Skip to main content

 

Gente di cantiere: pietre vive

Si fa un gran parlare in questo periodo di cantieri aperti, e non solo in senso metaforico. Il cantiere richiama l’idea del lavorare insieme, e questo implica un progetto comune, una lettura condivisa del progetto e l’attuazione di processi di corresponsabilità, condivisione e coordinamento per affrontare le problematiche che di volta in volta si presentano in fase realizzativa.

Gente di cantiere: vite condivise

Ai miei occhi il cantiere assomiglia a una melagrana brulicante di sementi che premono per uscire fuori e farsi alberi: «la pianta è un cantiere sempre aperto/ a chi vi torna senza averne memoria» (Biancamaria Frabotta [Qui] ).

È parola che rimanda a una pluralità di immagini, di significati e di applicazioni, e si declina forgiandosi con tutti gli aspetti e gli ambiti del vivere umano: dal suo iniziare, prendere forma e infine compiersi. Non può sorprendere allora che all’immagine del cantiere si sia ricorsi pure per rappresentare il cammino sinodale della Chiesa italiana.

In una città e chiesa antiche come la nostra, più che costruire dal nulla, viene da pensare a un cantiere di ristrutturazione. Il rinnovamento passa attraverso un’opera di custodia e salvaguardia, volta ad aggiornare l’antico, a rendere attuale, per l’oggi, quanto di prezioso ricevuto dal passato. La tradizione è tale solo se continua a farci vivere, arricchendosi con noi.

Vetera novis augere et perficere” era il detto di Leone XIII [Qui], volto a sottolineare la necessità di attuare il pensiero di Tommaso d’Aquino nella chiesa dell’epoca: “accrescere e migliorare le cose vecchie con le nuove”. Rendere la tradizione viva, incarnare il vangelo di sempre per comprenderlo e viverlo nella situazione dell’oggi.

Rerum novarum (Delle cose nuove) recita l’incipit della sua enciclica sulla questione operaia, prima pietra del pensiero sociale della chiesa. Con essa iniziò il cammino di apertura della chiesa verso la società e il mondo del lavoro, segnato dalle trasformazioni e dai molti problemi legati al capitalismo industriale.

Il Papa sollecitava così la formazione di organizzazioni sindacali basate sulla solidarietà cristiana, sottolineando la necessità della mediazione statale nei conflitti tra lavoro e capitale.

«L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto».

Il cantiere della sinodalità: un cantiere nel cantiere

La sinodalità è tema centrale e determinante per comprendere la visione e lo stile di Chiesa voluto da papa Francesco. Con il suo magistero, egli ha inteso riaprire quel cantiere del Concilio progettato da papa Giovanni XXIII come aggiornamento pastorale nelle mutate situazioni della cultura e della società in cui la vita della chiesa si esprime.

Certo, tutti desiderano chiudere un cantiere al più presto; ma quando i lavori restano incompiuti occorre avere il coraggio e la pazienza di riaprirlo: e questo è avvenuto attraverso il cantiere della sinodalità aperto al contributo di tutti, soprattutto della base, al fine di attuare finalmente quelle istanze ed esigenze di riforma e rinnovamento rimasti sulla carta al tempo del Vaticano II.

Come nella parabola degli operai della vigna, tutti sono così chiamati a fare la loro parte nel cantiere di un nuovo umanesimo solidale, in quello della fraternità, dell’evangelizzazione e della missione ecclesiale, collaborando anche con coloro che hanno a cuore la costruzione di un futuro sostenibile sulla terra.

Rispetto a questa parabola, noi siamo gli operai dell’ultima ora, gente di cantiere, chiamati ad attuare quel progetto di vita – perché il vangelo tale è − del grande cantiere dell’umanità.

Costruttori solidali si diventa

Mio papà Giacomo era muratore − eravamo dopo la metà degli anni ’60 − e qualche volta l’ho aiutato a costruire la nostra casa. Lavoretti da poco, tanto per darmi soddisfazione: mettere a bagno le pietre, tenere il filo a piombo, passargli gli attrezzi, reggere la staggia sull’intonaco, aggiungere acqua alla calce rappresa, far salire e scendere dall’impalcatura il secchio con la corda e la carrucola. Scoprii allora quanto fosse fondamentale, anche in un cantiere così piccolo come il nostro, l’ascolto reciproco.

Quando fu in pensione venne poi a lavorare a santa Francesca: era la fine anni ’80, e con qualche volontario – fra cui don Sandro, suo fratello Antonio, Gian Franco e Claudio − prese parte ai lavori di ristrutturazione della parrocchia.

Era il nostro un lavoro di bassa manovalanza, dopo il quale intervenivano gli operai dell’impresa. Lavori che proseguirono per anni, imponendomi di vivere molti anni in parrocchia come fosse un cantiere aperto, con impalcature dentro e fuori: prima la casa canonica, poi i tetti, il campanile e infine il consolidamento delle fondamenta della chiesa.

Nonostante questa esperienza sul campo, prima di scrivere di cantieri ho voluto comunque interrogare un amico muratore che è divenuto anche capo cantiere: Lorenzo.

Così gli ho domandato: “Qual è la prima parola che ti viene in mente se io dico cantiere?”. “Sicurezza”, è stata, senza esitazioni, la sua risposta. “Si deve iniziare ogni giornata verificando se siamo sicuri, altrimenti bisogna fermarsi”.

L’etimologia della parola sicuro dice ‘senza preoccupazione’, composto di ‘se’, che indica separazione o privazione, e ‘cura’, (‘preoccupazione’). Si è sicuri perché prima ci si è presi cura di mettere al riparo da rischi e pericoli. “Costruire è prima di tutto custodire”; è capire il valore delle relazioni e della responsabilità; gli altri ci sono affidati per crescere e migliorare insieme.

“Si fa il punto, si valuta insieme”, dice poi Lorenzo. “Io chiedo agli altri se nell’esecuzione del lavoro hanno proposte o idee per una migliore attuazione soprattutto da chi può avere più esperienza. Il progetto stesso va poi valutato in cantiere: vengono studiati i criteri di fattibilità, adattandolo alle situazioni che si incontrano.

La suddivisione dei lavori e il loro coordinamento sono poi essenziali. Un cantiere è un insieme differenziato e molteplice, che comporta e combina articolazioni e mansioni diverse”.

“Ancora è importante l’ascolto di tutti, e il farsi ben comprendere da tutti: saper valorizzare anche mezza idea e poi adattarla con un’altra come con le pietre. Oltre all’ascolto è importante prevedere e provvedere agli approvvigionamenti dei materiali; vedere oltre, mentre si è ancora in corso d’opera”.

“Avere cura delle persone che lavorano è come porre la calce tra le pietre. Si cresce insieme anche in professionalità, perché si impara gli uni dagli altri. Un cantiere nel cantiere è allora anche lavorare con le persone, loro stesse sono un cantiere in costruzione.

È così importante affidarsi a loro con fiducia, dare consigli e soprattutto gratitudine, ringraziali per il loro lavoro, riconoscere la fatica e i sacrifici che comporta. Il cantiere cresce se uno sa trasmettere amore per quello che sta facendo, se ama il suo lavoro diventa contagioso per gli altri”.

Un salmo che dà sicurezza

La sicurezza nei cantieri sinodali può contare sul Salterio − e in particolare sul salmo 127 − come se fosse il suo manuale. Nel suo commento al salmo citato Gianfranco Ravasi [Qui] ricorda che esso introduce uno spaccato «di vita urbana e sociale fatto di case, di città, di architetture, di porte cittadine, di turni di guardia, di figli, di cibo, di lavoro, di sonno».

Il progetto di edificare la vita buona è benedetto da Dio; il salmo canta «la felicità comunitaria (città) e domestica (famiglia)» che nasce dalla sua benedizione. Ci ricorda che l’attività umana, come l’agire sinodale, portano frutto, si accrescono e si attuano a condizione che Lo si prenda o meno come “co-costruttore”.

Infatti, in questo salmo «Dio non si limita a benedire, ma partecipa al lavoro, costruisce egli stesso la casa, ne è egli stesso il custode». E lo fa con stile di gratuità. Quasi a dire che questa è alla base di ogni costruzione e progetto di umanità fraterna, sociale e familiare. Usando la seconda persona plurale, il “voi”, il messaggio del salmo si apre come proposta rivolta non solo all’individuo ma all’esperienza di tutti.

In altre parole si è chiamati nelle nostre comunità cristiane, comunità provvisorie e cantieri aperti, a costruire le nostre relazioni sulla grazia e nella reciprocità del dono.

Se il Signore non costruisce la casa,
invano si affaticano i costruttori.
Se il Signore non vigila sulla città,
invano veglia la sentinella.
Invano vi alzate di buon mattino
e tardi andate a riposare,
voi che mangiate un pane di fatica:
al suo amico egli lo darà nel sonno.

Dio quando costruisce, edifica granai. Così viene da pensare poiché il verbo ebraico che esprime l’atto del «costruire» (qrh) alla lettera significa ‘mettere un solaio, gettare il basamento di un granaio’. Del resto in ugaritico qrjt e in accadico qarflu significano appunto «granaio» (Ravasi).

Senza di Lui, c’è infatti sempre il rischio di costruire ragnatele, anziché edificare comunità. Ce lo ci ricorda la sura XXIX del Corano: «Coloro che prendono per sé dei padroni all’infuori di Dio sono simili al ragno che si costruisce un’abitazione. E chi non lo sa che la casa-ragnatela del ragno è ciò che di più fragile esiste sulla faccia della terra?».

L’apostolo Paolo è nel cantiere della comunità di Corinto come un capomastro ed esorta quei cristiani come fossero operai di cantiere dicendo: «Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1Cor 3,9-11).

Cantiere navale e comunità di destino

Tra i simboli della Chiesa in età patristica vi è quella della nave come comunità di destino, costruita con tutte le forze: “il colpo d’ascia rimbombi attraverso tutto” e con tutto il cuore “a vele spiegate dal vento”. Siamo tutti sulla stessa barca: coloro che costruiscono la nave, sono gli stessi che con essa navigheranno verso un porto sicuro.

Scrive Hugo Rahner [Qui] in Simboli della chiesa (ed. San paolo Milano 1995, 339): «La teologia dei Padri della Chiesa ha avviluppato tutto ciò nei concetti simbolici in voga sin dai primordi, concetti che vedevano nella Chiesa quella grande nave, a cui è affidata la nostra salvezza.

La Chiesa è navigazione verso il portus salutis. Chiesa è viaggio pericoloso e, allo stesso tempo, meraviglioso: pericoloso, perché non è ancora giunto in porto; meraviglioso, perché è luogo unico di sicurezza, in mezzo al mare procelloso. Questa nave della Chiesa è costruita con il legno della Croce, e il suo ritorno in patria è garantito dall’ albero con il quale il pennone della vela, postogli di traverso, forma la  croce: antenna crucis».

Gregorio Nazianzeno [Qui] descrive come dovrà essere quella fortunata nave, capace di raggiungere un destino di salvezza, e la descrive come Seneca: «Non sia la tua nave colorata con graziosi colori, né brilli di bellezza civettuola, se deve sopportare le forti scosse del mare. No, una buona nave è ben inchiodata ed è a prova di mare e solidamente connessa dal costruttore: soltanto così essa taglierà le onde».

È così la simbolica della nave della vita umana, che va a rappresentare anche quella della chiesa. Comunità di destino è la chiesa come la vita umana dalla cui bontà e dalla cui buona tenuta dipendono la vittoria contro il mare tempestoso.

Gregorio di Nissa [Qui] descrive la costruzione di una buona nave frutto della buona collaborazione di tutti: «Uno mette insieme la chiglia, un altro si dà da fare per erigere le assi. Chi costruisce la prua e chi la poppa. Questi si affatica attorno all’albero e quegli intorno all’antenna».

E se torniamo sulla terra ferma è Ignazio di Antiochia [Qui] che ci offre la descrizione più bella della gente di cantiere, paragonandola a pietre vive: «Voi siete davvero le pietre del Padre preparate per la costruzione che egli compie, elevate con l’argano di Gesù Cristo che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo.

La fede è la vostra leva e la carità la strada che vi conduce a Dio. Siete tutti compagni di viaggio, portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo e dello Spirito Santo, in tutto ornati delle parole di Gesù Cristo». (Lettera agli Efesini, 9)

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]

tag:

Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it