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17 Febbraio 2014

Putin e il body language

Tempo di lettura: 6 minuti


body-language

Da MOSCA – Lo abbiamo visto tutti all’apertura delle Olimpiadi di Sochi: cappotto grigio-nero lineare, posizione eretta e compita, espressione neutra, occhi glaciali da volpe siberiana. Cenno di commozione al momento dell’inno e della bandiera russa fatta ondeggiare da abili corpi che danzavano al ritmo della musica, ma poi, per tutta la durata dell’inno, è rimasto immobile.

Parliamo ovviamente di Vladimir Vladimirovich Putin, il capo del Cremlino, l’uomo più potente del mondo, secondo Forbes 2013. Criticato, definito aspirante zar, Batman-Putin, divo politico, riformatore nazional-popolare, presidente-dittatore e tanto altro, negli ultimi anni ci siamo divertiti da profani ad analizzarlo un po’, sempre sostenuti del resto dai commenti degli esperti. O meglio, abbiamo voluto provare a leggere con loro, il suo body language, quello che alcuni giornali hanno definito il corpo del capo.

Come comunica il Presidente della Federazione Russa? Cosa lo contraddistingue? Come parla il suo corpo e come lo usa per trasmettere un messaggio? Quale codice usa?

Vi consigliamo alcune letture interessanti su quello che viene simpaticamente definito dalla stampa “il codice Putin”, ovvero riti, prassi, consuetudini all’interno del linguaggio “cremlinese”. Nel palazzo del potere ci si rivolge l’un l’altro utilizzando il nome e il patronimico, anche se ci si dà del tu. Allora V.V. sarà Vladimir Vladimirovič Putin, D.A. Dmitri Anatolyevich Medvedev. Il nome sarà utilizzato solo nei rapporti di particolare vicinanza e confidenza, segno di riconoscimento come individuo. Una frase del presidente del tipo “l’ho sentita” significherà che non si rimarrà inascoltati e che magari la propria proposta verrà pure tenuta in considerazione. Non bisogna mai rimanere in silenzio o fare pause eccessivamente lunghe, perché Putin, dai suoi collaboratori, si aspetta precisione e capacità di essere all’altezza di una conversazione. Mai interrompere, perché lui mai interrompe. Precisione, comunque, sempre.

Ma soprattutto vi suggeriamo di leggere i molti articoli e di vedere i numerosi video che circolano su youtube, sulle analisi del linguaggio gestuale di Putin.

Putin e la prossemica, dunque. La Treccani la definisce come “parte della semiologia che studia il significato assunto, nel comportamento sociale dell’uomo, dalla distanza che l’individuo frappone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti, e quindi, più in generale, il valore attribuito da gruppi sociali, diversi culturalmente o storicamente, al modo di porsi nello spazio e al modo di organizzarlo”.

Putin è davvero interessante per sguardi, gesti, posizioni del corpo, distanza o vicinanza dal suo interlocutore. D’altra parte, è stato allievo di Allan Pease, guru del linguaggio del corpo e autore del best seller “Mr Body Language”, che lo aveva definito come uno “studente molto intelligente e capace”, quando lo aveva incontrato, per la prima volta, nel 1991 al Cremlino, invitato a tenere un seminario per alcuni promettenti uomini politici, tra i quali appunto Putin, all’epoca trentanovenne ex ufficiale del Kgb, responsabile per la promozione degli investimenti esteri e le relazioni internazionali di San Pietroburgo. Allora, di fronte ad atteggiamenti rudi e duri, Pease aveva insegnato ai suoi studenti a essere più amichevoli in televisione e ad evitare gesti aggressivi e plateali alla Chruščëv. Analizzare Putin, nei suoi anni di potere, per conoscerne pensieri ed emozioni, è stato di grande interesse per osservatori politici del Cremlino, analisti e giornalisti.

Putin viene ammirato, e a volte anche criticato, per il suo viso impassibile, i pochi movimenti delle mani, un corpo spesso distante, uno sguardo fermo e fisso. Dicevamo da volpe siberiana.

Nei meeting faccia a faccia, tuttavia, egli trasmette i propri messaggi attraverso il linguaggio del corpo. Quando entra nella stanza, si dice, tutti smettono di parlare. Incute rispetto e forse anche un po’ di timore. Quest’ultimo aspetto è magari legato anche al fatto che tutti sanno che ha fatto parte del Kgb, dove sicuramente non mancano preparazione, istruzione e talenti particolari.

Nel gesto che il leader russo spesso usa, quello delle mani “a guglia”, i palmi delle mani sono sollevati e aperti per ispirare fiducia, in una dimensione di calma e sicurezza. Nelle conversazioni dirette con i grandi leader mondiali, spesso inclina leggermente la testa da un lato e fa un cenno a chi sta parlando; se i cenni, poi, sono tre consecutivi, significa che vi è interesse a continuare ad ascoltare l’interlocutore.

Interessanti, ancora, le analisi del Geopolitical Center (Centro di analisi strategica, militare, politica ed economica indipendente basato in Italia), del linguaggio dei corpi di Putin e Obama, durante il G8 in Irlanda del Giugno 2013. Separati dalla questione Siria, i due leader sono apparsi imbarazzati davanti alla stampa, una sensazione di grande distanza traspariva dagli sguardi che non si cercavano, non si trovavano, non si incrociavano. Entrambi senza cravatta, Putin si siede e non guarda Obama, incrocia le mani, muove nervosamente i piedi. Obama si mordicchia le labbra. In un momento quasi concitato, Putin risponde ai giornalisti gesticolando improvvisamente, un momento di nervosismo quasi aggressivo che non riesce a tener più conto di alcun insegnamento di Pease. Obama inizialmente quasi non ascolta il leader russo, sfoglia opuscoli vicino alla sua sedia, mentre l’altro risponde ai giornalisti. Comincia poi ad annuire in modo quasi automatico, prende la parola successivamente, mentre il collega russo continua ad eseguire movimenti involontari ripetitivi. I corpi parlano di disaccordo, di una fiducia reciproca in bilico e minata.

Diversi sono, invece, analisi e atteggiamenti dell’incontro dei due leader al G20 di settembre 2013 e della loro lunga stretta di mano. Ci si è sbizzarriti nell’analizzare ogni movimento e gesto. Vediamo l’esercizio, quasi clinico, che a noi pare curioso, ma che pare diffuso nei media americani. Obama prima della stretta di mano si abbottona la giacca. In molte circostanze il gesto non è ben visto, perché segnale di distanza deliberata e arroganza. La giacca sbottonata significa apertura, un invito a toni amichevoli. Poco prima del contatto iniziale, la mano di Obama è leggermente rivolta verso il suolo, quella di Putin leggermente girata, sì da trovarsi in posizione dominante quando le mani dei due leader si incontreranno. Poco dopo il contatto, mantiene il braccio in posizione dominante. Inizialmente i due leader non si guardano negli occhi, Obama non sorride e rivolge lo sguardo altrove. Poi gli occhi si incrociano e il sorriso arriva. Putin abbassa leggermente il capo, le strette di mano sono molte, forse 18, ma questo è per i fotografi. Nella stretta, la mano di Putin è sempre di circa 25 gradi superiore a quella di Obama, il tentativo di dominare viene visto sempre più insistente. Sorrisi più abbozzati e una veloce pacca sulla spalla del presidente russo da parte dell’americano. Il gesto non piace, viene, in genere, interpretato come ipocrita e arrogante. Piccole espressioni di disgusto e uno che segue l’altro. Migliorati, dicono, rispetto al precedente G8.

Alcuni osservatori esperti hanno concluso che Obama ha una maggiore sicurezza personale e leadership nel suo linguaggio del corpo: alto, falcata lunga ed elegante, sorriso genuino e meno impostato, tentativo di ridurre lo spazio fisico, camminata davanti che talora impedisce lo sguardo alla telecamera da parte dell’altro.

Putin presenterebbe, invece, un sorriso più “socialmente” forzato e di convenienza, con il braccio sempre vicino al corpo. Una chiusura evidente e un controllo del proprio spazio vitale.

Ho parlato spesso con alcune colleghe russe dell’importanza della distanza corporale, che qui è un must, diversa da quella che vi riconosciamo noi italiani. D’altra parte, anche gli animali hanno la loro distanza di sicurezza che gli consente di difendersi da un attacco o di iniziare una fuga; negli uomini la distanza di sicurezza è di circa 60 cm, ovvero la distanza del braccio teso, e accorciarla può diventare pericoloso. La dimensione di questa “bolla” è un dato di natura, ma dimensione e valore di intimità sono fatti di cultura e come tali variano. L’infrazione alle regole “prossemiche”, cioè alla grammatica che regola la distanza interpersonale, può essere vissuta come aggressione. La distanza fra i corpi limita dunque questo rischio e Putin lo sa bene, lui e il suo braccio teso.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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