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“Ciò a cui opponi resistenza persiste. Ciò che accetti può essere cambiato”.

Carl Gustav Jung

Ogni sito, ogni giornale, ogni social network riporta la notizia della scomparsa di Gianluca Vialli. Non c’è solo la nuda cronaca, ma anche, spesso, la citazione di alcune sue frasi sul “senso della vita” percepito dopo la malattia. Quasi sempre, chi le riporta tende a rappresentarle come una “lezione”, togliendo loro ogni senso, tranne quello retorico – dove la retorica appartiene a chi riporta la frase, non a chi l’ha pronunciata. Perchè quando si parla di “lezione” si sottolinea la distanza tra il malato e il sano: il malato dà lezioni di vita al sano, come se l’eroismo della “partita più difficile” trasformasse la persona malata in un maestro di vita, e i sani, tutti persi dietro alle loro fatuità, in discenti che devono abbeverarsi al verbo di chi ha finalmente capito – grazie al cancro – quali sono i valori che contano.

Credo che Vialli non avesse nessuna intenzione di assurgere a maestro di vita. Intuisco una verità più sottile nelle sue frasi. Quando affermava che con i figli, più che le parole, conta l’esempio, diceva una cosa semplice, ma non banale. Conosciamo tante persone – noi stessi, in primo luogo – che predicano valori e comportamenti che raramente praticano. Meglio parlare poco ed essere onesti, anche nelle proprie fragilità.

L’altra affermazione interessante (la più utile, per quanto mi riguarda) riguarda il suo atteggiamento nei confronti della malattia. Vialli diceva che non stava combattendo, perchè se avesse condotto una battaglia ne sarebbe uscito distrutto. Aveva un ospite indesiderato – chi non ce l’ha? anche se il suo era particolarmente stronzo – poteva solo augurarsi che un giorno si sarebbe stancato e lo avrebbe lasciato in pace.

Resistere, combattere: espressioni prese dal linguaggio bellico, così abusate nel gergo sportivo (Vialli è spesso stato descritto come un guerriero) e in quello politico-sociale, che nel mondo emotivo hanno tutt’altra valenza. Resistere non serve a niente, accettare può cambiare il gioco. Magari non l’esito finale della partita, ma lo svolgimento. Invece di un calvario, può diventare un viaggio emozionante.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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