi, stai scoprendo che puoi godere di altri piaceri che ti sei sempre negato, perché la tua vita era piena di cose che dovevano farti risparmiare tempo, ma te lo riempivano al punto da non averne mai abbastanza.

La seconda cosa di cui ti accorgi è che il tuo stipendio non è quella miseria di cui ti lamentavi. Improvvisamente, ti basta e avanza. I soldi che guadagni non ti servono tutti, anzi ne puoi mettere da parte per chiudere i debiti, mandare a quel paese i banchieri che ti vogliono prestare soldi e i consulenti che, per farti guadagnare il tre per cento, mettono a rischio il tuo cento per cento. Il cento per cento ti basta e ti avanza, del tre per cento non te ne fai niente.

La terza cosa della quale ti accorgi è che questa condizione, dopo alcuni giorni di comprensibile smarrimento, ti sembra d’incanto incredibilmente naturale, raggiunta senza alcun particolare sforzo, senza alcuna terribile privazione.  Una condizione preindustriale, ma con le comodità della società industriale a portata di mano, pur con le dovute cautele. Una fortuna.

La quarta cosa di cui ti accorgi è che la tua fortuna è a tempo. La data di scadenza non ti è nota, ma arriverà di sicuro. Questo incantesimo non durerà per sempre, soprattutto perché il tuo stipendio, che fino ad un certo momento ti garantisce questa situazione prodigiosa, non è una variabile indipendente. Anzi, più tempo passa in questa situazione, più le fonti di finanziamento del tuo stipendio si assottigliano. E questo nonostante il tuo stipendio, se sei arrivato fino a qui, sia uno di quelli che risentono per ultimi della paralisi totale di tutte le attività economiche legate ai bisogni dell’uomo. Per ultimi, certo. Perché mentre tu sei lì che continui a risparmiare, nel frattempo un mucchio di gente ha già perso un pezzo del suo, di stipendio, oppure ha perso addirittura il lavoro. E tutta questa gente che perde stipendio e lavoro prima di te, inevitabilmente farà sì che, prima o poi, non ci sia più modo di pagare nemmeno il tuo, che dipende, in maniera diretta o indiretta, ma inesorabile, dal loro. Ti rendi anche conto che più la lista dei bisogni dell’uomo si riduce all’essenziale, più breve sarà il tuo incantesimo. Perché il mondo nel quale vivi è troppo interconnesso, troppo incistato al tuo, da permetterti di vivere consumando in autarchia i prodotti del tuo orto (sì, nel frattempo avrai anche iniziato a coltivare un orto). Perché tra un po’ non troverai nemmeno un posto dove acquistare i semi e le piantine.

Tutte e quattro le cose di cui ti accorgi sono vere. Tutte e quattro potrebbero essere uno spunto per un futuro possibile – il tuo futuro, certo. Che poi, ti piaccia o no, è anche quello degli altri.

La prima cosa, se avrai sufficiente memoria per ricordartene quando tutto sarà rientrato (in qualche modo, tutto questo rientrerà, anche se nulla sarà esattamente come lo hai lasciato), è un invito alla sobrietà. Tu pensavi di essere un tipo con poche pretese, ma non è vero. Puoi essere molto più parco nei confronti delle cose, ti lascerà molto più tempo ed energia per dedicarti alle persone. Mica tutte, quelle importanti. Anche sulle persone infatti dovresti operare una selezione, e questo incantesimo, se ti ci concentri, ti ha già consegnato le persone da tenere e quelle da mollare.

La seconda cosa potrebbe suggerirti che i soldi che guadagni, da un certo punto di vista (che chiameremo zenith), non sono mai abbastanza, mentre da un altro punto di vista (che chiameremo nadir) sono sempre abbastanza (naturalmente entro certi limiti, che però questo periodo potrebbe averti indicato come individuare). Il problema non sono i soldi che guadagnavi, ma come li spendevi.

La terza cosa ti suggerisce che ogni condizione è transitoria, e in continuo movimento. Sia essa una situazione che ti fa stare bene, sia essa una situazione che ti mette a disagio, entrambe passeranno, per lasciare il posto ad una situazione nuova, e poi ancora, e ancora. Se questo è lo stato dell’arte fuori di te, e non lo puoi cambiare, il problema è dentro di te. E’ lì che puoi lavorare.

La quarta cosa ti dice che la ‘decrescita felice‘ è un’espressione bucolica ma puramente pubblicitaria, alla quale non corrisponde la realizzazione di un’utopia, piuttosto assomigliando alla concretizzazione di una distopia; una specie di incubo lovecraftiano, che passa dall’inquietarti dalle pagine di un romanzo a morderti direttamente i polmoni in una corsia d’ospedale, o ti sorprende in fila con la tua gavetta ad un centro della Caritas, dove non avresti mai pensato di mettere piede. Però ti suggerisce anche che non esiste una crescita infinita, e che anche se esistesse non sarebbe un obiettivo degno della tua vita. E, pare, nemmeno della vita del pianeta nel quale vivi.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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