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Presto di mattina /
Il coraggio di osare

Presto di mattina. Il coraggio di osare

Edificare umanamente l’uomo

Se dovessi scegliere una poesia da mettere in esérgo al manifesto del Convegno che dovrà svolgersi a novembre per porre in dialogo la chiesa di Ferrara-Comacchio e la città sulle disuguaglianze, le povertà nascoste che incontriamo e ci abitano nel quotidiano, sceglierei quella di Giuseppe Ungaretti capace di declinare al meglio il rapporto tra vangelo e condizione umana entrambi convergenti nei luoghi del patire. Il testo è un’icona cristologica non scontata, provocante anzi, che tiene insieme “La somma del dolore che va spargendo sulla terra l’uomo” e “l’amore non vano”.

Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell’amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri
(Vita d’uomo, 229)

Di fronte a questa immagine testuale dell’Ecce homo non ci si può abbandonare al sentimento. Il testo, a detta dello stesso autore, va contestualizzato con altre poesie: Agonia, Pellegrinaggio, Porto sepolto che non sono state scritte per intenerire, suscitare commozione, ma per invitare ad affrontare le situazioni di dolore, a comprometterci in contesti di emarginazione, di ingiustizia ed a spingerci a lottare con autentico “sdegno e coraggio”.

Ungaretti ci trasmette così la nuda umanità dell’“uomo di pena”, nel quale pure lui si specchia. Se infatti «l’uomo di pena è l’uomo cupamente in meditazione sulla giustizia e la pietà» – ed egli sa di esserlo – e testimonia di sé: «Non sono il poeta dell’abbandono alle delizie del sentimento, sono uno abituato a lottare… sdegno e coraggio di vivere sono stati la traccia della mia vita. Volontà di vivere nonostante tutto, stringendo i pugni, nonostante il tempo, nonostante la morte… Da qualsiasi parte la mia ispirazione si volgesse, ella mi era sempre a lato; non ha mai dubitato di me; ha sofferto con me e per me. È stata il mio coraggio» (ivi, 530; 518; 527).

Il coraggio di osare

Così metterei come titolo al Convegno, semplicemente: Il coraggio di osare. L’espressione l’ho trovata scavando nella storia passata della Chiesa italiana e in particolare quella del decennio successivo al concilio, che determinò un cambio di passo nella costruzione e nello sviluppo delle chiese locali e di quella di Roma, intesa come soggetto ecclesiale e non più come “appendice” vaticana.

Si segnava il passaggio dall’idea di Roma come “città sacra” all’immagine di una chiesa, in una città segnata da gravi disuguaglianze, vocata ad essere “esperta in umanità”. Il riferimento specifico al titolo sono state le parole del sociologo e fondatore del CENSIS Giuseppe De Rita in un’intervista: Quando la chiesa italiana ebbe il coraggio di osare in La Civiltà Cattolica, 4086, 2020, pp. 513-523).

Credo profondamente che la ricerca e lo studio di ciò che ci ha preceduto, del passato, sia un atto di giustizia verso la memoria di coloro che prima di noi hanno lavorato e faticato per il vangelo e la promozione umana. Ma costituisce pure il vantaggio per i nuovi arrivati di oggi di godere di un “deposito” di fede, affinché non manchi un retroterra di riferimento spirituale e pastorale a cui attingere, su cui sostenersi e costruire per non dover ricominciare sempre dall’inizio, ma poter disporre di esperienze e testimoni della fede e della carità che hanno preceduto ed osare così un cammino in avanti, in quel futuro presente affidato alla nostra responsabilità riconoscente e creativa.

Ho così, come quando si riapre un libro sullo scaffale, ridestato incontri, antichi e sempre nuovi con figure ed eventi attraverso una specie di esercizio sinodale delle memorie riaperte nel presente. Una “sinodalità diacronica” dunque che si lascia interpellare ancora e ci interpella proprio nell’oggi.

Se si va così indietro entrando con lo sguardo nel passato è anche per avanzare e poi inoltrarsi nell’oltre che ci chiama in avanti. Era questo il metodo del vescovo Filippo Franceschi, – in lumine fidei il suo motto – appena giunto in diocesi nel luglio del 1976 e relatore poi al I° Convegno Nazionale della Chiesa Italiana: Evangelizzazione e promozione umana tenutosi a Roma dal 30 ottobre al 4 novembre dello stesso anno.

Fu il vescovo Filippo che traghettò la nostra chiesa nella recezione degli orientamenti e documenti del Concilio Vaticano II. Egli principiò tra noi il rinnovamento conciliare come “nuova coscienza” di Chiesa sin dalla la sua prima lettera pastorale: Amiamo questa Chiesa. E amava citare s. Ambrogio e s. Bernardo per mostrare la dinamica interna di questo amore: «custodire le cose acquisite» e «cercarne sempre di nuove; la Chiesa, deve essere ante et retro oculata poiché la sua tradizione non è solo memoria; è anche cammino in avanti».

La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e giustizia

Ma a dare l’input, ad accendere la miccia, a fare da propulsore proprio al primo come pure ai successivi Convegni decennali della Chiesa italiana fu il Convegno sui “mali di Roma”, come venne chiamato in seguito. Voluto dal coraggio di osare della chiesa locale di Roma nel suo passaggio dalla “romanità” alla “diocesanità” e grazie all’impegno di un gruppo di credenti, laici e sacerdoti.

Quel convegno fu sollecitato fortemente, gridato da 13 preti delle periferie con una lettera inviata ai Cristiani di Roma, al Sindaco e a Paolo VI. Tra essi vie era il nostro missionario p. Silvio Turazzi che fu tra i baraccati dell’Acquedotto Felice e a Nuova Ostia dal 1971 al 1975, e all’evento si iscrissero 5000 persone.

Ci volle poi tutto il coraggio e la determinazione del cardinal vicario Ugo Poletti, così ricorda De Rita, che cambiò la squadra organizzativa capovolgendo la prospettiva iniziale che voleva solo un coinvolgimento degli assistenti sociali, un aggiustamento delle procedure e degli interventi della carità del papa in Roma. (Il Convegno era visto con preoccupazione e diffidenza da certi ambienti della curia romana e in modo particolare era osteggiato dai dirigenti della Democrazia cristiana).

Fu pure coraggio dei suoi collaboratori, il vescovo ausiliare Giulio Salimei, Luciano Tavazza giornalista ed espressione, a tutto tondo, del volontariato in Italia, Giuseppe de Rita, don Clemente Riva e don Luigi di Liegro, che era responsabile della pastorale diocesana e si dedicò alla creazione della mensa di Colle Oppio, al centro Aids di Villa Glori e poi all’ostello della Stazione Termini; fonderà la Caritas diocesana di Roma nel 1979.

L’intenzione fu quella di interloquire con la propria città, a cominciare dal prendersi cura del mondo delle periferie e delle povertà vecchie e nuove motivati pure dall’impulso suscitato dall’enciclica di Paolo VI, Populorum progressio. La questione sociale è una questione morale (26 3 1967).

Il convegno si celebrò dopo un lavoro preparatorio nelle comunità, parrocchie e movimenti e comitati di base delle periferie, presso la basilica di San Giovanni in Laterano dal 12 al 15 Febbraio 1974 ed aveva per titolo: Le responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma.

«(Dis)uguaglianze»

A cinquant’anni da quel convegno la chiesa di Roma ha voluto celebrarlo proponendo un cammino sulle «(Dis)uguaglianze», cammino fatto in diverse tappe, con diversi avvenimenti iniziati a febbraio e conclusisi il 25 ottobre 2024 con la presenza di papa Francesco, sempre in Laterano. Per tutto questo cammino è risuonata la domanda di allora del card. Poletti: «Cosa ha da dire la Chiesa a questa società?».

Anche oggi la domanda si ripropone: “Come il vangelo può ridare coesione ad una città per un comune impegno di solidarietà a fronte del permanere di perduranti disuguaglianze?”.

Già in quel primo convegno era visibile lo stile della collegialità e poi sempre più recepito nei convegni successivi. Fu una spinta all’esercizio della sinodalità per il bene comune attraverso un agire sociale ed ecclesiale che metteva al centro le persone e la loro dignità. Da questo nostro convegno sulle povertà potrebbe riprendere un dialogo con la cittadinanza e le sue molteplici componenti per conoscere le risorse messe in campo, disponibili e le criticità ancora nascoste, per essere come lo fu il convegno del 1974, “un’offerta di speranza per la città e i suoi poveri”.

Per individuare le «(Dis)uguaglianze» l’assemblea romana del 2024 aveva indicato quattro forme di povertà emergenti dal tessuto cittadino: “La povertà educativa, che priva molti bambini di origini migranti di un accesso stabile all’istruzione; la povertà lavorativa, con impieghi scarsamente retribuiti o carenti; la povertà abitativa, per cui migliaia di famiglie restano senza alloggio popolare; e la povertà sanitaria, che nega a molti cittadini l’accesso alle cure”.

 Una lettera ai cristiani della città?

Si potrebbe pensare pure ad una lettera ai cristiani della città ricordando quella scritta dai 13 sacerdoti dei “Borghetti” della periferia romana: Lettera ai cristiani di Roma, (Ora sesta edizioni, Roma 1974), dedicata a tutti i bambini morti nelle baracche romane.

La nostra potrebbe essere una lettera pensata insieme, stile don Milani, che colga il vissuto delle comunità nel loro incontro con i poveri, coinvolgendo gli uffici pastorali, i centri di ascolto Caritas, i consigli diocesani. Nel libro è pure riportato il dibattito che ha preceduto la sua stesura. Ci sono anche gli interventi di p. Silvio Turazzi che di quegli eventi ha lasciato un memoriale riportato nel Quaderno del Cedoc Sfr 55, Missionis gaudium.

Così un suo intervento: «Bisognerebbe darci una documentazione esatta del problema. Mazzetti ne ha la competenza. Io ricordo che la lettera dei salesiani fu un’accusa che poi si fermò lì. Se vogliamo impostare un discorso che poi crei dei fatti, dobbiamo avere pazienza. Sarà un discorso di lotta che potrà arrivare ad una reale conversione. Qui siamo un gruppo e si potrebbe essere di più. Bisognerebbe creare veramente la crisi, altrimenti su questa lettera alcuni ci danno un bel giudizio, altri no. Io propongo di creare degli interrogativi a cui gli altri risponderanno ciascuno secondo la propria competenza. Allora salterà fuori un giudizio molto più completo» (ivi, 20).

Un tavolo delle povertà

Ci potrà essere di grande aiuto l’Annuario socio-economico ferrarese 2024, realizzato dal CDS cultura OdV (Centro Ricerche Documentazione e Studi Economico Sociali), che ha osservato la nostra città a partire dal Goal 1 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, definendo 17 obiettivi per un futuro sostenibile da raggiungere entro il 2030. Il primo obiettivo è quello “indubbiamente sfidante, di “porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo”.

L’annuario riporta un resoconto di Roberto Cassoli su Povertà a Ferrara e in Italia circa le seguenti aree: i lavoratori vulnerabili; distanza tra nord e sud; il reddito di cittadinanza e assegno di inclusione; la crescita dei senza dimora; la piaga dello spopolamento; povertà e infanzia.

Si evidenzia poi che dal 2019, il Comune di Ferrara non ha effettuato “L’indagine statistica triennale sulle famiglie residenti nel comune (su un campione di 1.000 famiglie)”, con cui si analizzavano “le condizioni abitative ed economiche, gli stili di vita e di consumo dei residenti e la valutazione dell’incidenza di povertà”. Inoltre, nota ancora Cassoli, “il ‘Tavolo Povertà’ istituito nel 2018 non è stato ancora convocato”. Nel report infine, di seguito, sono indicate le attività e i dati delle Associazioni di volontariato, dell’Emporio Solidale Provincia di Ferrara Il Mantello e della Caritas diocesana e dei Centri di ascolto (Cf. ivi, 41-71).

Povertà di ieri e di oggi

La storia avvincente, quella del Convegno sui “mali di Roma”, può essere approfondita attraverso alcuni riferimenti bibliografici: Augusto d’Angelo, “Il convegno del febbraio 1974”, in Dalla romanità alla diocesanità. Storia recente della Chiesa di Roma, san Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2022, 23-53; Id., “Verso il 50° del Convegno sui “mali di Roma” del febbraio 1974”, in Studi politici, vol. 1/2023, 31-50).

Secondo D’Angelo, nell’intervista citata sopra, il convegno del 1974 «non rappresentava un’iniziativa all’interno di un progetto ben definito, non aveva uno scopo predeterminato. Doveva rappresentare un’occasione di ascolto della città, di quanti operavano nelle periferie, di tutti coloro che avessero a cuore i problemi di Roma. Si immaginò una grande assise, insomma, che rappresentasse un momento di discussione e di interlocuzione tra soggetti attivi nel tessuto connettivo della città – il mondo della cultura, le parrocchie, i centri di impegno sociale, le emergenti realtà ecclesiali post-conciliari, le tradizionali congregazioni religiose, il mondo sindacale… per dare voce alle attese di giustizia della capitale e trarne un’assunzione di responsabilità.

Un’occasione, dunque, per conoscere come fosse cresciuta in città la disuguaglianza, per come la vedevano le migliaia di occhi di preti, laici, religiosi che ne percorrevano periferie, ospedali, scuole, fabbriche, i grandi luoghi di vita e aggregazione, e per generare una prospettiva di rinnovamento dell’azione dei cristiani alla luce del Concilio… Fu un convegno per creare un’occasione di edificazione del tessuto comunitario attraverso l’ascolto della realtà» (“A 50 anni”, 38; 42).

Collaborare è la keyword quando in gioco sono l’uomo e le sue necessità

Non va dimenticato poi, con lo stessa visione prospettica ante e retro oculata, il Seminario di Studi Le nuove povertà nell’area ferrarese tenutosi a Ferrara il 25 giugno 1988 sull’invito della Caritas diocesana. Vi avevano aderito anche la Camera di Commercio della nostra città, e l’Amministrazione della nostra provincia, rendendo possibile una ricerca sulle nuove povertà nel nostro territorio.

Fu questa una tappa del Sinodo diocesano voluto dal vescovo Luigi Maverna dal 1985 al 1992. Relatori Umberto Melotti, Leila Ziglio, Giovanni Scarpellon con un intervento anche del vescovo Luigi dal titolo significativo: “Una lunga battaglia civile ancora da vincere”.

Questo un passaggio del suo intervento: «Era doveroso, per noi, Chiesa. La Chiesa deve collaborare quando è in gioco l’uomo e le sue necessità, e le necessità del mondo… Ma le povertà nuove e nascoste? Mi sia consentito indicarne una, esistente anche nella nostra città. È quella degli immigrati del terzo Mondo, che sono anche tra noi, in cerca di lavoro e di studio, e verso i quali, se non in minima parte, le varie Istituzioni sembrano essere interessate» (La Pianura, Rivista Trimestrale della Camera di Commercio, 2/1988, 8).

NellAnnuario socio-economico ferrarese 2025″ Ricerche, analisi, commenti su economia e società in provincia di Ferrara e in Area vasta, presentato nel giugno scorso, sono affrontale le questioni legate alle Politiche urbane. Spazio, tempo, territorio.

L’indagine fa ancora riferimento all’Agenda 2030 dell’ONU, che al Goal 11 “Città e comunità sostenibili” «stabilisce l’obiettivo di “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” tramite 10 diversi indicatori, e conseguenti risultati, da raggiungere entro il 2030, precisando nel dettaglio: accesso agli alloggi e servizi di base adeguati, ammodernamento dei quartieri poveri, trasporti, pianificazione e gestione partecipata degli insediamenti, salvaguardia del patrimonio naturale e culturale, protezione dei poveri e delle persone in condizioni di vulnerabilità, riduzione degli effetti delle calamità, inclusi i disastri provocati dall’acqua e poi, ancora, qualità dell’aria, gestione dei rifiuti, accesso universale a spazi verdi, politiche di inclusione e sostegno di rapporti positivi fra aree urbane».

Viene ricordata pure la zona del “disagio abitativo”, senza dimenticare le persone che fanno parte «dell’area del “rischio di esclusione sociale”, i bisogni della popolazione immigrata con redditi bassi, quelli delle persone senza fissa dimora, o dei disabili soli che cercano soluzioni abitative permanenti. Rientrano in questa categoria di bisogni, ma con soluzioni temporanee, anche gli ospiti in uscita da comunità di recupero, madri sole con bambini, anziani non autosufficienti in attesa di uscita da ospedali o RSA ecc. In altri termini bisogni abitativi fortemente intrecciati con i bisogni socio-assistenziali». Il tutto inquadrabile nel Report statistico nazionale 2025 della rete Caritas “La povertà in Italia”.

“Una Chiesa per i poveri, una Chiesa dei poveri, una Chiesa povera”

Per il Convegno sarà bello ricordare o riportare almeno i titoletti del n° 61 del libro del Sinodo diocesano (1985-1992): “Una Chiesa per i poveri, una Chiesa dei poveri, una Chiesa povera”.

Vi si legge: «Il vangelo della carità mette in chiara evidenza il necessario rapporto del messaggio evangelico con la realtà storica. La carità è un contenuto della fede che, per sua stessa natura, deve incarnarsi nella storia. Tuttavia la carità non è riducibile alla dimensione storica, ma la fermenta nella prospettiva trascendente del Regno.

Il vangelo della carità (chiave del rapporto tra fede e storia) affida alla nostra Chiesa alcune priorità. L’amore preferenziale per i poveri ha un carattere teologico, e dunque non è una scelta pastorale opzionale o dettata dalla necessità; essa scaturisce dal vangelo, riguarda un atteggiamento fondamentale del Signore che nell’ annuncio della buona novella a tutti gli uomini, assunse l’amore di predilezione per i poveri, costituendoli primi destinatari e portatori privilegiati dei valori del Regno.

Elementi qualificanti del vangelo della carità sono il principio della destinazione universale dei beni, il rispetto e la promozione della libertà di ogni uomo, l’orientamento alla solidarietà universale e al bene comune. La scelta degli ultimi dunque esige la denuncia delle strutture sociali ed economiche di peccato, e la paziente ricerca di un diverso e più giusto ordine sociale, politico ed economico. …

Le grandi questioni della pace, dello sviluppo e della ecologia, che sollecitano le coscienze degli uomini di oggi, sono una sfida che la Chiesa deve cogliere» (Sinodo diocesano [1985-1992], Corbo editore, Ferrara 1993, 147-148). Dopo 33 anni, a partire da questa pagina sarà il caso che le comunità cristiane tornino a interrogarsi per verificare e ricentrare le priorità del loro stile e impegno di evangelizzazione, di pastorale, di attuazione del vangelo della carità».

Osare, a fare storia di “promozione umana”

Nell’intervista a Giuseppe De Rosa, viene chiesto da Antonio Spadaro quali criticità di quel convegno sui “mali di Roma” sono presenti anche oggi come sfide sul cammino della chiesa italiana?

«La criticità più grande della chiesa oggi se mi è permesso, credo fermamente che la maggiore criticità fra quelle indicate sia venuta dalla tendenza a chiudersi nel recinto del mondo cattolico – i preti e la loro «gente» – senza avere il senso della complessità esterna, concentrandosi ad “affermare” (verità, valori, intenti, indicazioni programmatiche), senza mai avere il coraggio di entrare nella dialettica sociale quotidiana, mediandone aspettative e conflitti.

Solo il vigore delle diverse realtà socioculturali, da troppo tempo in letargo, può chiamare le Chiese che vivono in Italia a farsi loro carico del faticoso cammino che dobbiamo intraprendere. E mi permetto di dire che quel vigore può essere chiamato a esprimersi nel richiamo a osare, a fare storia di “promozione umana” e di risposta alle attese di giustizia delle nostre singole comunità ecclesiali» (“Quando la chiesa italiana ebbe il coraggio di osare”, 522; 523).

Ora si svegli l’angelo del povero

Le considerazioni fatte all’inizio per il testo poetico di Ungaretti valgono anche per questa seconda lirica: L’angelo del povero. Si evidenzia inoltre come per le poesie della raccolta Il Dolore qui non si tratta di un dolore inattivo, che paralizza, ma reattivo, un modo per attingervi forza e per fare coraggio agli altri ad osare ancora cammino.

L’uomo di fatica e di pena è il povero, colui che è abitato dalla debolezza di quando si nasce e di quando si muore; e nondimeno egli è anche forte perché nella sua fragilità testimonia che «vive solo colui che vede l’angelo» (Ungaretti, Il povero nella città, SE SRL, Milano 1993, 18). Vede l’angelo colui che è in attesa di un cambiamento e agisce di conseguenza per farlo germogliare; vede l’angelo chi scorge oltre la sofferenza, la pena e la fatica e si fa errante tra gli invisibili e nell’invisibile immediato e futuro.

Ora che invade le oscurate menti
Più aspra pietà del sangue e della terra,
Ora che ci misura ad ogni palpito
Il silenzio di tante ingiuste morti,
Ora si svegli l’angelo del povero,
Gentilezza superstite dell’anima…
Col gesto inestinguibile dei secoli
Discenda a capo del suo vecchio popolo,
In mezzo alle ombre…
(Vita d’uomo, 235).

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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