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di Emiliano Trovati

Forse l’utilizzo a uso terapeutico non è l’unico aspetto su cui riflettere quando si parla di marijuana. Proviamo a prenderla da un’altra prospettiva. In questi giorni imperversa in Regione il dibattito in merito alla legalizzazione di questa sostanza come cura per alcune patologie, ma quando si parla di questo tema, in Emilia-Romagna, c’è un secondo aspetto che merita di essere preso in considerazione: quello economico collegato alla coltivazione.

Sicuramente molti ne hanno memoria, ma vale la pena ricordarlo. Almeno fino al 1957 l’Emilia Romagna, e l’Italia intera, è stata uno dei maggiori produttori al mondo di canapa, del tipo cannabis sativa, la famigerata pianta dalla quale si ricava la marijuana. La coltivazione ovviamente non era destinata al commercio di stupefacenti, né come pianta officinale, ma, essendo il prodotto estremamente versatile, era utilizzata nei più disparati settori: dal tessile, al settore nautico. Basta pensare che i canapai bolognesi sono stati, fino a tutto il XVII secolo, i primi fornitori del Regno Unito di vele e cordame, utilizzati sui velieri della Corona. Questo primato, poi, è venuto meno nel tempo, e dopo l’invenzione dei materiali plastici e in pvc, avvenuta nella seconda metà del secolo scorso, la coltivazione è definitivamente morta.

All’apice della sua produzione, raggiunta nel 1914 – secondo quanto documenta lo studio La coltivazione e l’industria domestica della canapa, consultabile dal sito del Museo provinciale della cultura contadina – la sola provincia bolognese era capace di coltivare fino a 145mila quintali di canapa l’anno. Addirittura, nel mondo, l’intera produzione nazionale era seconda solo a quella russa.

Ma veniamo al dibattito odierno. Tornare a coltivare questa pianta oggi, alla luce delle applicazioni mediche in cui potrebbe essere utilizzata, garantirebbe dei guadagni spaventosi. Si parla di miliardi di euro. Unico ostacolo, non piccolo, la paura dell’amministrazione a concedere i permessi per la coltivazione a fini farmacologici, paura dovuta alla facile associazione della marijuana a commerci non del tutto legali e monopolio delle mafie. Al netto delle paure, però, e fuori dal dibattito sulla legalizzazione o meno dell’uso ricreativo, è lecito farsi alcune domande – e anche due rapidi calcoli – giusto per chiarire di cosa si parla. Quanto potrebbe fruttare questo mercato, se legalizzato?

Partiamo dalla situazione attuale. Al giorno d’oggi la coltivazione della canapa è consentita, anche se strettamente controllata, solo per la produzione tessile e per l’edilizia. Secondo quanto riporta l’Assocanapa – Associazione nazionale dei produttori di canapa, che da anni è impegnata nella promozione della coltivazione di questa pianta per la filiera tessile ed edile -, in Italia nel 2013 sono stati destinati alla coltivazione della Canapa solo 400 ettari di terreno, per un produzione totale di 60.000 quintali. Considerando che il prezzo sul mercato della pianta è di 15 euro al quintale, l’intera coltivazione, oggi, produce un giro di affari di 900mila euro l’anno. Nulla in pratica, siamo molto lontani dal potenziale reale del settore se fosse possibile coltivare per le case farmaceutiche.

Facendo due conti, che non hanno valore scientifico, alla luce di quanto detto finora, però, vengono fuori cifre da capogiro. Il calcolo è questo: 29mila quintali per 35 euro al grammo, totale 1.015.000.000 di euro: un miliardo e rotti di euro.

Come ottenere questa cifra? Presto detto. Attualmente in alcune regioni d’Italia, come Puglia e Toscana, che si sono portate avanti con la legalizzazione terapeutica dei cannabinoidi, vengono commercializzati alcuni medicinali che contengono marijuana, come il Sativex e il Bedrocan. Questi medicinali sono prodotti da case farmaceutiche straniere, ad esempio il Bedracon è commercializzato dalla Bedrocan BV, società olandese che produce per la farmacopea marijuana in serra sin dal 1994. Il costo di vendita di quest’ultimo, che non è neanche il più caro, è di 35 euro e qualche centesimo al grammo ed è diffuso in confezioni da 5 grammi cadauno. Prendendo, quindi, questo dato come costo di riferimento e moltiplicandolo con il quantitativo di canapa prodotta a Bologna nel 1914, di 145mila quintali, opportunamente ridotto di quattro/quinti – ipotizzando che di ogni pianta è questa la parte che può essere utilizzata a scopi terapeutici, quella che in strada viene volgarmente chiamata “cima” -, quindi 29mila quintali, viene fuori quella cifra impronunciabile vista sopra.

Alla luce di tutto questo, sempre limitando il campo all’utilizzo farmaceutico, perché non considerare l’opportunità di agganciare al dibattito in essere la concessione della coltivazione a fini farmaceutici?

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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