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In pochi sanno chi è Amadeo Peter Giannini. Non troverete una strada a lui intitolata. Se fosse stato un inventore, un ingegnere, un trasvolatore, un fisico, la trovereste. Ma Giannini è stato un banchiere, e non è un caso che sia un personaggio dimenticato. Perdonatemi il paragone, ma è dimenticato per la stessa ragione per cui persino Papa Francesco, nella sua preghiera solitaria a reti unificate, ha ricordato tutti i lavoratori che garantiscono servizi vitali o essenziali, tranne i bancari. Chi eroga o gestisce denaro, sia esso un banchiere o un umile addetto di sportello, è oggi accomunato dalla stessa aura sinistra: usuraio, trafficone, infingardo, un Sindona, un Zonin o un finto amico che ti dice di mettere i soldi della tua liquidazione o pensione in azioni e obbligazioni della tua banca locale, e dopo alcuni mesi o anni i tuoi soldi non ci sono più. Spariti.
Un furfante. Uno così non può essere nell’elenco dei lavoratori eroi. Non può essere infilato in mezzo agli infermieri, ai medici, ai cassieri del supermercato, ai camionisti che portano le derrate alimentari. Infatti non esiste, e non ha nemmeno il diritto di lamentarsi per l’assenza di un sapone o di una mascherina: anche se, senza banca, la gente non incasserebbe la pensione, lo stipendio, o la cassa integrazione.

Ma torniamo al nostro uomo. Amadeo Peter Giannini, ligure, emigra a San Francisco, dove all’inizio del secolo scorso apre una banca per gli emigranti italiani. Non fa a tempo ad aprirla che, nel 1906, un terremoto distrugge la città. Per tutta risposta, Giannini mette un banchetto tipo frutta e verdura in piazza, ci mette sopra il cartello “Bank of Italy” e, circondato dalle macerie, inizia a prestare soldi ad artigiani e commercianti italiani, messi in ginocchio dal sisma. Persone alle quali nessun altra banca, in quel momento, avrebbe dato un centesimo.
La banca si espande, Giannini diventa un outsider conosciuto anche fuori dagli ambienti finanziari. Con il denaro della sua banca viene finanziata la costruzione del Golden Gate. Conosce Charlie Chaplin, al quale presta il denaro necessario a girare Il monello. Finanzia il primo lungometraggio di Walt Disney, e parte dei film di Frank Capra. La sua banca diventa la Bank of America, tuttora uno degli istituti più grandi del pianeta.

La parabola ascendente di Amadeo Peter Giannini si basa su un rapporto tra lui e i suoi clienti che non è economico, ma emotivo: la fiducia. Io ti do fiducia quando nessun altro te la concede, tu ripaga questa fiducia con la stessa intensità. E’ per questo che persone che non possono dare nessuna garanzia, tranne quella del loro lavoro, restituiscono a Giannini il denaro avuto fino all’ultimo centesimo.
Attualmente il rapporto tra banca è cliente si basa sulla diffidenza. Io banca ti chiedo un pegno di quindicimila euro per prestartene ventimila. Tu cliente mi presenti un bilancio falso e mi chiedi soldi che quel bilancio non giustifica, ma c’è il ‘nero’ e sulla base di quello mi devi finanziare. In questo pactum sceleris, alla prima difficoltà, il primo impegno da lasciare indietro sono le rate della banca.

Tutto questo è accaduto nell’era A. C. (Avanti Covid). Nel D. C. (Dopo Covid) ci sarà bisogno di altri banchieri: come Amadeo Giannini. Nell’era Dopo Covid, il banchiere non potrà più lavarsi la coscienza donando respiratori agli ospedali (operazione comunque utile e meritoria), perché il suo business sarà irrimediabilmente cambiato. Improvvisamente, e in maniera del tutto inaspettata, il tanto vituperato (perché ormai poco redditizio) credito tornerà ad essere centrale nell’attività bancaria, ma sarà un credito spesso privo di garanzie economiche. La base del rapporto dovrà essere non economica, ma emotiva. La fiducia. La fiducia dovrà tornare ad essere l’ingrediente di base su quel banco di frutta aperto in una piazza circondata da botteghe chiuse. E la banca dovrà tornare ad essere una infrastruttura, esattamente come una ferrovia, una strada, un ponte. I grandi azionisti dovranno decidere se continuare ad aggrapparsi ai dividendi, e diventare i più ricchi del cimitero; oppure operare una rivoluzione copernicana e diventare uno dei motori della ricostruzione.

In copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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