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Il baretto nel parchetto dietro Grisù offre riparo al mio capo. Il sole oggi si è fatto sentire, anche se ormai siamo in autunno inoltrato. Due signori disquisiscono sulla partita a carte in corso, in un dialetto che fatico a comprendere, per poi voltarsi e vantarsi del fatto che il ferrarese sia molto simile al francese.
Oramai frequento il quartiere Giardino da un po’, ho imparato a riconoscere le facce di chi qui vive, circondato da un alone di mistero e ripugnanza da parte di chi questo posto sa solo dove sia collocato geograficamente. E’ un’altra Ferrara. Inutile soffermarsi sui problemi: dalla microcriminalità allo spaccio, fino alla prostituzione. Per queste cose ci sono giornali che abbondano di titoli. Purtroppo leggendoli ci si rende conto di una cosa: chi scrive spesso non è mai stato qui per più di 10 minuti. Tra piazza della Castellina e via Ortigara ci sono diversi diverticoli stradali che creano piccoli quartieri nel quartiere. Una volta che lo si frequenta ci si rende conto che qui la ghettizzazione riguarda tutti, stranieri e non. Questo è un quartiere di frontiera, una zona cuscinetto tra la Ferrara rinascimentale della corte estense e la stazione, il luogo dal quale si parte, o dove si arriva. Vivere qui non è facile, come non lo è in qualsiasi posto nel quale lo Stato punta sulla forza, e non sull’intelligenza.
Ora qui, oltre alle volanti, gira una camionetta mimetica: è l’esercito, vanto del ministro Minniti e degli adepti della Lega Nord. Da quando pattugliano queste strade non è cambiato poi molto: con questi metodi gli spacciatori semplicemente stanno più attenti, o cambiano quartiere. La domanda c’è, la risposta non mancherà. Sono le leggi di mercato.
Poche, invece, le iniziative di tipo sociale o culturale, per cercare di dare un’altra visione di questo quartiere maledetto: ci ha provato il Teatro Off, è nata una web radio, c’è il consorzio Grisù e altre iniziative, come i cittadini che hanno chiesto dodici bibliotecari invece che i dodici militari. Nemmeno a dirlo, passeggiando di fianco allo stadio di biblioteche nemmeno l’ombra, nel giro di cinque minuti però ho visto passare due volanti della polizia e una dei carabinieri. Dovrei sentirmi più tranquillo? Beh, non lo sono. Ne ho visti di posti dove si volevano risolvere i problemi sociali con la militarizzazione, semplicemente si è nascosto il problema, che è diventato più subdolo, meschino e addirittura più difficile da combattere. Mi sarei sentito più tranquillo nel vedere da queste parti una seria volontà di dare una nuova vita a questo quartiere con dei progetti sociali. Purtroppo anche la poca conoscenza di questi luoghi fa crescere quell’aria malfamata, come dire: a sentirti apostrofato tutti i giorni come il “cattivo” finisci per crederci. E anche questo giova a quelle sentinelle in bici che incontro, che mi chiedono di comprare dell’erba e che sanno di incutere un timore.
Il perché? Presto detto. Basta aprire un giornale e ci si rende conto di come i mass media vedano questo posto: un ‘Bronx’. Qui, stando alla stampa, orde di ‘immigrati’ passano le giornate a darsele di santa ragione, a tentare qualche stupro, spacciare chili di eroina. Anche se, a essere sinceri, i giornalisti dovrebbero erigere una statua a questo quartiere: basta scrivere Gad nel titolo e le letture raddoppiano (testato personalmente).
Parlare di qualcosa di così complesso come la realtà del Gad però comporterebbe averci passato almeno un mese all’interno, anche perché tra via Arianuova e via Darsena ci passano un po’ di metri e soprattutto cambiano del tutto le problematiche, gli stili di vita, addirittura le etnie predominanti. Ma credo siano pochi quelli che lo hanno fatto, forse nessuno. Questo è un problema culturale italiano: il lettore medio vuole i titoli a effetto, vuole leggere esattamente quello che i giornali scrivono. Ci vogliono notizie da gossip, non di certo approfondimenti, per potersi poi lanciare, magari sui social, in invettive di ogni tipo. Ma appunto, questo è un altro discorso. Io posso dire che frequento il Gad da almeno sei mesi e ancora non me la sento di giudicarlo, condannarlo e nemmeno di poter fare delle analisi, positive o negative che siano. Posso solo dire quello che ho visto: dalle nottate in mezzo a chi spaccia, alle giornate al bar dei cinesi, alle domeniche a vedere gli ‘spallini’ andare allo stadio. Un quartiere che ha dei problemi evidenti che non si vogliono risolvere, ma nascondere. Affrontarli probabilmente sarebbe troppo duro perché si dovrebbero fare i conti con anni di politiche fallimentari sul fronte dell’integrazione, avendo puntato sulla multiculturalità, invece che sulla multi-etnicità, creando questi quartieri ghetto, immense zone dove il ‘degrado’ sembra l’unica via percorribile. Io continuo a starci, non voglio arrendermi alle apparenze, darla vinta a chi condanna senza conoscere, ascoltando anche chi qui ci vive e si sente esasperato. Sì perché a leggere sempre che qui c’è solo marcio, inizi a vederlo davvero, e dappertutto. L’unica cosa certa è che questa non sembra Ferrara e certe volte, guardando la camionetta fermare gruppetti di ragazzi subsahariani, mi sembra di stare in uno di quei paesi in guerra dell’Africa, dove i nostri militari svolgono lo stesso servizio d’ordine per le strade. Ma poi mi volto e mi ricordo che questa è Ferrara, qui non ci sono i signori della guerra, qui potremmo affrontare le cose diversamente, qui una speranza potremmo averla, e darla. Ma non sono ottimista: è più facile scrivere e far paginoni su un episodio di cronaca, che su 100 piccole iniziative quotidiane buone. E’ più facile condannare, escludere, arrestare, esiliare, invece che impegnarsi, costruire progetti duraturi.
Perché del Gad si è sempre scritto tutto, tranne che del quotidiano, della giornata – la gran parte – senza zuffe tra bande, senza rapine. La quotidianità dei bar con la gente che chiacchiera e sorride, dei ragazzi che al terzo giro di gip dell’esercito divertiti dicono “alla prossima prendiamo il tempo”, delle famiglie al parco. Il quotidiano fatto di mille sfaccettature. Qui non comanda ancora la violenza, qui può ancora vincere la legalità e soprattutto la cultura. Ed è proprio per questo che non sono ottimista: la gente non vuol sentire di cose ‘normali’, in una zona che di normale ha davvero poco. E pian piano forse anche io mi convincerò di esser diventato il frequentatore di un quartiere malfamato.
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica dell’oggetto giornale [1], un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare il basso e l’altocontaminare di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono” dentro e fuori di noi”, denunciare il vecchio che resiste e raccontare i germogli di nuovo, prendere parte per l’eguaglianza e contro la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo..
Con il quotidiano di ieri, così si dice, ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Tutto Periscopio è free, ogni nostro contenuto può essere scaricato liberamente. E non troverete, come è uso in quasi tutti i quotidiani, solo le prime tre righe dell’articolo in chiaro e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica, ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni” . Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e ci piacerebbe cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori) a tutti quelli che coltivano la curiosità, e non ai circoli degli specialisti, agli addetti ai lavori, agli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
Periscopio è di proprietà di una S.r.l. con un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratico del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.
Nato quasi otto anni fa con il nome ferraraitalia [2], Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Conta oggi 300.000 lettori in ogni parte d’Italia e vuole crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma anche e soprattutto da chi lo legge e lo condivide con altri che ancora non lo conoscono. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante. Buona navigazione a tutti.
Francesco Monini
[1] La storia del giornale è piuttosto lunga. Il primo quotidiano della storia uscì a Lipsia, grande centro culturale e commerciale della Germania, nel 1660, con il titolo Leipziger Zeitung e il sottotitolo: Notizie fresche degli affari, della guerra e del mondo. Da allora ha cambiato molte facce, ha aggiunto pagine, foto, colori, infine è asceso al cielo del web. In quasi 363 anni di storia non sono mancate novità ed esperimenti, ma senza esagerare, perché “un quotidiano si occupa di notizie, non può confondersi con la letteratura”.
[2] Non ci dimentichiamo di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno il giornale si confeziona. Così Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto.
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
L'INFORMAZIONE VERTICALE