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Nelle Sacre scritture si racconta che al centro del Paradiso terrestre ci fossero due alberi, quello della vita e quello della conoscenza. Sappiamo com’è andata a finire la storia, Eva non seppe resistere alle lusinghe del serpente e decise di addentare il frutto proibito, peccando così di presunzione e condannando l’umanità ad una vita libera, ma decisamente dolorosa. L’iconografia ci mostra questo frutto come una mela, un frutto ben noto nell’antichità e che troviamo protagonista di altri miti e leggende. Il furto delle mele d’oro del giardino delle Esperidi, era l’obiettivo di una delle imprese di Ercole che riuscì nell’intento con una serie di astuzie e, sempre con una mela, Paride, giovane e aitante, doveva fare un dono alla dea più bella. Gli dei dell’Olimpo sapevano benissimo che una scelta del genere avrebbe scatenato un disastro e convinsero Paride, umano e imprudente, a procedere al posto loro. Il giovane scelse Afrodite, le altre bellissime non la presero bene e Troia finì in cenere. Frutto protagonista di storie antichissime, anche in tempi più recenti non ci mancano le mele famose e da Biancaneve alla Apple, l’elenco è lungo.
Se diamo una sbirciata in un qualsiasi motore di ricerca e cominciamo a cercare immagini di opere d’arte che rappresentino questo albero, escludendo quelle con Eva e il serpente, ne troviamo moltissime, molto spesso opere di impressionisti o comunque di pittori di paesaggi ‘en plein air’ che nella armonia di questa pianta avevano un soggetto perfetto per rappresentare la bellezza piena di ogni stagione.
Proprio cercando immagini di alberi nelle arti figurative, ho trovato questa scena ambientata in un giardino. Non conoscevo questo pittore americano, Robert Julian Onderdonk, nato in Texas nel 1882. Onderdonk visse una breve vita e produsse una serie di paesaggi della sua terra, che lo resero famoso come il primo vero pittore texano, ma non è molto conosciuto dalle nostre parti.
Questo paesaggio così domestico e famigliare mi ha colpito, non tanto per la fattura dell’opera, quanto per i ricordi che mi ha riportato alla mente. In queste ragazzine intente a giocare sotto un albero, ho visto mia mamma e mia zia da bambine. Ovviamente non posso averle viste, ma da sempre mi hanno raccontato degli alberi che mio nonno piantava in campagna, non solo quelli del frutteto, ma quelli che lasciava crescere in tutta la loro bellezza negli spazi vicino al fienile. Quando ero piccola, la casa e il giardino erano stati modificati, ma il frutteto lo coltivava ancora mio nonno con i suoi sistemi, e ricordo benissimo la sensazione di imponenza che mi trasmettevano. Ancora non si usava piantarli in file serrate, potati all’estremo per avere la maggior produzione possibile, quindi su questi alberi c’erano spazio per arrampicarsi, appigli e gradini naturali per salire, anche per una fifona come me. Non c’erano serpenti tentatori o personaggi mitologici ad affrontare imprese, ma c’erano le storie che inventavo io e che disegnavo con i pitturini quando tornavo a casa, in città. Insomma mio nonno non aveva fatto studi di pedagogia, ma ha fornito alla sua famiglia dei fantastici giocattoli, dimostrando in anticipo quanto fosse vera quella frase, di cui non ricordo la paternità, che ogni bambino dovrebbe avere un albero per giocare.
Un albero è per tutti, regala la sua bellezza senza limitazioni o impedimenti, basta guardarlo, annusarlo, toccarlo, per provare sensazioni antiche di armonia con il mondo, e quando un albero è accogliente come un melo, non è nemmeno necessario avere l’agilità di una scimmia per tentare la scalata. Un bell’albero è il migliore ‘arredo verde’; ne basta uno, in mezzo ad un prato per avere già fatto un giardino. Ed è così primitivo ed essenziale, da non avere bisogno di altro arredo per diventare semplicemente, paradisiaco.

Robert Julian Onderdonk (1882-1922), ‘Il vecchio albero di mele’ (Old Apple Tree)

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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